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Capitolo 21 Di ferite profonde e di cure d'amore

Circa dieci anni dopo lo scenario dell'ultimo capitolo

«Brava, Shadowcat» Julia lodò la propria ex allieva prediletta, diventata sua assistente in aula alla scuola di Xavier, a seguito della laurea.

La giovane aveva attraversato un muro, liberandosi dalla scia di un avversario particolarmente ostico che l'Uomo di Ghiaccio aveva congelato, temporaneamente.

Kitty Pride e Bobby Drake erano componenti della squadra degli X-Men a tutti gli effetti e il loro apporto si era rivelato particolarmente prezioso. Carne fresca, aveva sottolineato in senso positivo Stark, lamentandosi che per gli Avengers non vi fosse, viceversa, un facile ricambio generazionale. Aveva registrato una stanchezza mentale e anche fisica, soprattutto per Clint. Banner era loro coetaneo, ma la forza di Hulk lo rendeva sempre abile e arruolato come un ventenne. E l'armatura di Iron Man aiutava Tony stesso a difendersi ancora eccellentemente.

Per l'arciere era differente. Aveva festeggiato da poco il mezzo secolo, ma nonostante gli allenamenti costanti e la muscolatura guizzante, i segni del tempo erano evidenti. Lo aveva osservato soffiare sulle candeline della torta, scelte da Kate nel colore viola, accanto a sua moglie. Julia era di sette anni più giovane e i suoi poteri in battaglia facevano la differenza, come quelli degli altri mutanti, del resto. Senza contare il problema dell'udito del collega, peggiorato notevolmente. L'amico sentiva grazie a un apparecchio acustico più sofisticato, ideato per lui da Bestia.

«Tua figlia sarà il nuovo Occhio di Falco? Appenderai l'arco al chiodo?» Charles l'aveva schernito, in quella specifica circostanza, perché la giovane Barton, sedicenne, era arrivata a un livello di qualità pari al padre, a dire dei compagni di lavoro con cui continuava a esercitarsi.

«Tu che dici, Lucky?» l'arciere aveva evitato di rispondere, lasciando l'ultima parola al cane, che aveva abbaiato contro Xavier. Il golden retrivier, a differenza del proprietario, era più che in forma. Il metabolismo rallentato gli aveva donato una sorta di eterna giovinezza.

«Fate attenzione, entrano dalla porta di destra» dall'alto Tony segnalò, con l'auricolare, il gruppo di terroristi mutanti che li attaccava.

Il Palazzo delle Nazioni Unite di Ginevra ospitava un evento di portata mondiale, il cui scopo era stato tenuto segreto fino all'ultimo momento, la conferenza stampa del presidente dell'organizzazione. L'ingente servizio d'ordine era stato supportato sia all'interno sia all'esterno dell'ufficio dagli Avengers e dagli X-Men. Avevano tenuto a bada la folla composta da umani e da mutanti fino all'annuncio vero e proprio, che aveva scatenato un inferno: l'invenzione di un siero in grado di annullare le mutazioni, che sarebbe stato somministrato a coloro che ne avessero fatto richiesta.

«Un vaccino su larga scala per curare la nostra malattia» Fenice aveva commentato amaramente, verso il marito. I capelli lunghi, portati sciolti come quando si erano conosciuti, presentavano dei rari fili bianchi che l'interessata non aveva ancora coperto con una tinta. Gli sguardi innamorati del Falco colmavano i piccoli cambiamenti naturali dovuti alla maturità: si sentiva sempre bellissima.

«La cosa che mi infastidisce è l'incoerenza. Se hanno bisogno, chiamano i mutanti per essere difesi ma poi li vogliono far mettere in fila per somministrare loro la cura» usò la parola con cui il siero era stato presentato e prese una freccia dalla faretra, con il pensiero a Kate.

«A casa ne parleremo sviscerando l'argomento, Clint, ora concentriamoci sul lavoro» pronta, la bruna confermò le sue stesse paure. La loro figlia conduceva l'esistenza normalissima di un'adolescente, dividendosi fra scuola, amici e tiro con l'arco, la sua passione. I paletti mentali nella sua mente erano rimasti lì, fermi, e lei e il marito non ne avevano più discusso con la ragazza, soltanto fra loro, ipotizzando che la scelta migliore fosse riuscire a non far emergere il potere di guarigione. Le altre abilità di Kate, la telecinesi e l'autoguarigione - probabile fonte di una vita eterna data la similitudine del suo dna con quello di Miriam e Logan - erano utilizzate molto poco nella vita di tutti i giorni.

