Capitolo 10 Di anatre laccate, di voli notturni e di costellazioni di emozioni
Nota dell'autrice
Segnalo che da quando Pietro ha distrutto l'apparecchio acustico di Clint, Julia gli ha parlato con il pensiero, affinché potesse udirlo nella mente e che sarà così nell'intero capitolo.
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Lasciati Steve e Natasha al quartier generale, Clint e Julia avevano preso un taxi in direzione di casa di lui. La jeep dell'agenzia era rimasta in garage, non potendo l'uomo guidare senza sentire.
«Nat è stata gentile a offrirsi di portare subito il tuo apparecchio acustico a Hank, ti vuole un bene dell'anima» la mutante sperava tanto che il suo amico geniale potesse ripararlo. Lo disse all'arciere, continuando a parlargli nella mente, una carezza al cerotto che aveva fermato il sangue della ferita sulla sua fronte.
Lui la strinse a sé. Gli si era accoccolata addosso, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo. Il solo suo respiro sulla pelle gli aveva provocato pensieri impuri, quasi peggio del bacio impetuoso scambiato alla base e dei più teneri che le donava ogniqualvolta alzava il volto per guardarlo «Sì, io e Romanoff siamo tanto legati. Fui mandato a eliminarla e non riuscii, fu l'unica volta in cui non portai a termine una missione e non rispettai un ordine di un superiore. Non potei ucciderla, ebbi la sensazione che volesse mollare la vita che faceva e ci azzeccai. Nat è la migliore, credimi, e fu pure la scelta migliore della mia vita, a posteriori posso affermarlo senza incertezze. Io e lei siamo stati partner a lungo, e anche adesso siamo gli unici due senza poteri fra gli Avengers: è uno status che ci ha unito ancora di più».
«L'ho visto quando ti lessi la mente» gli ribadì. Parlare nella testa di Barton per farsi ascoltare non era un'esperienza univoca: riusciva a sentire ogni suo pensiero e non poteva opporsi al passaggio di riflessioni e idee. Che l'avevano stupita in positivo.
L'attrazione fortissima era temperata dal tentativo di tenere un comportamento galante e irreprensibile, di non forzare alcun contatto, di non imporsi. Sapeva di piacere a Clint, ma mai credeva così tanto. La gentilezza, il garbo nei modi lo rendevano perfetto nell'approccio a lei, timida e poco sciolta nel corteggiamento. L'odore dell'epidermide maschile, il misto della fresca fragranza del dopobarba e dell'aroma personale, accentuato dalla leggera sudorazione, era una moina a cui Julia non poteva rinunciare.
La bocca aperta passeggiò sul collo dell'arciere che sussultò, spostando la testa indietro per farsi mangiucchiare dalla bruna «Julia, mi farai impazzire».
«Io sono già impazzita, Clint» ribatté, con un fare da monella.
«Fenice, se continuerai a provocarmi non risponderò più di me, mi arresteranno per atti osceni in luogo pubblico e stavolta non basteranno Steve Rogers e Nick Fury per tirarmi fuori dalla gattabuia» la mano carezzò il ginocchio destro della mutante sopra il collant nero, sfilato nella battaglia. Le dita camminarono verso la coscia su cui si bloccò, all'altezza di una striscia di stoffa lavorata. Capì si trattasse di una calza parigina dalla tenera carne sotto i polpastrelli, trovandolo un dettaglio molto sensuale.
Julia deglutì. Al suo tocco più intimo il sangue nelle vene aveva preso a ribollire. Gli accarezzò la guancia unendo le proprie labbra con le sue, delicatamente «Ti salverei io, Occhio di Falco».
Si staccò, suo malgrado «Mi hai già salvato, oggi, e terrò le mani a posto, lo giuro, finché saremo a casa. Ti ho invitato a cena, professoressa, cerchiamo di riuscire a mangiare l'anatra» col cellulare aveva ordinato al ristorante consigliato da Pepper, che avrebbe recapitato le pietanze opzionate al suo appartamento. Calcolando i tempi, la cena sarebbe arrivata assieme a loro.
