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Capitolo 3 - Bess

Non appena varcarono il cancello del convento, Bess venne strappata da cavallo da uno stuolo di suore preoccupate. Non fece nemmeno in tempo a voltarsi verso il cavaliere che fu attorniata da un turbinio di facce. Rimase lì in piedi, frastornata dalle decine di voci che parlavano in contemporanea, senza capire alcunché. Le girava la testa. Un ronzio spiacevole cominciò a azzerare tutti gli altri suoni.

Qualcuno urlò che la duchessa stava per svenire. In effetti, era possibile: era passato parecchio tempo dall'ultima volta che aveva mangiato.

Bess cadde in avanti nel buio dell'incoscienza.

Si svegliò un istante dopo, sul ghiaino del piazzale tra le mura e l'edificio di mattoni, circondata da facce ancora più preoccupate.

"Largo!" ordinò una voce.

Era il capitano dell'esercito di suo padre, un uomo scuro di capelli con una cicatrice da taglio dallo zigomo al labbro. Bess non ricordava il suo nome, ma l'aveva visto molte volte e sapeva che poteva fidarsi di lui.

L'uomo le chiese il permesso per trasportarla dentro. Priva di forze, Bess annuì. Fu sollevata come se fosse senza peso.

Prima di sparire all'interno del convento, Bess lanciò un'occhiata al di là delle spalle del capitano.

Il cavaliere che l'aveva recuperata era rimasto indietro, in piedi di fianco al suo destriero, le redini ancora in mano, rigido e altero nella sua postura da militare con la divisa rossa e gli spallacci a forma di ali. Alla luce delle fiaccole, i suoi capelli biondi rilucevano come oro.

Per un attimo, i loro sguardi si incrociarono.

Il suo nome, Bess se lo ricordava.

***

Bess fissava il soffitto mentre attendeva il suo destino nella fiacca luce blu prima dell'alba. Si era svegliata troppo presto e non riusciva più a dormire: sapeva che entro poche ore l'avrebbero caricata su una carrozza e portata a palazzo, che lei fosse stata consenziente o meno. Quel pensiero le mangiava il cuore di preoccupazione.

Dopo il piccolo incidente dello svenimento nel piazzale era stata portata dentro, spogliata, esaminata, lavata, nutrita e messa a letto a forza in una vestaglia di seta: dal giorno alla notte, da semplice consorella era tornata a essere sua signoria, bisognosa di servitù e abiti di lusso. I suoi averi erano stati recuperati e ordinatamente posizionati dentro i vecchi bauli. Non c'era più scampo. Sarebbe tornata a casa. Avrebbe dovuto sposarsi.

Sperava di poter salutare Mag, almeno. Non l'aveva avvisata della sua piccola fuga: aveva preferito non rischiare di metterla in pericolo. Mag non sarebbe stata in grado di mentire in modo convincente e sarebbe finita in grossi guai se si fosse scoperto che l'aveva aiutata a fuggire. Perlomeno adesso avrebbe potuto dirle addio in un modo degno della loro amicizia.

Magra consolazione.

Bess aggiustò la testa sul cuscino. Sul muro opposto alla finestra apparvero i primi raggi di un'alba rosseggiante.

Se si sforzava di ignorare quelle infelici prospettive per il prossimo futuro, i suoi pensieri correvano in un'altra direzione. Più precisamente, al soldato che l'aveva scovata in mezzo ai campi e riportata al convento.

Sebastian Corei.

Sperò che non si fosse accorto del modo in cui il cuore le era balzato in gola quando lo aveva riconosciuto. Lui, invece, era rimasto impassibile quando le era sfuggito, sconvolta dalla sorpresa, quel "So chi sei tu".

Non ricordava, forse?

Frustrata, si rigirò nel letto.

Non era importante, si disse. Non importava se lui si ricordasse di lei o meno, nemmeno ora che era un cavaliere al servizio di suo padre. O al suo servizio, rifletté con un rimescolamento di stomaco.

Basta. Era meglio affossare quei pensieri prima che potessero prendere una brutta piega.

Sì, decise. Non ci avrebbe pensato più.

***

Ci pensò ancora, ovviamente, quando i loro sguardi si incrociarono di nuovo nel piazzale mentre lei veniva scortata fuori da due ali di soldati.

Aveva chiesto di poter salutare Mag, ma lei non si era presentata alle preghiere del mattino. Bess, però, sapeva dove trovarla. Indicò ai soldati il frutteto dietro al giardino aromatico e si fece scortare fino alle radici di un castagno particolarmente vistoso.

