Capitolo 8
Spazio autore:
Chiedo a voi tutti di scusarmi per essermi assentata in questi giorni, ho avuto un 'piccolo' problema che si chiama: università.
Spero di non aver causato disagi o altro e vi invito a continuare a leggere la mia storia.
Inoltre, aggiungo uno speciale invito a leggere le storie di una mia amica, blackwolf238, e quella di un'altra mia amica, SweetCreation94, "Dolce successo".
Per il resto nient'altro e ...
buona lettura!
Avevo gli occhi chiusi, il buio mi avvolgeva, e mi sembrava di essere sdraiato per terra, quando, a poco a poco, iniziai a sentire diversi rumori. Alcuni forti e altri deboli. Non capivo cosa fossero, eppure mi sentivo bene, tranquillo, in pace con me stesso. Così cercai di sforzarmi per provare a distinguere quei rumori assordanti che, pian pian, si mutarono in dolci suoni naturali, e, magari, avrei potuto cogliere i profumi che mi circondavano, per poi aprire gli occhi per ammirare ciò che avevo intorno a me.
Mi misi seduto e il primo suono che riuscii a rendere più chiaro fu il rumore del mare che si infrangeva sulla sabbia che percepivo sotto le mie mani, granulosa e morbida al tempo stesso, accompagnata dal suo profumo. Più tardi sentii il verso di alcuni gabbiani non molto lontani da me, ciò mi portò a sentire il calore del sole sulla mia pelle, in contrasto con la freschezza che emanava la sabbia bagnata sotto di me.
Mi alzai. Ecco, in quel momento ero convinto di essere pronto. Avevo capito dove mi trovavo e sapevo che quello non era un posto come tutti gli altri. Piuttosto, più che saperlo, lo percepivo, lo sentivo. Sentivo che, ciò che provavo stando lì, non era un qualcosa legato al fisico, ma andava più in là, come se non fossi legato a quel posto tanto con il mio corpo, quanto con la mia anima.
Decisi, così, di aprire gli occhi. Sollevai le palpebre velocemente e l'impatto con la luce del sole fu dannoso. Mi accecai, così gli richiusi immediatamente. Però ero determinato, volevo vedere dove mi trovavo, se era il luogo a cui stavo pensando. Ci riprovai, stavolta più lentamente, aspettando che i miei occhi si abituassero alla forte luce. Dopo averli abituati, ebbi una chiara visione di dove mi trovavo. Ero in spiaggia.
Rivolsi lo sguardo verso il cielo azzurro e senza nuvole, vidi il sole luminoso e i gabbiani che, avevo sentito prima, volare sopra di me. Mi girai su me stesso per osservare ogni cosa, la sabbia, qualche scoglio in lontananza, e sentivo la fresca brezza marina che spazzolava dolcemente i miei capelli. Completando il giro, mi fermai.
Eccolo lì, lo sapevo, non poteva essere che lui. Avevo davanti a me il mare della mia infanzia, di colore azzurro con i riflessi sul verde chiaro e così limpido che ci si poteva specchiare. Era uno spettacolo. Crebbe subito in me la voglia di andare a mettere i piedi nell'acqua. Desideravo farlo. Così non me lo feci ripetere due volte e iniziai a correre, entusiasta, verso quella enorme distesa di acqua salata, quando, all'improvviso, sentii la presenza di qualcosa o qualcuno dietro di me. Mi fermai e mi voltai. Il mio entusiasmo fu interrotto.
Non molto lontano da me, vidi una figura femminile che agitava le braccia e sembrava che stesse cercando di attirare l'attenzione di qualcuno. Mi guardai intorno e non vidi nessuno, così intuii che doveva avercela con me. Ero piuttosto confuso, non sapevo chi fosse quella ragazza, ma ricambiai lo stesso il saluto e lei mi sorrise. Non riuscivo a vedere bene i suoi lineamenti, perciò non riuscii a capire chi fosse, sapevo solamente che doveva conoscermi, perché l'unica cosa che sentii pronunciare dalle sue labbra fu il mio nome. Poi il buio.
«Marco! Ehi, Marco ... ci sei? Forza riprenditi.», sentii una voce maschile familiare chiamarmi. Forse era troppo familiare ... Matteo.
Fui leggermente scosso per far sì che mi svegliassi. Ma continuai a tenere gli occhi chiusi, ero stanco e volevo solo dormire. Però Matteo insisteva, continuava a scuotermi e a chiamarmi. Non riuscivo a capire il perché. Aveva, forse, bisogno di qualcosa? Non poteva chiedermelo più tardi? Ero troppo stanco.
