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Capitolo 5

«Mhm ... », mi lamentai.
C'era qualcosa che mi infastidiva e non capivo cosa fosse. Così aprii un pò gli occhi e mi accorsi che dalle persiane della mia stanza entrava un filo di luce, proprio nella direzione del mio viso.
«Uffa!», brontolai e misi la testa sotto il cuscino per cercare di trovare un pò di pace.
Ma in quel momento suonò la sveglia del mio Iphone e alzai gli occhi al cielo. Erano le 8.00 ed era sabato!
Ci eravamo ritirati alle 4.00 del mattino, cosa che non accadeva sempre, soprattutto se era un giorno in mezzo alla settimana e non il week end, e io stavo morendo dal sonno.
Per fortuna quella mattina né io e né Matteo dovevamo andare in ospedale, ma dovevo comunque svegliarmi presto.
La tesi non si scriveva da sola e io dovevo ancora scegliere l'argomento.
Mi misi l'anima in pace e mi alzai. Cercai di svegliarmi stropicciando gli occhi, ma niente. Così andai direttamente in bagno e mi lavai la faccia con l'acqua fredda. Quel metodo sì che funzionava!

Bussai alle porte di Vanni e Matteo, sperando che si svegliassero subito. Quel giorno toccava a loro andare a fare la spesa e io avevo il 'romantico' ruolo di fare da sveglia a tutti.
Ma quella mattina avevo bisogno di essere svegliato io per primo.
«Forza ragazzi! Su, sveglia!», per attirare la loro attenzione, battei sulle porte di ognuna delle loro stanze e poi sui muri. Insomma feci un gran fracasso. Mi avrebbero odiato, ma era per il nostro bene. Se non uscivano loro, saremmo morti di fame!
«Sono sveglio!», urlò, con una voce impastata dal sonno, Matteo da dentro la sua stanza.
«Non voglio sentirti. Voglio vederti in piedi, pezzo di idiota. E stessa cosa vale anche per te, Vanni! Alzatevi, intanto io vado a preparare il caffè.»
«Ce lo porti a letto, amore? Con tanto di cornetto, se non ti dispiace.», disse Matteo.
Dalla camera di Vanni sentii ridere.
Meglio così, si era svegliato e mi aveva risparmiato un blitz in camera sua per buttarlo giù dal letto.
Una volta, insieme a Matteo, alzammo il materasso con lui sopra e lo rovesciammo, facendolo cadere con tutte le coperte addosso. Non volevamo crederci, ma dormiva ancora! Non capivo come facesse, fatto sta che tra noi tre era lui quello che aveva il record di più ore di sonno nel nostro appartamento.
«Muovetevi!», conclusi sbuffando.

Mi diressi in cucina con l'idea di preparare la colazione per tutti e tre. Ma prima ci voleva un bel caffè forte, soprattutto per il sottoscritto.
Accesi il fuoco sotto la macchinetta, preparai un cestino con biscotti e cornetti, comprati al supermercato, tirai del succo di frutta all'arancia rossa e all'ace e poi il latte per chi lo volesse. Presi anche tazzoni, cucchiaini e zucchero. Insomma, ero piuttosto bravo nel preparare le cose.
O meglio, ero bravo nell'organizzare le cose, soprattutto se si trattava della nostra casa. Ero una sorta di 'mamma' per quei due e la cosa non sapevo se mi infastidisse o meno. Il caffè intanto era pronto e lo divisi in tre tazzoni.
«Siete in piedi?», urlai, dopo che mi sedetti al mio posto, in direzione della finestra. Fuori c'era il sole ed era abbastanza forte da illuminare l'intera cucina.