«È la conseguenza delle gesta scellerate di Erik» Charles bloccò con la telepatia un mutante dai capelli rossi e la pelle da lucertola che veniva verso la sala della conferenza, costringendolo a tornare sui propri passi.

Alcuni stati avevano creato le zone franche richieste dai mutanti, ma non tutti avevano optato per trasferirsi lì. Parecchi, a causa dei legami affettivi, lavorativi o economici, avevano preferito convivere nel mondo degli umani dov'erano cresciuti, e la spaccatura fra i due universi era diventata più profonda. Per temperare tale grave situazione e il previsto aumento esponenziale di individui con mutazioni, gli scienziati più talentuosi avevano cercato un rimedio per ovviare al problema, giungendo alla sintesi del siero denominato la cura.

«Com'è la situazione fuori?» Julia e Charles si misero in contatto telepatico con Stark e Tempesta, rimasti a tutela dell'area antistante il Palazzo delle Nazioni Unite.

«Non buona» Ororo aveva appena scatenato un tornado di lieve intensità per spostare un gruppo di manifestanti inferociti in un'altra zona. L'intenzione era di sedare la rivolta scoppiata evitando morti e feriti, ma più andavano avanti e più appariva difficoltoso limitare i danni collaterali.

«Kurt sta teletrasportando i mutanti uno a uno, ci vuole tempo» Tony segnalò lo sforzo di Wagner, che portava i propri simili ostili da dentro l'edificio a un parco a diversi chilometri di distanza.

Thor collaborava con Iron Man per gestire il confronto dall'alto, poiché alcuni mutanti erano in grado di volare e cercavano di entrare nel palazzo attraverso i piani superiori, spaccando i vetri dei finestroni.

Hulk e Bestia, rimasti a presidio delle transenne oramai divelte, allontanavano coloro che si presentavano per un confronto fisico, tentando di non provocare loro troppe contusioni.

Natasha, Charles, Mystica, Bobby, Kitty e Steve erano rimasti nella struttura con Barton e Green, affrontando coloro che erano riusciti a bucare il servizio di sicurezza e ad accedere.

Clint incoccò l'ennesima freccia dalla punta blu e la lanciò dritta nel braccio di uno degli individui dal volto coperto da un passamontagna nero. Julia riconobbe uno dei dardi narcotizzanti, il cui contatto mandava immediatamente nel mondo di sogni.

«Hai avuto proprio un'idea brillante» si complimentò col marito, impegnatosi nella creazione di molte frecce speciali. Nella stanza di casa dedicata agli hobby aveva un laboratorio in cui si era dilettato con Kate a predisporre frecce di plastica e legno per opporsi a mutanti come Erik e altri dardi particolari. Aveva pensato alle frecce narcotizzanti, già utilizzate nel passato, a cui ne aveva affiancate altre.

«Chi diavolo è quello?» un uomo biondo si innalzò nella sala grazie a delle stranissime ali striate di verde e nero, puntando proprio Clint e Natasha, un passo indietro. Aprì la bocca e un urlo fastidioso si sprigionò. Onde sonore di forte intensità colpirono i due Avengers, spazzando via il dardo che l'arciere era riuscito a tirare.

Romanoff fu sbalzata a terra dal corpo del Falco che era si era lanciato a difesa della collega, ponendosi fra quest'ultima e l'arma anomala. L'onda l'aveva presa di sbieco, comunque, provocandole un dolore nel corpo e una confusione nella mente.

«Falco, amore» Fenice, un colpo di energia contro l'avversario, si era spostata davanti al marito, caduto a terra con la testa fra le mani.

«Non sento, Julia...» strillò l'arciere mentre Julia manteneva un duello di forze. La telepatia non poteva essere deviata dalle onde sonore sempre più intense. Ma né lei né Charles avevano potuto superare l'ostacolo. Era impossibile mantenere alta la concentrazione, con quel sibilo odioso nelle orecchie. Tutti, nella sala, avevano le mani proprio a copertura delle orecchie e difficoltà di equilibrio.