«Avanti, Marco. Svegliati.», alla voce di Matteo se ne aggiunse un'altra che riconobbi immediatamente. Era Vanni. Adesso erano in due che, a quanto pare, insistevano a buttarmi giù dal letto. Continuavo a domandarmi il perché, qualsiasi cosa volessero, avrebbero dovuto aspettare. Volevo continuare a dormire.
«Non si sveglia? Forse il colpo che ha ricevuto è stato troppo forte. Sarebbe meglio se lo portassimo subito in ospedale ... sono molto preoccupata.», adesso chi parlava era una ragazza.
Una ragazza? Che ci faceva in camera mia, con i miei amici? Doveva essere, sicuramente, una delle "amiche" di Vanni. Ma perché aveva parlato di ospedale? Qualcuno si era ammalato? Oppure ferito? Io, no di certo. Stavo bene, forse un pò raffreddato, ma non da essere portato in ospedale.
Era un tantino esagerato.
«Allora ragazzi, come sta? Si è ripreso?», in quel momento sentii un'ulteriore voce maschile, però, diversa da quella dei miei amici. Era più profonda e cupa ed era comunque familiare alle mie orecchie. Emilio. Che ci faceva a casa nostra? Non capivo più nulla e mi sentivo sempre più stanco. Iniziai, inoltre, a sentire un forte dolore alla testa. Chissà perché.
«Niente, Emilio. Non si sveglia. Il pugno che ha ricevuto da quel tipo è stato molto forte. Il naso, per fortuna, non è rotto, ma ha un occhio nero.», gli comunicò Matteo.
«E allora se non ha nulla di grave, perchè continua ad uscirgli il sangue dal naso e, soprattutto, perchè non si sveglia?», gli chiese la ragazza, con un tono piuttosto allarmato.
«A questo posso risponderti tranquillamente. Marco ha il setto nasale piuttosto delicato, questo in seguito ad un incidente che ha avuto da bambino con un giocattolo. Quindi, a qualsiasi botta che prende sul naso, si rompono i capillari e conseguenza? Forte emorragia, che si interrompe dopo un pò. Sta tranquilla, per adesso le uniche cose che possiamo fare sono fermare la fuoriuscita di sangue dal naso e tenere il ghiaccio per cercare di sgonfiargli la faccia. Però, riflettendoci, forse hai ragione, Giada. Sarebbe meglio portarlo in ospedale, giusto per fare un controllo.», concluse Matteo. Di che diavolo stavano parlando? Tipo? Pugno? Ospedale? Una botta sul naso? Faccia gonfia? E, soprattutto, Giada? Chi era Giada?
Basta, dovevo svegliarmi. Volevo comprendere la ragione per cui tutti si trovassero nella mia stanza.
«Ho capito. Anche io penso che sia meglio così. Non preoccupatevi, ragazzi, al locale ci pensiamo io e gli altri. Voi prendetevi cura di Marco e fatemi sapere.», disse Emilio con un tono preoccupato. Era strano sentirlo così. Qualsiasi cosa stesse succedendo, doveva essere molto grave.
«D'accordo.», dissero in coro i tre ragazzi.
Nello stesso istante in cui provai ad aprire gli occhi, ebbi un sussulto. Una fitta molto forte alla testa e iniziai a sentire dolore su tutta la faccia, in particolare sul naso. Che cosa stava accadendo? No, mi dovevo svegliare. Dovevo assolutamente capire.
«Come facciamo a portarlo in ospedale?», chiese la ragazza.
«Noi abbiamo la macchina. Lo sistemiamo sui sedili posteriori e io mi siedo affianco a lui, così gli reggo la testa e mantengo la stecca del ghiaccio. Mentre Vanni guiderà. Tu, Giada, invece puoi anche tornare a casa, se vuoi. Penso che tu sia già abbastanza scossa e faresti meglio a riposarti. Appena sapremo qualcosa sul suo stato, ti daremo notizie, ok?», concluse Matteo.