«Eccoci! Visto? Siamo riusciti ad alzarci, mammina.», disse Matteo facendomi la caricatura, ancora una volta.
«Ma ce l'hai con me, Matteo? A prima mattina, poi ... »
«Nooo, ma che vai a pensare?! Io ti amo!», dichiarò per poi venire verso di me, afferrare il mio viso e stamparmi un bacio sulla guancia.
Lui rise, mentre io alzai gli occhi al cielo e mi passai la mano sulla guancia, come per pulirmi.
Poi si sedettero al loro posto, Vanni accanto a me e Matteo di fronte. Avevamo un tavolo rettangolare, di medie dimensioni e con quattro sedie, perfetto per noi tre.
«Come sei spiritoso.», gli feci io, linciandolo con lo sguardo.

«Programma della giornata?», mi chiese Vanni.
«Ho dato uno sguardo veloce, mentre preparavo la colazione e ho visto cosa manca e cosa non manca. Quindi, vi ho scritto la lista della spesa. Andate al supermercato che sta qui all'angolo e troverete tutto. Quando avete finito, direi che potete tornare e mettere a posto le cose. Poi stasera, dobbiamo andare a lavoro.», risposi ridendo. «Hai aggiunto ciò che potrebbe mancare nel bagno? Tipo se abbiamo finito il bagnoschiuma, o il sapone per le mani, o addirittura il dopobarba o altro?», puntualizzò Vanni.
«A dire il vero no.», "Cavolo! Come ho fatto a scordarmi?", pensai.
«Non preoccuparti, dammi la lista che vado a dare un'occhiata io, però dopo che abbiamo finito la colazione.», concluse lui.
«Ok ... », dissi sconsolato. Stavo perdendo colpi e la cosa non mi piaceva affatto.
«Marco, tu che farai, invece?», mi chiese Matteo, masticando il biscotto che aveva appena inzuppato nel suo latte e caffè, distogliendomi dai miei pensieri.
«Io vorrei impiegare la mattinata per organizzare la tesi. Scegliere l'argomento e fare un piano per svilupparla al meglio. Punto al massimo e vorrei riuscirci.»
«Il solito secchione.», dissero in coro. Risi.

«Una cosa ... ho notato che eri piuttosto tranquillo e rilassato ieri, mentre tornavamo a casa. Per tutto il tragitto non hai spiccicato una sola parola, cosa molto strana quando si tratta di te. Successo qualcosa di interessante al locale?», mi chiese Vanni.
Matteo smise di inzuppare il cornetto appena preso e si voltò verso di me, guardandomi stupito. «Che mi sono perso?»
«A cosa ti stai riferendo?», chiesi confuso.
«Guarda che dal palco si vede tutto e ti ho visto. Eri in 'dolce' compagnia ieri sera, mentre lavoravi.», continuò Vanni sorridendomi maliziosamente.
Matteo passò il suo sguardo confuso tra me e Vanni, per poi ripetere: «Che mi sono perso?»
«Nulla, Matteo, Vanni esagera. Ho solo parlato con una ragazza che voleva da bere. Niente di che. E poi io sono un tipo abbastanza silenzioso e tranquillo e ieri ero molto stanco e non mi andava di fare conversazione, tutto qui.», dissi alzando le spalle.
«'Solo parlare'?! Quella ragazza non si è schiodata dallo sgabello, sul quale era seduta, e avete parlato per ore. Secondo me, le sue amiche sono state costrette a inventarsi una scusa per farla staccare dal bancone! E comunque sei tornato con un sorriso ebete sulla faccia. Secondo me sta notte hai dormito molto tranquillamente.», si espresse Vanni.
«Ma va!», esclamai.
«Visto che mi sono perso questa scena, potrei sapere, almeno, com'era?»
Chiese interessato e anche un pò deluso Matteo, per poi sfoderarmi, anche lui, un sorrisetto malizioso.
«Non c'é molto da dire ... era carina e piuttosto simpatica. Ma sono sicuro che non la rivedrò mai più. Non penso che ritorni al locale un'altra volta, perciò non fissiamoci e vediamo di finire di mangiare, così voi uscite e io vado a studiare.»
«Sì mamma!», dissero in coro, prendendomi ancora una volta in giro. Povero me!