E il ragazzo delle consegne era già sotto il portone con un contenitore termico e una busta, puntuale come un orologio. Barton pagò la corsa al tassista e lasciò una lauta mancia al commesso, non avendo bisogno dell'udito per leggere il tassametro e passare la carta di credito né per tirare fuori una banconota dal portafoglio. Il conto del ristorante era stato già saldato on line. Salì con Julia in ascensore, giocoliere di vassoi d'alluminio bollenti alla base, pregandola di aprire lei sia il portone del palazzo sia, successivamente, la porta di casa.
«Clint» sistemando la cena in un piatto da portata, al centro il petto d'anatra caramellato e ai lati il riso bianco che vi si accompagnava, Fenice cercò un ulteriore contatto «Lessi la tua mente, e ho visto che hai perso l'udito a causa del tuo lavoro. Ne vogliamo parlare? Ci terrei a saperlo». La versione dell'interessato era sempre diversa rispetto a una mera carrellata di immagini esaminate dall'esterno; la sordità rappresentava un punto focale nella vita di Barton e per qualsiasi piega avesse preso la loro relazione. Julia premette il piede sull'acceleratore, confidando che si sfogasse con lei.
Un respiro pesante a pieni polmoni colmò il vuoto del silenzio della risposta che, sulle prime, lui stentò a darle.
«Nel mio caso non si è trattato di un solo episodio ma di una successione di eventi. Caddi male, sbattendo la nuca, durante la battaglia coi Chitauri» si era lanciato con una freccia a rampino da un palazzo all'altro, in pieno centro a Manhattan e aveva spaccato una vetrata col corpo, finendo malamente sul pavimento. «Ebbi una forte perdita dell'udito a entrambe le orecchie. Un paio di esplosioni a cui mi ritrovai particolarmente vicino nel momento della deflagrazione e un calcio tra la mandibola e l'orecchio da un avversario mi fecero perdere del tutto l'udito dalla parte destra. Ne mantengo una percentuale a sinistra, per fortuna, e l'apparecchio creato da Bruce mi aiuta a vivere in maniera quasi normale, perché, purtroppo, nel mio caso, interventi chirurgici non sarebbero risolutivi. Ho sempre utilizzato gli altri sensi in battaglia, sono Occhio di Falco e non Orecchio di Falco, ma in circostanze come quella di oggi è chiaro che non ascoltare sia assai limitante, se non fatale e pericoloso per l'incolumità mia e dei miei compagni» detestava discuterne, ma l'apprensione negli occhi verdi lo aveva convinto ad aprirsi. Maggiormente le mani che tenevano le sue.
«Almeno potevi sentire me, nella testa, e ne siamo usciti incolumi» la bruna versò té caldo cinese da un bollitore sui fornelli, in bicchierini dalle decorazioni orientali viola, di ispirazione vintage, le bustine erano state fornite anch'esse dal ristorante «Hai imparato il linguaggio dei segni?».
«Un po', ma segnare da adulto dopo aver udito tutta una vita è molto difficile. So come si chiedono i biscotti» fece i gesti corrispondenti, con un sorriso triste. Il linguaggio dei segni permetteva di comunicare senza utilizzare la voce: non era soltanto un linguaggio mimico, ma possedeva una grammatica e una sintassi con regole precise.
«Potremmo studiarlo assieme» la mutante si offrì, pur potendo farsi sentire nella sua mente, avvicinandoglisi per una carezza sull'orecchio destro, quello integralmente leso.
«Grazie, Fenice, di esserci, è importante per me» commosso per la sua dolcezza e solidarietà, la baciò sulla fronte, recando il piatto fino al tavolino da fumo posto accanto al divano, con forchette, coltelli e bacchette di legno. Avevano deciso di mangiare sul sofà, piuttosto che seduti a tavola.
«Adoro le bacchette» dal viso scettico di Clint fu certa che non sapesse usarle. Avevano bisogno di distrarsi, si concentrò sulla loro cena.
La pochette e il chiodo sull'attaccapanni, sedette, tenendo il piatto sulle ginocchia e le bacchette fra l'indice e il pollice «Faccio io per entrambi». Staccò un pezzetto di anatra, già tagliata a sottili fette longitudinali, e la passò nella salsina di miele caramellato, per posarla sulle labbra dell'arciere, che le aprì per gustarla.
Il pezzetto di carne era dolce come Julia, il sapore eccezionale. Studiato il movimento, Barton le rubò i bastoncini di legno e lo replicò, con facilità, imboccandola lui «Vuoi togliermi questo piacere, professoressa Green? Non sia mai!».