«Dimmelo nella mente» lo invitò, con la coda dell'occhio, cercando di capire se avesse perso l'apparecchio acustico.

«Mi fa male l'orecchio sinistro» Barton aveva un'alta tolleranza al dolore fisico, la mutante si agitò a vederlo contorcersi a terra.

Rogers accorse in aiuto del collega, coprendolo con lo scudo da ulteriori successivi attacchi, nella speranza di evitarli. Un rivolo di sangue scendeva dal padiglione auricolare dell'amico «Ci penso io, Julia. Nat, tutto ok?». Particolarmente responsabilizzato nei confronti del gruppo, Steve aveva di fatto raccolto il testimone di leader della squadra degli Avengers da Nick Fury, ritiratosi a vita privata.

«Sì» Vedova Nera barcollò, colta da un attacco di vertigini. Era tutta intera, pur non in grado di combattere.

«Ora basta, sono stufa» in preda alla rabbia e alla paura per la salute di Clint, Fenice spiegò le ali dell'uccello mitologico sulle proprie spalle, librandosi all'altezza del mutante biondo. L'energia colorata di rosso, giallo e blu venne convogliata sull'avversario, che precipitò sul pavimento a peso morto.

Xavier ritenne che la telepate avesse anche limitato la forza nell'affondo e pure che l'attacco all'Avenger fosse stato voluto e consapevole, che Clint fosse il bersaglio principale delle onde sonore e Natasha si fosse trovata per errore sulla traiettoria.

Intanto che un compagno col viso coperto portava via, in braccio, il malcapitato, Julia creò una barriera di energia a protezione di tutti i suoi amici, che vi si ripararono dietro.

Con gli occhi cangianti, minacciò gli avversari rimasti «Chi è il prossimo? Volete sfidarmi? Fatevi avanti! Sono come voi ma non una di voi, non uso i miei poteri per fare del male né agli umani né ai miei simili, se non per difendermi o difendere chi lo merita» non sembrò volersi scusare, fu decisa nell'esporre la sua tesi «E lo farò fino al mio ultimo respiro». Aveva il cuore in tumulto, pensando di aver ucciso il suo nemico e per l'angoscia per Barton.

I mutanti si separarono in una resa razionale, non motivata dalla vigliaccheria: nessuno di loro poteva competere coi poteri di un elemento di classe cinque.

La fenice di energia si volatizzò come era emersa e Green discese velocemente verso suo marito che si lamentava. Arco e frecce erano sparse a terra, disordinatamente. Natasha gli teneva la mano, Kitty guardava l'orecchio leso, dispiaciuta. «Julia, ho cercato di ispezionare la ferita ma non vuole farmi vedere» i palmi delle mani dell'arciere comprimevano le orecchie, lui si rotolava ancora a terra.

«Charles, fa venire Tony, Bruce e Hank, subito» Fenice pregò il professore di chiamarli con le sue doti di telepate e si concentrò sul Falco, stringendogli i polsi e fissandolo negli occhi.

L'uomo si bloccò e la udì nella testa, oltre il dolore e la paura «Clint, amore mio, cercherò di calmarti, lasciati andare». Lei trovò nei suoi ricordi i frammenti più intensi della loro vita, ponendoli prima degli altri: il ballo a tema shakespeariano, le vacanze da Nives e Poe, la nascita di Kate, i momenti in cui si amavano «Togli le mani e permettici di capire il danno che hai ricevuto».

Clint era stato colto da un male atroce; nonostante la quasi totale sordità la testa rimbombava, e una fitta lancinante lo aveva sferzato da destra a sinistra, alla stregua di una lama affilata arrivata fino al cervello. Sudava freddo e si sentiva svenire oltre a essere completamente disorientato. Grazie a Julia il supplizio era stato lenito o perlomeno affievolito da un po' di bello. Abbassò le mani.

Bestia li aveva raggiunti e si era abbassato accanto alla mora che controllò lo stato dell'orecchio. L'apparecchio acustico era leggermente spostato, il sangue era uscito dall'interno del padiglione auricolare insieme a una materia rosata.