Dopo averli salutati e aver messo a posto la cucina, andai direttamente in camera. Mi misi alla scrivania, accesi il computer e mi munii di carta e penna. Iniziai a pensare a quale argomento avrei potuto trattare nella mia tesi, se volevo riuscire a laurearmi. So che dopo mi sarebbe toccato il tirocinio postlaurea e l'Esame di Stato, ma avrei fatto di tutto per diventare un medico a tutti gli effetti. Era da sempre il mio sogno e dopo anni di sforzi, ci sarei riuscito. O almeno speravo. Essendo un perfezionista e anche un maniaco del controllo, puntavo sempre in alto e per la tesi avrei voluto trovare un argomento interessante, che avrebbe dovuto attirare l'attenzione dei professori e, magari, dare inizio a una vera e propria discussione. Sarebbe stato incredibile.

«Marco, siamo tornati. Scusa se ci abbiamo messo un pò, ma abbiamo trovato folla alla cassa.», la voce di Matteo mi destò, facendomi saltare sulla sedia e spaventandomi.
Erano appena rientrati, sentii la porta chiudersi e le buste di plastica che venivano poggiate sul tavolo.
Dopo essermi ripreso, gli gridai: «Ok, ragazzi. L'importante è che avete comprato tutto.»
«Sì sì. Abbiamo preso tutto quello che stava scritto sulla lista. Tu, piuttosto, hai fatto qualcosa?», mi chiese Vanni.
«Sì, ho messo a posto la cucina e sono venuto in camera a studiare ... », mi guardai attorno, spalancai gli occhi e mi resi conto della cazzata che avevo appena fatto.
"Cazzo! Mi sono addormentato. Non ho fatto nulla di quello che avevo in programma. Come diavolo è successo?", pensai sbalordito.
Dovevo essere veramente stanco, eppure quella notte avevo dormito tranquillamente. Vanni ci aveva visto giusto.
E non mi capitava da un pezzo. Forse non mi era mai capitato nella mia vita di dormire tranquillamente. In genere avevo un sonno piuttosto agitato, mi muovevo mentre dormivo e il più delle volte mi svegliavo senza coperte. Non ne capii mai il motivo, ero solo consapevole di quello che facevo.
"Devono essere le poche ore di sonno che abbiamo fatto, solo 4 non sono un granché. Dai Marco! Hai ancora tanto tempo e se tutto va bene a novembre dell'anno prossimo sarai dottore a tutti gli effetti e capace di poter operare.", pensai cercando di incoraggiarmi.