La ragazza fece un sospiro e iniziò:
«Sentite, io non vi conosco molto bene, anzi siete dei perfetti estranei per me, però so che siete suoi amici e, soprattutto, ho conosciuto Marco solo ieri. Questa sera ho avuto l'occasione di rivederlo e dopo quello che mi è successo, lui è stato l'unico ad aiutarmi, nonostante ci conoscessimo solo da due giorni. Di solito non mi fido degli sconosciuti e sono molto diffidente, soprattutto con i ragazzi, ma con lui è stato tutto diverso. Non so il perché, ma desidero solo stargli accanto, aiutarlo, proprio come lui ha fatto con me e se si trova in questo stato, privo di conoscenza, con un occhio nero e con la faccia gonfia, la colpa è solo mia e del mio essere così egoista. Perciò verrò con voi, che vi piaccia o no. Glielo devo, chiaro?», disse la ragazza decisa, anche se ancora un po' scossa da tutta la faccenda.
«D'accordo.», rispose immediatamente Vanni.
«Se è questo ciò che desideri, Giada. Vorrà dire che verrai con noi.», concluse con tono arrendevole Matteo.
La sensazione di fresco che provavo all'altezza del mio viso fu interrotta, segno che Matteo doveva aver allontanato la stecca di ghiaccio da me.
Poco dopo sentii la presenza dei miei amici accanto alla mia persona.
Ancora non mi era del tutto chiara la situazione, sapevo solamente che, da quello che avevo sentito, Matteo, Vanni, Emilio e quella ragazza, Giada, erano preoccupati per me.
Ma per cosa ancora non lo avevo capito. Sembrava che mi fossi fatto male, anzi che qualcuno mi avesse tirato un pugno in faccia e che, colto di sorpresa, io fossi caduto per terra, a quanto pare, svenuto.
E sembrava che avevo subito tutto ciò, solo, per aver difeso quella ragazza che, a quanto pare, conoscevo da solo due giorni. Strano, non ricordavo nulla. Così, prima che ci potessero essere dei fraintendimenti o incomprensioni, cercai di aprire gli occhi.
«Mmh ... », mi lamentai. Nel provare a svegliarmi, quel dolore che avevo solamente avvertito poco tempo prima era ritornato, e più forte che mai.
«Ragazzi, avete sentito? Fate un attimo silenzio. Credo che Marco si stia svegliando.», era la ragazza che aveva parlato.
Sollevai lentamente le palpebre e continuai a lamentarmi in maniera piuttosto flebile. Ero ancora in una sorta di dormiveglia, potevo sentire tutto ciò che accadeva intorno a me, ma non potevo ancora interagire. Evidentemente il pugno e la caduta dovevano aver causato non pochi danni al mio corpo che, ahimé, non era molto robusto.
Il dolore era diventato insopportabile, tuttavia ero ancora più ostinato e avevo deciso che era il momento di smetterla di essere un mezzo morto. Intanto nella stanza era calato il silenzio, forse perchè speravano di sentire la mia voce, o almeno qualcosa che le somigliasse.
Aprii finalmente gli occhi.
La prima cosa che vidi fu un soffitto scuro e mi resi conto che non era quello della mia stanza.
Percepii sotto il mio corpo una superficie piuttosto dura, che sicuramente non era il mio letto e non ero neanche avvolto tra le mie coperte calde, sembrava essere una panca.
Sentivo freddo e, se la memoria non mi ingannava, conoscevo solo un posto così freddo. Lo spogliatoio dei dipendenti del locale di Emilio, dove ero costretto a cambiarmi ogni qualvolta accadeva qualcosa alla mia 'uniforme', il che succedeva quasi sempre.
Quindi non ero a casa, ma nel locale di Emilio, questo voleva dire che era sera e che io stavo lavorando. Poi al mio naso dolorante arrivò un profumo dolce e delicato.
Era molto buono, doveva essere sicuramente vaniglia.
Rivolsi lo sguardo alla fonte che lo emanava e i miei occhi scuri si incontrarono con un paio di perle verdi che racchiudevano sfumature ramificate di marrone. Erano stupendi.
Dopo essermi soffermato sugli occhi, passai ad ammirarne il viso, incorniciato da alcune ciocche castane. I suoi lineamenti erano delicati e dolci, naso piccolo e con la punta all'insù, labbra rosee e sottili, un pò arrossate, doveva averle torturate mordicchiandole.
Dal viso passai al corpo, esile e slanciato, ed era una ragazza abbastanza alta.
Dopo averla squadrata da capo a piedi, ritornai a concentrarmi sul suo viso. Aveva gli occhi lucidi e mi stava sorridendo, tratteneva a stento il suo entusiasmo. Il suo sorriso era così familiare, dove lo avevo già visto?