«Estrai delicatamente l'apparecchio» il dottor McCoy la esortò e Fenice, che aveva le dita più sottili, lo afferrò con saldezza e lo porse al suo amico sul palmo della manona pelosa.

«È intatto: se Clint non sente è per via delle onde sonore, sono in grado di ferire chi ne viene colpito oltre a causare disturbi psichici momentanei. Questo» mostrò la sostanza rosa sulla piccola sfera «è parte del timpano perforato. E non solo. Dobbiamo sottoporre tuo marito a degli esami per comprendere se la lesione sia superficiale o più profonda» era praticamente certo della seconda ipotesi, dalla reazione dell'arciere. Ringhiò con rabbia al cielo e verso Banner, che arrivava, già nelle proprie vesti umane, abbarbicato all'armatura di Iron Man.

«Il nostro compito qui è terminato, torniamo a casa» Charles, raggiunto da Natasha che si era affrettata a raccogliere l'arco e le frecce del collega,
osservò il Capitano Rogers portare in braccio Occhio di Falco e Julia camminare dietro di loro, a testa bassa. Si mordicchiava il labbro, gli occhioni verdi erano pieni di lacrime. Non gli servì essere un telepate per capire cosa stesse pensando.

Kate fibrillava come ogni volta che i suoi genitori erano in missione. Aveva seguito le immagini degli eventi di Ginevra alla televisione, dal soggiorno dell'ultimo piano del grattacielo della sua amica Morgan Stark, con Lucky accanto e gli occhi fissi sullo schermo. Non promettevano nulla di buono e la mamma e il papà non erano visibili. Aveva individuato facilmente Thor, Raven, Tony, Bruce, Ororo, Hank e Kurt fuori dal Palazzo delle Nazioni Unite, poiché le emittenti non avevano il permesso di riprendere cosa accadeva nella struttura.

Al termine della battaglia improvvisata, con la rivolta sedata, aveva riconosciuto il Capitano Rogers che portava in braccio suo padre. Il padre era sporco di sangue sulla testa, aveva lasciato l'arco e le frecce a Natasha. E, soprattutto, sua mamma camminava dietro di loro, sconvolta.

«Scusa, Morgan, dobbiamo andare» infilando al volo il cappotto spigato, presi gli inseparabili arco e frecce, sollecitò il cane con un fischio e scappò dalla casa dell'amica.

«Kate, non andartene, aspetta» Morgan, più piccola di corporatura e meno veloce, non poté fermarla.

Pepper Potts la interruppe «Lasciala fare, tesoro, è preoccupata per i suoi». Lei stessa lo era; lo era sempre quando Tony si allontanava da loro per combattere con gli Avengers, ma tramite la tv e i potenti mezzi dell'armatura di Iron Man restava costantemente in contatto col marito che le aveva già fornito un dettagliato resoconto di quanto accaduto, in una conversazione svoltasi nella stanza accanto al soggiorno, lontano dalle ragazze. Tony era tutto intero, non aveva potuto dirle lo stesso del compagno. Condivise l'angoscia della giovane Barton.

Che non aveva aspettato nemmeno di prendere l'ascensore e scendere in strada per telefonare a Julia. Non aveva più il cellulare regalatole a sei anni. Ora possedeva un altro modello e un'altra custodia con una foto più recente, ma i soggetti erano sempre loro quattro, in un selfie nel lettone dell'appartamento. Mamma rispondi, rispondi.

«Kate, che succede?» Fenice rispose al secondo squillo, già seduta sul seggiolino del Quinjet.

«Dimmelo tu. Ho visto papà alla tv...».

«Ha preso un brutto colpo da un avversario» le spiegò, provando a mantenere una calma che l'aveva già abbandonata.

«Alla testa, c'era sangue» era un punto vitale e suo padre aveva un grave problema di udito, tanto che lei e Fenice conoscevano il linguaggio dei segni, avendo frequentato insieme a lui alcuni corsi per apprenderlo. Clint vi era andato più volentieri grazie alla loro presenza e la mamma aveva insistito affinché fossero in grado di comunicare in caso di problemi con l'apparecchio acustico. La ragazza si chiese se Julia non avesse avuto un presentimento, se vivesse con il perenne timore di un evento avverso e irreversibile che avrebbe provato chiunque, ma che avrebbe distrutto un agente addestrato, un arciere, un Avenger.