«Vanni dai! Ma perché ogni sera dobbiamo arrivare in ritardo a lavoro?», disse Matteo esasperato.
«Arrivo! Ci stavamo scordando l'amplificatore.», rispose Vanni affannato. Portava una cassa enorme con sé e quando io e Matteo lo vedemmo, non potemmo fare a meno di ridere e poi di corrergli incontro per aiutarlo a caricare la cassa in macchina.
«Perché Marco guida la mia macchina e perché ci sto io dietro con l'attrezzatura??», chiese Vanni guardandosi intorno e per poi rivolgerci uno sguardo confuso.
Io e Matteo iniziammo a ridere e poi quest'ultimo parlò: «Ci chiedi anche il perché?! Innanzitutto non vogliamo rischiare di arrivare tardi perché tu ti ostini ogni volta a prendere quella maledetta scorciatoia, che non fa altro che farci allungare la strada e farci perdere. Poi, sei stato l'ultimo ad uscire. Sei tornato indietro almeno quattro volte dicendo che avevi dimenticato le chiavi, il cappello, la sciarpa e alla fine l'amplificatore! E il tutto alle 19.55! Ti sembra normale?! A me no!» Poi gli occhi color verde smeraldo di Matteo iniziarono a squadrare Vanni dalla testa ai piedi. Li spalancò e urlò: «Ma Vanni! Cosa diavolo ti sei messo addosso?! Ma come ti sei vestito?»
Vanni sospirò spazientito e io scoppiai a ridere.
«Marco attento alla strada! Non voglio finire male.», mi disse Matteo.
«Sì tranquillo. Ho tutto sotto controllo.»
«Speriamo. E non voglio neanche rovinarmi la pettinatura. Ci ho messo impegno nel prepararmi io! Al contrario di qualcuno altro ... », si passò una mano tra i suoi capelli castano chiaro, che aveva alzato con una mantagna di gel, e poi lanciò uno sguardo glaciale su Vanni. Lui, al contrario, aveva indossato una maglia nera con una scritta particolare, una camicia a quadri rossa e nera e un paio di jeans strappati e un paio di converse nere. Per finire un giubbotto nero. Io, invece, avevo la mia solita 'divisa'.
«Che cosa c'è che non va con quello che ho addosso?», disse quest'ultimo.
«Marco dimmi se uno che suona la batteria può andare in giro con un jeans chiaro, una T-shirt bianca con un emoticon gialla e con sotto una dolcevita nera, un paio di vans e il tutto con un giubbotto rosso con sciarpa e cappello nero di lana! Ma si può?!», continuò Matteo.
«Ma dai la fai troppo tragica. E poi siamo a dicembre e io ho freddo.», disse Vanni.
«Sono d'accordo con lui. Rilassati e goditi il viaggio.», ribadii.
«Uffa! Che begli amici che ho.», concluse Matteo.
Io e Vanni continuammo a ridere.
Ebbene si. Eravamo tre ragazzi, completamente diversi per aspetto fisico, carattere e potenzialità, eppure riuscivamo a condividere lo stesso spazio in maniera civile. O almeno credevo, mi illudevo, ci speravo. Forse l'unica cosa che ci accomunava era il fatto che avevamo una corporatura normale tutti e tre, ma Vanni era un pò più sottile rispetto a me e Matteo. Comunque eravamo sempre buoni amici, lo saremmo sempre stati.

Ore 21.00 del sabato sera, apertura del locale. Eravamo pronti. Chi dalla parte del bancone, chi a servire ai tavoli e chi a suonare. C'era un pò di gente fuori dal locale, forse erano rimasti sbalorditi dalla presenza dei ragazzi sul palco o dal buon servizio, o dall'odioso cappello di Babbo Natale che ero stato costretto ad indossare e sta sera anche con le stelline illuminate. Era la mia punizione. Emilio si era accorto che la sera precedente non lo avevo indossato, inutile cercare di inventarmi scuse per giustificarmi. Perciò dovevo indossare questo per tutto il periodo di Natale oppure mi avrebbe licenziato. E io accettai, mio malgrado.

Il locale era pieno anche quel sabato sera. Forse troppo. Mancavano due settimane precise prima di Natale e io non avevo uno straccio di idea per i regali. Per fortuna, eravamo riusciti a convincere Emilio a lasciarci liberi per la settimana del 25, ma non quella del Capodanno. Poco male, avrei passato quella settimana dai nonni e avrei pensato alla tesi. Ero a un punto morto. Poi la mia mente passò a un altro pensiero. Quella ragazza. Giada. Mi era rimasta impressa. Era carina, molto carina, spiritosa e mi sarebbe piaciuto rivederla ancora. Parlare un'altra volta e sentirla ridere. Forse ci speravo. Ma non sapevo neanche il perché, visto che l'avevo vista una sola volta e per me era una completa sconosciuta. Però ammettevo a me stesso che speravo che quella sera le venisse in mente l'idea di tornare al locale.
«Ehi! Possiamo avere qualcosa da bere?», due ragazzi richiamarono la mia attenzione e cercai di non pensare a niente e a nessuno.
"Marco stai lavorando. Forza.", dissi a me stesso.
«Che vi porto?», chiesi rivolgendo un sorriso cordiale.

Versai da bere ai ragazzi che avevano appena ordinato, quando sentii una voce familiare. La voce frizzante, acuta e chiara al tempo stesso, dire ridendo:
«Stasera abbiamo anche le lucette sul cappello?».
Mi voltai. Era lei.

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