Mi misi seduto e il mio sguardo passò, da lei, ai due ragazzi che le si paravano dietro. Matteo e Vanni. Entrambi sorridevano.
Poi rivolsi il mio sguardo verso il lungo specchio posizionato in verticale e appeso al muro, che avevo davanti. Mi guardai.
Era tutto normale.
Avevo addosso la felpa scura, i jeans scuri, le mie converse nere e bianche e in testa lo stupido cappello che odiavo tanto.
Guardai meglio il cappello e notai un particolare, così me lo tolsi per verificare meglio.
Era diverso da quello che indossavo di solito, questo aveva delle stelline che si illuminavano. Lo fissai a lungo, forse cercando una risposta che, naturalmente, non arrivò.
Dopo guardai nuovamente lo specchio e notai che il mio naso e la mia bocca erano sporchi di sangue, mi toccai e verificai se l'emorragia fosse finita. Avevo l'occhio destro nero e quella parte della faccia completamente gonfia. La mia attenzione si spostò, dalla mia figura riflessa nello specchio, a quella dei tre presenti nello spogliatoio insieme a me.
«Scusate, posso sapere cosa diavolo mi è successo?», rivolsi la domanda a tutti e tre i ragazzi, rompendo quell'assurdo silenzio.
«Marco, a dire il vero, vorremmo saperlo anche noi. Almeno per quanto riguarda me e Matteo. Sappiamo solo che stavi facendo a botte con qualcuno, ma non abbiamo capito il motivo.» Vanni fu il primo a parlare.
Lo guardai confuso. Stavo piacchiando qualcuno? Io non avevo mai picchiato nessuno in vita mia, semmai le avevo solo prese. Preferivo difendermi con le parole, ma a volte la mia lingua agiva senza controllo, era più veloce lei che la sinapsi che doveva dire al mio cervello di fermarmi e scappare.
«Non so di cosa tu stia parlando.», gli dissi.
Entrambi i ragazzi si guardarono per poi sospirare e spostare il loro sguardo sulla ragazza accanto a me.
Mi misi seduto, con le gambe rivolte verso terra, ero di fronte a Giada, Matteo e Vanni.
Mi accorsi che lei, da quando mi ero svegliato, non aveva fiatato, anzi, aveva abbassato lo sguardo, non sorrideva più e non si era spostata neanche di un millimetro dalla sedia che stava vicino alla panca dov'ero seduto io.
Feci un gesto involontario, le presi le mani e appena i nostri sguardi si incrociarono, mi ricordai di lei.
Fu come una sorta di flashback. Ricordai subito gli avvenimenti delle due ultime sere a lavoro, il nostro incontro causato dalla sua attenzione attirata da me, che ero troppo distratto e preso dalla musica, la sua ordinazione che le serviva per dimenticare il suo ex, la chiacchierata che avevamo fatto, tutto questo durante la prima sera.
La seconda, invece, cioè quel giorno stesso, c'era stato uno scambio di battute sul mio strano cappello versione 'lampadario cinese scadente', la sua telefonata, il mio cercare di tirarla su con una birra, il suo fraintendimento, la sua fuga, il tipo che la importunava, il mio intervento e ... oh ... ora mi era tutto chiaro.
Sapevo perchè ero conciato in quel modo e non lo avevo fatto per una sconosciuta, ma per una ragazza che, anche se conoscevo da due giorni, avrei voluto che si interessasse a me e che volevo conoscere meglio.
Adoravo stare in sua compagnia e dopo quello che avevo sentito durante la telefonata, ne ero ancora più convinto.
Abbassò ancora una volta il suo sguardo, le guance rosse, si stava trattenendo.
«Ragazzi potete uscire, per favore. Dovrei parlare con Giada.», dissi con tono freddo e distaccato, senza distogliere lo sguardo da lei.
«Sicuro di stare bene?», mi chiese Matteo con tono preoccupato.
«Se vuoi ti portiamo in ospedale.», continuò Vanni.
«No, ragazzi. State tranquilli, sto bene. Adesso uscite, per piacere.», dissi spostando il mio sguardo sui miei due migliori amici e rivolgendo loro un sorriso.
Matteo e Vanni acconsentirono, presero le loro cose ed uscirono silenziosamente, senza proferire parola.
I miei occhi tornarono sulla ragazza. Io e lei dovevamo chiarire alcune cose.
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