«Sì, ne sapremo di più a seguito degli esiti degli accertamenti. Stiamo per decollare. Per favore, aspettaci a casa» la distanza fra Ginevra e New York sarebbe stata colmata in poche ore dai loro jet, già adeguati nella struttura ultramoderna affinché Clint non subisse ulteriori complicazioni all'orecchio per l'altitudine e la pressurizzazione.

«Va bene» col fuso orario sarebbero arrivati in tarda serata, calcolò Kate «Ti va una pizza, bello?». Lucky non rifiutava mai una fetta di margherita e pensò di prenderne un paio da scaldare nel forno per i genitori, casomai avessero avuto fame.

A casa provò a mangiare, con scarso appetito. Seduta a gambe incrociate sul tappeto del soggiorno, posato il cartone della pizza sul tavolino di cristallo basso davanti ai divani di alcantara beige, faceva zapping da un canale all'altro dove i bollettini dei telegiornali tenevano il conto dei feriti della rivolta.

Le notizie del giorno erano la cura, il ferimento di Occhio di Falco e l'incertezza sulla sorte del mutante che lanciava onde d'urto, presumibilmente ucciso da Julia Green. Fenice, sua madre! Imprecò, arrabbiata per le illazioni, giacché il cadavere del terrorista non era stato trovato, e l'ultima volta era stato visto sulle spalle di un complice accorso in suo aiuto, teleporta come Kurt.

«Dicono un sacco di bugie, Lucky» inferocita, Kate lasciò l'avanzo della pizza al golden retrivier e si guardò intorno, con le mani sui fianchi. L'angolo da lettura di sua mamma, una poltrona imbottita allungabile di velluto azzurro e un paio di tavolini di appoggio per tisane, libri e compiti da correggere, era piuttosto in disordine, riviste letterarie erano sparse sul parquet.

Julia, donna ordinata, le aveva insegnato che una stabilità nell'ambiente che li circondava poteva essere propedeutica di un equilibrio della mente. Nell'ultimo periodo le era parsa meno attenta ai piccoli particolari della cura della casa, a cui abitualmente teneva moltissimo. Lo aveva attribuito alle preoccupazioni per i crescenti scontri fra umani e mutanti e all'angoscia di sapere che suo padre, nonostante i problemi di udito, non si era risparmiato a seguire lei e i colleghi nelle numerose missioni svolte a livello internazionale.

Con la propria abilità telecinetica, rimise i tomi nella libreria del salone, un arco di legno che sovrastava la tv gigante su cui lei e il padre si sfidavano accanitamente ai video giochi e la costringeva a vedere il film Romeo e Giulietta di Zeffirelli a ripetizione, con la mamma da un alto, lei dall'altro e una ciotola gigante di pop corn nel mezzo.

Raggruppò le riviste, e buttò il cartone della pizza per dedicarsi alle altre stanze. Svuotò la lavastoviglie ed esaminò il frigo, stilando un elenco di spesa abbondante che ordinò on line per una consegna rapida.

Ripiegò gli indumenti delle ultime due lavatrici asciugate e li ripose nei rispettivi guardaroba. Riordinò la propria stanza: c'era qualche vestito sparso e scarpe da ginnastica sul pavimento, i pochi trucchi permessi, dai colori pastello, rovesciati sulla mensola del bagno, il docciaschiuma aperto sul piatto doccia.

L'arco e le frecce da cui non si separava mai erano posati sulla sedia della scrivania. L'arco... lo prese, accarezzandolo sull'impugnatura. Era speciale, il tipo pieghevole usato dal Falco appena entrato a far parte dello S.H.I.E.L.D., che Kate poteva maneggiare perché lo aveva eguagliato in altezza. Quando glielo aveva donato, l'aveva fatta piangere di commozione come una bambina e si era emozionato anche lui. Non era un passaggio di consegne, perché mai si era parlato di far parte degli Avengers o di combattere, ma poco ci mancava.