"Mag, sono io. Scendi".

Qualcosa si mosse tra le fronde.

"Mag. Per favore" continuò con voce più bassa. "Stanno per portarmi via".

In uno stormire di foglie, Margaret si calò giù da due rami e balzò a terra.

Aveva un libro in mano e rametti tra i capelli. Non la guardò negli occhi.

Bess fece due passi per avvicinarsi all'amica. Desiderava abbracciarla, ma non osò. "Mi dispiace di essere andata via senza dirtelo, Mag. Volevo proteggerti. E non sono andata lontano, come puoi vedere".

Sempre fissando il terreno, Mag spostò il peso tra i due piedi. "Sarei potuta venire con te. Ti avrei aiutato".

"Lo so. Non c'era tempo. Puoi perdonarmi?".

Mag mantenne la testa bassa. Bess sentiva lo sguardo delle guardie, distanti a sufficienza per garantire un po' di riservatezza, perforarle la nuca. Era ora di andare.

Senza attendere risposta dall'amica, Bess le porse una busta con il sigillo del ducato. Quando l'altra la prese, le strinse le dita con affetto. "Leggila quando me ne sarò andata. E pensaci".

Si voltò con un peso nel cuore e attraversò il giardino fino alle mura. Subito fuori dal cancello la aspettava una carrozza senza insegne. Alcuni cavalieri erano già in sella, pronti a partire.

Bess si voltò verso il convento che era stata la sua casa per lunghi cinque anni; con quel movimento, gli orecchini di perle che portava ai lobi dondolarono in modo fastidioso. Le suore la salutarono con profondi inchini a cui non era più abituata.

Mag non c'era.

Salì nella carrozza e la porta venne richiusa dietro di lei.

***

Oltre agli orecchini con le perle, che le erano stati restituiti quella mattina, Bess aveva ripreso a portava l'anello con la rondine. Non indossava i suoi vestiti di broccato per il semplice motivo che non ci entrava più; i capelli, però, erano stati acconciati come si confaceva a una signora, con i riccioli ben ripiegati sulla nuca; le era poi stato assegnato un abito semplice e pulito da indossare per il viaggio di ritorno. Avrebbe comunque dato nell'occhio — era pur sempre una dama sola scortata da più di dieci soldati armati — ma le sue origini nobili non sarebbero state così ovvie. Poteva essere una figlia di mercante molto benestante, o una sacerdotessa di una qualche divinità oscura. Per qualche minuto Bess si perse nella sua immaginazione, tessendo trame di vite alternative se lei non fosse rimasta intrappolata nella sua stessa tela.

Un matrimonio combinato.

Bess si morse l'interno della guancia. Così strani e ironici erano i fili del fato.

Il viaggio fu lungo e estremamente noioso. Bess si pentì di non aver portato via un libro dalla biblioteca del convento; non aveva altro da fare se non osservare i campi tutti uguali scorrere al di là della tendina della carrozza oppure annegare nelle proprie angosce per il futuro, e nessuna delle due attività era entusiasmante.

Il sole era basso sull'orizzonte quando la carovana fece tappa in una locanda all'incrocio tra due strade. Il capitano bussò alla porta della carrozza e avvertì la duchessa che sarebbero si sarebbero fermati per la notte.

Bess si sentì addosso molti sguardi quando scese dalla vettura e seguì il capitano dentro il modesto edificio dal tetto di legno. Se, tra quelli, ci fosse uno sguardo in particolare, decise che non era affar suo.

La locanda — da Floriana, diceva l'insegna — sorgeva su un crocevia di due strade importanti che tagliavano la regione per i quattro punti cardinali, ed era piena di gente.

La cena fu semplice. Il capitano delle guardie — Owen Ghilroi, ecco come si chiamava — le aveva consigliato di mangiare a sufficienza, mantenersi sobria e di non parlare con nessuno al di fuori della sua scorta.

Stretta tra due soldati sulla panca di legno, Bess non aveva nessuna intenzione di parlare con chicchessia; assorbiva però con interesse il bizzarro viavai di viaggiatori che gridavano e ridevano nella sala illuminata dal camino acceso e dalle lampade a olio, dove un odore di fumo e di carne alla brace rendeva l'aria greve.

Nessuno le rivolse la parola e Bess finì la sua cena con il cuore pesante.