Una goccia di sugo le restò all'angolo della bocca e l'Avenger la ripulì, usando maliziosamente la punta della lingua. Che fu raggiunta da quella della mutante in un gioco gradevolissimo. Dovette interromperlo per imboccarlo con un po' di riso, in un'alternanza di baci, bocconi di cibo prelibato, sorsetti di tè in cui era riconoscibile un retrogusto di gelsomino.
«Dovrò ringraziare Pepper, la fidanzata di Tony, è una donna carina». L'arciere predispose il dessert, anch'esso ordinato su suggerimento della signorina Potts «Si chiama Torta della moglie o Lou Po Bing, in inglese Sweetheart Cake, la torta del dolce amore. È una ricetta di origine cantonese, particolarmente diffusa a Hong Kong. L'ingrediente che la rende così speciale è il melone invernale candito. Mescolato a sesamo, zucchero e farina di riso glutinoso diventa il particolare ripieno di sfoglia morbida. Alcuni aggiungono anche cocco disidratato. Ci sono delle leggende legate a questo dolce e alla storia di due sposi innamorati ma poverissimi. Secondo la versione più romantica, fu creato dal marito per guadagnare il denaro sufficiente a riscattare l'amata dalla schiavitù» si era documentato in rete per essere preparatissimo.
«Sembra davvero deliziosa e tu sei promosso, avrai una A perenne nel mio registro» nel registro del mio cuore, pensò e non lo disse. Morse il dolce direttamente dalle mani di Barton che replicò, preoccupato «Non è che dopo stasera avrai pure un conflitto d'interessi ad avermi come studente? Riuscirai a essere obiettiva con me?».
«Ci proverò, come ho fatto fino adesso. I voti alti sono stati meritati» non sarebbe mai stata oggettiva perché era presa da lui. Tuttavia, finché l'allievo Clinton Francis Barton avesse avuto un rendimento alto anche nelle altre materie non ci sarebbero state complicazioni.
E Fenice non aveva dubbi che sarebbe stato uno dei primi anche nelle classi di scienze di Hank, di geografia astronomica di Ororo, di matematica di Raven. Non in quella di Erik, che insegnava storia, almeno fino a quel giorno. Dette un secondo morso alla torta e fece una riflessione «Non ho più crampi né dolori alla bocca dello stomaco né bruciori. Sto bevendo le tisane più per abitudine che per necessità e riesco a mangiare alimenti più conditi».
«Forse sei più serena» terminando il dessert, Clint percorse la sagoma delle sue labbra con il polpastrello dell'indice, mai aspettandosi le parole che Fenice pronunciò «È per merito tuo. Da quando ci frequentiamo sono più in equilibrio con il mondo. Con ogni mondo, quello dei mutanti, degli umani, il mio interiore». Era un concetto che Barton ricordò avesse sottolineato Charles in una telefonata di alcune settimane prima. Probabilmente era vero che lui, normale e senza poteri, fosse l'ago della bilancia dei conflitti interiori di persone con doti fuori dall'ordinario.
«Anch'io» l'arciere ammise l'evidenza nello stesso momento in cui ognuno dei due si tuffò fra le braccia dell'altro. La baciò con intensità, preso da ogni dettaglio di lei. Al bacio ne seguì un successivo, più infuocato.
Il vestito scese sulla scapola e mostrò la parte superiore del seno destro. Julia aveva una scarsa seconda e non amava i reggiseni, la gravità e la dimensione delle mammelline le permetteva di non indossarli senza apparire volgare.
L'idea della sua nudità spazzò via la lucidità di Barton. Spostò la stoffa e scoprì la coppa di champagne su cui spiccava un capezzolo roseo, rotondo, piccolo e tenero, un bocciolo di rosa da togliere il fiato. Era così emozionato davanti alla sua bellezza da essere rimasto senza parole; non riusciva nemmeno a toccarla, per timore di rovinare la perfezione dell'istante che stavano vivendo. Si limitò a fissarla, inebetito.
Lei, insicura, ebbe una reazione imprevedibile, opposta al carattere timido. Tolse l'abito dalla testa come fosse una maglietta e gli stivaletti dai piedi e restò davanti a lui, indosso uno slip di liscio cotone nero a vita bassa e le calze parigine, messe su insistenza di Ororo. Non ebbe vergogna di mostrarsi nella sua semplicità: lei era così, pura e lineare, e con l'arciere si sentiva al sicuro. Non l'avrebbe giudicata o messa in imbarazzo.