Un messaggio di Julia che l'avvisò dell'avvenuto atterraggio fu un cenno del ritorno effettivo dei suoi su suolo newyorchese. La invitava a mettersi a letto, dandole appuntamento alla mattina seguente. «Le scrivo di sì, ma col cavolo che vado a dormire». Infilò il pigiama e lavò i denti, inquieta, e si stese sul letto con il cellulare e le cuffie. La musica prediletta e Lucky ai piedi, osservò il soffitto. Stelle luminose attaccate da suo papà quando era piccina erano rimaste sulla parete, nessuno dei due aveva voluto toglierle. Il braccio ripiegato sulla fronte, provò a resistere al sonno, ma fu assorbita da un dormiveglia nervoso, interrotto dagli occhi aperti sul display del telefono per controllare l'ora e rispondere ai messaggi di tutte le persone che le volevano bene: Morgan, Nives e Matias con cui si scriveva ogni giorno.

Alle due di notte sentì il rumore delle chiavi nella serratura. Si alzò, in punta di piedi ma si bloccò sulla porta che dal corridoio dava sul soggiorno. «Lucky, fermati, shh» bisbigliò all'indirizzo del cane, già pronto per fare le feste alla coppia.

Julia era al centro della sala, Clint nelle sue braccia, la testa posata sulla sua spalla, l'orecchio sinistro coperto da un grosso cerotto, preso da un pianto disperato.

Sua mamma alzò lo sguardo e le parlò nella mente. Non lo faceva spesso, solo se era particolarmente importante. Poteva percepirne il turbamento e ne comprese il motivo «Kate, papà ha riportato ferite molto gravi. I riscontri ci hanno confermato che ha perso il poco udito rimasto. Ha necessità di tempo per metabolizzare quanto accaduto. Dovremo avere pazienza e dargli tanto tanto affetto».

«Mamma, che posso fare?» la interpellò con disperazione, chiedendosi come si potesse metabolizzare un disastro simile.

«Vieni a dargli un abbraccio, intanto» Fenice la spronò con la mano, e lei e Lucky corsero, accorati. Suo padre restò fermo, la reazione al contatto fu scarsa, quasi impercepibile. Mestamente, si mosse per andare in camera da letto, con la schiena curva e la testa infossata fra le scapole.

Un'ulteriore tenebra, mostruosa, oscurò il cielo notturno di Kate e Julia.

E i giorni seguenti non erano stati meno orribili e difficili di gestire. Clint non riusciva ad alzarsi dal letto, restava chiuso nella stanza buia e non voleva farsi vedere dalla figlia. Men che mai dai colleghi che si erano presentati all'appartamento e che la moglie aveva gentilmente liquidato, o da Poe e da Nives. Offertisi di precipitarsi a New York erano stati convinti da Julia a non venire per risparmiarsi il viaggio a vuoto. Tutti gli amici la chiamavano frequentemente per farle sentire la loro vicinanza e solidarietà; e questo era già molto importante.

«Tesoro, oggi vai a scuola, proviamo a ricominciare ad avere una vita normale» dopo aver permesso a Kate di restare a casa per la prima settimana dagli eventi di Ginevra, Julia l'aveva pregata. Sarebbe rimasta lei al fianco del marito, giorno e notte, avrebbe chiesto una pausa dall'insegnamento lasciando le sue classi a Xavier, finché il Falco non si fosse ripreso. Quando? Si domandò. L'arciere non avrebbe più sentito! Dette un bacio sulla fronte della figlia per rincuorarla.

«Oggi avevamo l'allenamento. Papà non verrà più nemmeno a vedermi tirare?» la figlia strinse il proprio strumento con le nocche della mano, bianche per la forza che ci aveva messo. Non si era recata alla base degli Avengers senza il padre, non ne aveva avuto cuore; ogni giorno gli chiedeva se volesse accompagnarla, ricevendo un netto rifiuto, pronunciato con una voce flebile e strana, aggravata dall'assenza dell'udito.

«Adesso è presto per dirlo». Come avrebbe fatto suo marito a tirare con l'arco senza poter ascoltare? Forse avrebbe potuto consigliare Kate nella postura, correggere i suoi errori ma come si sarebbe spiegato? Il linguaggio dei segni imparato, e valeva per tutti e tre, era basico, e le persone intorno a loro non lo conoscevano.

«Va bene, mamma, farò come desideri, se pensi sia meglio per papà» la ragazza, preparato lo zaino con i libri, lasciò Lucky nell'appartamento insieme ad arco e frecce e si avviò verso l'ascensore.