La stanza che le venne assegnata era piccola ma pulita. Bess esaminò gli interni della cassapanca e dei cassetti della modesta scrivania prima di arrendersi a una serata di noia e solitudine.

Guardò fuori dalla finestra. Il cielo nero era coperto di nubi, e la cappa di umidità resisteva nonostante l'ora tarda.

Poteva fare due passi all'aperto, nonostante l'orario? Era stata tutto il giorno chiusa nella carrozza, non si meritava un po' di libertà? Un giro nelle stalle, magari, a salutare i cavalli. Cavalcare le mancava così tanto...

Era quasi certa che non fosse possibile. Decise di tentare lo stesso.

Si avvicinò alla porta, girò la chiave e sbirciò fuori.

Capelli biondi.

Il cuore di Bess fece un balzo nel petto.

Nonostante la forte tentazione di richiuderlo, aprì il battente. Sebastian, rigido nella sua uniforme rossa, stava in piedi a lato della porta. Dall'altro lato c'era anche una seconda guardia, ma Bess non la considerò.

Dopo un educato "Mia signora" di saluto, nessuno dei due soldati la guardò né sembrò intenzionato a iniziare una conversazione.

Disperata per una distrazione di qualsiasi tipo, Bess parlò comunque. "Starete qui tutta la notte?".

Le due guardie si scambiarono un'occhiata. Bess sentì che la stavano giudicando.

"Sì, signora. Siamo incaricati della vostra sicurezza".

Sebastian aveva una voce calma, confortante, e della giusta profondità per vibrare con dolcezza a orecchie femminili. Molto più adulta di quel che ricordava. E molto più attraente.

Bess deglutì. "Non dormirete?".

"Ci diamo il cambio, milady".

"Per la mia sicurezza".

"Esatto".

"O per controllare che non mi dia alla fuga?".

"Non è una possibilità così remota".

Sorpresa dall'inaspettata impertinenza, Bess sollevò le sopracciglia.

Il soldato biondo non aggiunse altro, continuando a fissare con ostentata austerità il muro del corridoio.

Bess si schiarì la voce e sfoderò il suo tono da duchessa più convincente. "Vorrei scendere nelle stalle. Non per rubare un cavallo e sparire nei campi, ma solo per sgranchirmi le gambe dopo essere stata seduta troppo a lungo".

Un'altro scambio di occhiate tra i due soldati. Entrambe furono lampanti: dicevano È impazzita e Io non mi prendo questa responsabilità.

Bess attese, insicura di quanto, in quel frangente, il peso della sua posizione potesse piegare la volontà dei suoi sottoposti. Avrebbero dovuto scomodare il capitano? Sperava di no.

"Per favore?" tentò quindi.

Sebastian si voltò verso di lei con un movimento militaresco. La guardò per un istante, poi fece un cenno al suo collega che diceva:Vado io, tu resta qui di guardia e disse: "Vi accompagno".

Scesero di un piano e uscirono dalla porta sul retro. La stalla si ergeva a poche decine di metri, una costruzione di legno ampia abbastanza da accogliere le cavalcature dei viaggiatori che passavano di lì per una notte o due.

Entrando, l'odore di paglia e letame che colpì le narici di Bess fu quasi nostalgico. La donna studiò i cavalli assicurati alle assi delle pareti e si avvicinò a una bella giumenta grigia. La accarezzò sul muso: il pelo era liscio e morbido sotto le dita, e il senso di conforto che ne trasse fu immenso. Afferrò una spazzola da un gancio alla parete e si mise a strigliare l'animale con cura, partendo dal collo e scendendo verso la schiena.

Era consapevole della presenza di Sebastian che osservava ogni suo movimento, ma per il momento decise di ignorarlo. Si concentrò sul lavoro e sui cattivi pensieri che si affievolivano a ogni colpo di spazzola. Il cavallo era una presenza confortevole, e gli unici rumori gli sbuffi e gli scalpiti tranquilli delle altre bestie a riposo.

Dopo parecchi minuti Bess diede un'ultima carezza al muso soffice dell'animale e rimise la spazzola sullo stesso gancio da cui l'aveva presa. Con la testa ora piacevolmente vuota, il suo spirito si era sollevato di qualche spanna.

"Grazie. Mi sento meglio" disse a bassa voce. Forse al cavallo, forse alla sua scorta.

Il soldato non rispose. Le aprì la porta per permetterle di uscire per prima nella frescura della notte.