«Non ti piaccio, Clint?» gli domandò, stavolta, prendendo il suo mento fra le dita per farsi guardare. Gli aveva parlato con la voce e aveva voluto che gli leggesse le labbra.
«No, perdonami, è il contrario. Non ho mai visto nulla di tanto bello, Julia, né frequentato nessuna che contasse tanto per me. Sei splendida e voglio andare piano; non ho fretta, pure se ti desidero come non ho mai desiderato niente in vita mia. Non è una frase fatta, credimi, e Julia... non sei la partner di una notte o di un breve periodo, sei diventata così importante che non riesco a pensarmi più da solo» allargò le braccia e lei vi si accostò, spogliandolo del gilet di lana blu e sbottonandogli la camicia, finché non ebbe il torace nudo, senza smettere gli onnipresenti baci «Almeno saremo pari, arciere». Si strusciò sul suo petto e, al contatto, i capezzoli si inturgidirono come pungiglioni di un'ape regina, quasi dolorosamente.
Le mani callose del Falco percorsero la schiena serica della mutante, rallentando sotto i folti capelli scuri fino alle fossette di Venere, le labbra fuse si staccarono per dedicarsi al collo sottile, di niveo e candido cigno. Si soffermarono sul chiodino sporgente del capezzolo sinistro. Il paragone con le punte di freccia dei dardi che tirava lui lo colpì, come se l'arte di cui era maestro si fosse mescolata con la creatura per cui aveva perso la testa. Si nutrì del sapore dolce e salino della pelle di Julia, la mangiucchiò mentre lei lo baciava dove poteva, sulla nuca, sulla fronte ferita a causa di Pietro, sulle guance sbarbate di fresco, cingendolo a sé.
Le dita dell'Avenger giunsero al solco delle natiche intrufolandovisi, sotto la stoffa setosa delle mutandine, che volarono via, ricadendo sul pavimento, senza che nessuno dei due se ne fosse reso effettivamente conto.
Clint si alzò, repentinamente, offrendole la mano. Nel momento in cui anche Fenice si mise in piedi, si piegò sulle ginocchia e la prese in braccio con poco sforzo «Ti porto sul letto, il divano non è abbastanza per le nostre coccole, mia dolce Fenice». Era sua, Julia! E si rallegrò di aver cambiato al mattino le lenzuola con un paio fresche di bucato, forse con la speranza inconscia che vi avrebbero giaciuto insieme.
«Clint, sbrigati, non voglio stare lontana da te» mormorò lei, a voce e nella mente, quando la depose sul letto direttamente sul cotone profumato di lavanda. Lo chiamò a sé, tolte le parigine smagliate: non tanto per il piccolo strappo, quanto per non assumere un'aria troppo sexy e maliarda che non le apparteneva.
«Quanto sei sexy» Barton, vedendola nuda nel proprio letto, la spiazzò, formulando ad alta voce esattamente il medesimo pensiero. Dall'alto risultava una vera e propria dea. Il corpo era perfetto, straordinario nelle proporzioni, longilineo e con le forme al posto giusto. Ogni particolare lo colpì in una successione di compiutezza: i fianchi morbidi e armoniosi, le cosce allenate dallo jogging, il vello scuro curato a sottolineare la sua femminilità, i capelli lunghi composti di morbidi racemi di cioccolato fondente, che ricadevano oltre il collo nudo.
Abbassò le luci, rendendole soffuse, affinché si creasse una romantica atmosfera.
«Io spero di piacerti». Non desiderò altro che raggiungerla, e si spogliò a propria volta, auspicando che lo reputasse attraente almeno un quarto di quanto lei lo era per lui.
Mai il giudizio di una partner era stato tanto importante e temuto. Ma con Julia non aveva nulla di cui dubitare: ancora non lo sapeva ma lo capì di lì a poco. Lo sguardo di apprezzamento che gli lanciò, soffermandosi lentamente sui pettorali scolpiti dal duro allenamento, sulla peluria castana chiara che scendeva verso l'inguine in morbida lanuggine, fu emblematico e dissipò le sue insicurezze.