Fenice si poggiò con la schiena al legno della porta blindata, scivolando a terra. Respirò a pieni polmoni, ventilando. Da anni non faceva gli esercizi di concentrazione insegnatile da Mystica. Conosciuto il Falco, la forza del loro amore l'aveva rasserenata sotto ogni punto di vista. Si ritrovò a utilizzarli per restare in sé, per dare a suo marito un conforto assoluto, per evitare che la vedesse triste quando dentro aveva l'inferno.

Tornò nella loro camera e si infilò a letto, aperta un poco l'anta della finestra per far entrare la luce del sole. Portava ancora il pigiama e Barton il proprio. Di spalle, posato sul fianco destro, l'orecchio sinistro finalmente sbendato, era in un classico atteggiamento respingente. «Clint, amore» almeno lei poteva parlargli nella testa. Lasciò un bacio casto sul suo collo «Volevo preparare il pesce per pranzo, i gamberi allo zenzero che ti piacciono tanto e una teglia di tiramisù al pistacchio. Ti va?».

Aspettò: la risposta stentava a uscire dalla bocca dell'Avenger. Passò il braccio sul fianco maschile ma lui lo scostò, con decisione.

«Julia, non mi va di fare niente» solo di morire pensò, eludendo di dirlo, ma lei lo vide chiaramente nella sua mente, con cui era connessa per il loro dialogo. Sussultò e il movimento del corpo lo fece chiaramente intendere.

«Perdonami, Fenice, avevo scordato che vedessi ogni mio pensiero. Sono un fallito» si mise a sedere con la testa fra le mani e poi si alzò per guardarla in faccia, mentre le urlava contro il suo dolore, immeritatamente «Non tirerò più con l'arco, che era la cosa che sapevo fare meglio, non combatterò, non andrò in missione coi miei colleghi, non potrò più vedere Romeo e Giulietta abbracciato a te, sentire la musica, non udirò più la tua voce mentre mi dici che mi ami o quella di Kate che mi chiama papà. Ti rendi conto? Non vi sentirò più». Il grido era disperato, i pugni chiusi, gli occhi iniettati di rabbia e di lacrime che gli scivolavano sul viso prima di cadere a terra. Era diventato vulnerabile, ciò che detestava maggiormente, sentirsi in balia di eventi che non poteva controllare, senza armi per combattere una lesione che aveva già vinto ogni speranza.

Fenice, in piedi a propria volta, segnò con le mani e lo sillabò con le labbra, lentamente «La cosa migliore che sai fare è il marito e il padre e non ha nulla a che vedere con l'udito. Se non vuoi più vivere perché non ti basta, sei libero di andartene da questa casa o di scegliere di farla finita, non ti tratterrò in alcun modo. Sei una delusione, credevo fossi abbastanza forte da scegliere noi, Clint. Perché se ci abbandonassi o ti uccidessi, uccideresti anche me e Kate». Indicò la porta prima e la finestra, poi, spalancando l'anta di vetro con la telecinesi. Tentò di motivarlo, mostrandosi risoluta al limite della crudeltà, pure se erano le ultime frasi che avrebbe voluto pronunciare.

«Mamma, che stai dicendo?» Kate era rientrata. Non se l'era sentita di recarsi a scuola, con Clint in quelle condizioni e, arrivata all'angolo del primo isolato, era tornata subito sui propri passi. L'aveva udita rincasare solo il cane, non Julia, impegnata nell'insolito litigio col marito.

«Tesoro, non fraintendere, ci stavamo confrontando» la bruna minimizzò, per nulla sciolta, gesticolando in modo nervoso. C'era poco da travisare nelle parole che si erano scambiati.

«Biscottina, i grandi discutono, a volte, non allarmarti» Barton si girò verso la figlia, simulando una normalità stentata. Era trasandato, con la barba lunga, bisognoso di una doccia calda e di uno shampoo.

La giovane chiuse la finestra, con il suo potere «Voi no, voi vi amate» non era un confronto qualsiasi, se ne era resa conto immediatamente. «Voi non siete due metà che si completano, siete due integrità complementari, siete lo specchio l'una dell'altro» lo segnò e fu accorata nel dirlo. Aveva cognizione del cammino affrontato insieme da Julia e Clint, dell'accettazione completa delle loro differenze: il loro amarsi senza se e senza ma li aveva portati a essere una coppia bilanciata, perfetta, a suo avviso.