Lei alzò il mento e non lo guardò mentre lo superava. Una volta fuori, ispirò grata l'aria calda e profumata d'estate: sapeva di terra fertile e umida, di foglie giovani e fiori sbocciati. Alzò gli occhi per cercare la stella del nord, ma il cielo era nuvoloso. Loro erano diretti a est, dove, al di là dei campi dei boschi, sorgeva il ducato di Benaco. Ci sarebbero voluti altri due giorni di viaggio per arrivarci. Gli ultimi giorni di libertà di Bess, prima di tornare a essere la duchessa Beatrice Sabrina Ginevra di Altoponte. Doveva approfittare del poco tempo che aveva a disposizione.

Invece di proseguire verso la locanda, si appoggiò alla staccionata tra i due locali. Era decisa ad allungare il più possibile quella sua insperata fuga notturna. Non le importava che Sebastian Corei avesse deciso di fingere di non ricordarsi di lei. Non le importava affatto.

"E così, reggimento di cavalleria" esordì con finta indifferenza.

Se lui fu sorpreso da quella domanda, non lo diede a vedere.

"È stata una conseguenza naturale" rispose.

La bocca di Bess si piegò in un sorriso malizioso. Quella risposta sottintendeva che l'interlocutore sapesse cosa c'era stato primadella cavalleria; sottintendeva che loro due avessero, effettivamente, un piccolo pezzo di passato in comune.

"Posso immaginarlo" replicò quindi, più accomodante.

Lui non rispose.

Gli lanciò un'occhiata furtiva. Era rigido e fissava l'orizzonte buio. Si era accorto della scivolata che aveva fatto, e ora era pentito?

L'idea la indispettì.

Eppure, si disse, fingere che nulla fosse accaduto era la soluzione più saggia e indolore per entrambi. Capiva perché lui volesse mantenere le distanze. Davvero, lo capiva.

Allo stesso tempo, le era difficile non sentirsi ferita.

Quando il soldato si voltò verso di lei, Bess si sforzò di mantenere il contatto visivo. Sebastian non aveva i tratti somatici della Media Badia, la regione che si estendeva da ovest a est tra l'Orania e il Pelago. Era più alto di lei, biondo come il grano e con indecifrabili occhi nocciola che adesso la stavano studiando nonostante il buio. In contrasto con la pelle chiara, la divisa rossa della Guardia gli donava particolarmente.

In quel momento una falce di luna sbucò da dietro le nuvole e gli illuminò i capelli e una parte del viso.

Per la miseria. Era bellissimo.

Bess deglutì e distolse lo sguardo.

Dopo qualche secondo di silenzio imbarazzato, fu lui a fare una domanda.

"Non siete felice di tornare a casa? Rivedrete la vostra famiglia, i vostri amici".

"La mia famiglia, sì. Amici non so se ne ho ancora. L'unica che avevo è rimasta alle Silene".

"Ve ne farete altri".

"Non è così facile".

"No" ammise lui, il tono più lugubre del previsto.

Bess fece scorrere i palmi sul legno ruvido della staccionata. Gli lanciò un'occhiata in tralice.

"Però hai ragione" sospirò. "Benaco è la mia casa. Spero solo di trovarla più piacevole di quando l'ho lasciata".

Lui aprì la bocca per ribattere, ma poi sembrò cambiare idea.

Bess avrebbe voluto che si avvicinasse per capire cosa stesse passando dietro quegli occhi nocciola. Non poteva, ovviamente. Non sarebbe stato appropriato. Tornò a guardare il cielo.

"Dovremmo rientrare" disse lui dopo un po'.

"Sì".

Nessuno dei due si mosse. Rimasero ad ascoltare le cicale e il frusciare del grano nella brezza per parecchi minuti, ognuno perso nei propri pensieri.

Bess percepiva i non detti aleggiare tra loro, pesanti come l'umidità. E non era certa di sapere cosa significasse la conversazione che avevano appena condiviso. Sapeva, però, che adesso si sentiva meglio.

"Grazie per avermi fatto uscire. So che è stato poco ortodosso, ma ne avevo bisogno".

"Qualunque cosa per voi, Beatrice".

Le mancò il respiro. Si guardarono per un istante. Bess fu quasi certa di vedere un'ombra di preoccupazione passare nello sguardo di lui.

"Rientriamo" disse il militare. Fece un passo e con un gesto della mano la invitò a procedere davanti a sé.

Bess chinò la testa e obbedì.


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