Quando la mutante arrivò a esaminare la sua mascolinità, pronta per la brama, le labbra si arcuarono ai lati e le pupille si dilatarono maggiormente.
Barton la osservò deglutire e passarsi la lingua sulle labbra, in un gesto inconscio poco fraintendibile, e parallelo al tendersi della schiena.
«Posso, mi fai spazio?» l'arciere sedette al bordo del letto francese per allungarsi accanto, spostatasi lei verso il muro. Sollevò il piumone fino ai loro visi affinché fossero ben coperti, sentendo i palmi delle mani di Fenice sul petto. La contiguità era massima, percepiva il batuffolo scuro solleticargli il pube, il respiro caldo e sospeso che gli deponeva un bacio sulla bocca e poi sullo sterno, all'altezza dei piatti capezzoli vezzeggiati abilmente con la lingua.
La mutante godette del sapore personale dell'uomo, cercandolo con lo sguardo dal basso, mentre lui giocava con le ciocche dei suoi capelli. I gemiti leggeri la guidarono, con naturalezza, alla scoperta delle zone più erogene del compagno.
Una strada di baci fra l'ombelico e l'attaccatura della coscia e il Falco scattò nella sua direzione. Dovette trattenersi e allontanarla, per afferrarla per la vita e portarla alla sua altezza, con la testa sullo stesso cuscino «Professoressa Green, tocca a me». Non le avrebbe permesso di togliergli il piacere di coccolarla.
Iniziò a baciarla ovunque, a partire dalle labbra, non scordando alcun pezzettino di pelle vellutata. Trascorse minuti infiniti sul ventre piatto, vezzeggiando l'interno dell'incavo della mandorla siciliana dell'ombelico, passando per le cosce fino ai piedini e le minuscole dita senza l'ombra di una passata di smalto. Non la udiva, Clint, lo accontentavano le reazioni del suo corpo, i brividi intensi sopra e sotto la pelle, le membra tese e frementi, gli impercettibili spostamenti sul lenzuolo alle sue gradite sollecitazioni. La rivoltò a pancia in sotto, per continuare il medesimo trattamento, stavolta dalle piante dei piedi fino ai glutei tondi simili a pesche noci mature di un'estate feconda, sulla schiena sericea, spostati i capelli, fino al collo sottile impregnato delle note del mughetto e alla nuca profumata di shampoo alla vaniglia.
Fu Julia a rigirarsi repentinamente per abbracciarlo, grata delle moine che l'avevano scaldata. Riempita di un piacere liquido, mentale e fisico, accompagnata in uno stordimento splendido, cullata ancora fra le sue braccia, gli offerse un bacio sul falco tatuato sul bicipite, simbolo della sua essenza di uomo e di agente.
L'Avenger possedeva un lato estremamente concreto e pragmatico ma era altrettanto tenero e altruista, generoso nel talamo accogliente che li ospitava. Voleva farla stare bene, scoprire ciò che lei gradiva, senza fretta alcuna di bruciare le tappe. Lo espresse anche a parole, mentre la mora gli passava le mani fra i capelli castani e i loro occhi erano rapiti, scambievolmente. La mano destra sul seno sinistro della sua adorata gli rivelò un battito cardiaco accelerato, tipico di un uccellino timoroso caduto dal nido e appena raccolto «Ogni cosa a suo tempo, mia dolce Fenice, voglio che la nostra prima volta sia davvero speciale, come sei tu per me e come lo è il nostro rapporto, non desidero sciuparlo». Avrebbe potuto prenderla con foga, lì e subito, sicuro che avrebbe acconsentito e che sarebbe stato comunque splendido. Tuttavia, preferì aspettare il momento giusto e davvero perfetto per unirvisi in modo completo, ritenendo che non potesse esserlo la giornata strana e piena di brutture appena vissuta, segnata da inaspettati combattimenti e dal tradimento ineluttabile di un caro amico ingannatore.
Julia non rispose, né verbalmente né nella testa dell'arciere. Fece di più. Lo corrispose con un bacio intenso e viscerale.
Ne sarebbero seguiti moltissimi altri in una lunga notte, ugualmente indimenticabile, in cui un Falco e una Fenice avrebbero volato assieme, in un cielo costellato di emozioni.
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Nel prossimo capitolo il cast si arricchirà di un nuovo, incredibile componente! Stay tuned!
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