Li spiazzò; le definizioni che aveva usato erano calzanti, appropriate, vere. Lei si era mostrata di una maturità sconvolgente.

Spaventata che il padre non si riprendesse dall'incidente e dalla perdita dell'udito, che le lasciasse o peggio, che la loro famiglia andasse in frantumi, prese con fermezza una decisione che avrebbe cambiato la vita di tutti loro. Ci aveva rimuginato a lungo nelle notti precedenti, rivoltandosi nel letto, in cerca della scelta giusta. Non era ancora maggiorenne ma si sentiva già adulta e pienamente consapevole delle proprie azioni. Se non lo avesse fatto e in quel preciso momento, se ne sarebbe pentita e non voleva né rimpianti né rimorsi. Camminò verso suo padre, spalancando le braccia «Andra tutto bene, papà». Lo strinse nel pigiama blu, col colletto e i polsini azzurri, più adatto a un anziano, per cui lei e la mamma lo prendevano sempre in giro.

Clint si fece cingere, troppo tardi e troppo ingenuamente per capire le sue intenzioni. E sì che lui vedeva bene, anche da una certa distanza, ma quando si trattava di un figlio la percezione della realtà era alterata, contraffatta dai sentimenti.

I propositi erano stati già intuiti da Fenice, invece «Kate, no». Si immedesimò in Charles che la implorava di non leggere nello spirito di Barton, nel loro primo incontro.

I paletti che aveva costruito nella mente della figlia si rivelarono argini inutili contro il potere che la ragazza manifestò, tanto velocemente e abilmente che non cercò nemmeno di fermarla. Non avrebbe potuto, non sarebbe riuscita comunque.

Dalle mani della giovane, posate sul cotone della giacca del pigiama celeste, un'aura dorata entrò nella schiena maschile, diffondendosi in pochi secondi nel resto del corpo di Clint.

Lucky guaì contro il suo proprietario, in preda a un'agitazione inconsueta. Le parti a vista del fisico del Falco - mani, piedi scalzi, collo e testa - si illuminarono dall'interno, creando, per qualche secondo un dagherrotipo umano, fino a spegnersi della loro propria energica coesione.

Julia vide i capelli imbiancati sulle tempie tornare color castagna, la barba lo stesso, le rughe d'espressione riempirsi ai lati del sorriso e degli occhi di un filler naturale. Immaginò il seguito, serrando la mascella.

«Papà?» Kate lo lasciò andare e lui fece un passo indietro, saldo sulle gambe.

«Ti sento, ripetilo, parlami» sentiva, Clint, sentiva perfettamente come non gli accadeva da anni, da entrambe le orecchie. Aveva percepito un leggero calore salire dai reni verso la nuca, soffermandosi alle orecchie, e scendere verso i piedi, un fuoco piacevole e rivitalizzante; la vampa si era irradiata da sua figlia, che aveva utilizzato il suo potere taumaturgico per la prima volta con un altro essere umano, nonostante gli ammonimenti e le restrizioni mentali.

«Papà, mamma, perdonatemi. So che non avrei dovuto ma...» si scusò, consapevole che la propria condotta potesse rappresentare una grande delusione per loro. Si era comportata all'opposto di come aveva promesso, di come avevano concordato «Ma potevo, potevo guarire papà, farlo stare bene. L'ho capito quando siete tornati dalla missione, e ci siamo stretti in tre. Non sarei rimasta a guardarlo distruggersi e distruggere la nostra famiglia, il vostro amore... il nostro amore».

«Grazie, biscottina» l'arciere l'abbracciò, nel pieno vigore delle forze, con impeto. La parte razionale di sé avrebbe voluto rimproverarla, ma gli mancò il coraggio.

Nemmeno sua madre, che le sorrise, muovendosi con Lucky verso di loro. In fondo al cuore aveva creduto che soltanto una magia avrebbe potuto risolvere i problemi del Falco. Una magia che a casa Barton aveva un nome: Katherine Elizabeth! Kate!

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