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Capitolo 4

Spazio autore:
Buonasera a tutti!
Prima di lasciarvi alla lettura, volevo dirvi un paio di cosette.
Prima di tutto vi ringrazio per le visualizzazioni. Sono contenta che la storia vi piaccia.
Seconda cosa volevo fare un ringraziamento speciale a SweetCreation94 per avermi dedicato una pagina della sua storia "Dolce successo." e vi  consiglio di andare a dare un'occhiata. È un qualcosa di imperdibile!
Ora vi lascio e ... buona lettura!

«Marco ci sei?!»
Sentii bussare e una voce familiare dietro la porta mi chiamava.
«Mhm, che vuoi Matteo?»
«Marco svegliati e alzati! Guarda che sono già le 19.30 per le 20.15 dobbiamo farci trovare al locale. Dai! Il proprietario ha già chiamato per sapere se ci siamo e io ho risposto di si.»
«Sì, sì. Hai fatto bene. E comunque, sono già in piedi. Dammi dieci minuti e arrivo.», dissi sedendomi sul letto.
Mi passai la mano tra i capelli e mi stropicciai gli occhi, cercando di tenerli aperti. Ero giá stanco e non avevo neanche iniziato a lavorare. La giornata mi aveva distrutto.
Mi ero addormentato come un sasso e se Matteo non mi avesse chiamato, probabilmente sarei rimasto lì a dormire ancora un altro pò.
Sbadigliando, mi alzai e corsi direttamente in bagno.
Mi feci una doccia veloce e dopo andai direttamente in camera.
Misi la divisa da lavoro, ovvero una semplice felpa nera, abbastanza pesante, su un paio di jeans scuri e un paio di comode scarpe da ginnastica, niente di che. Ritornai nel bagno e mi diedi un'occhiata per vedere se dovevo lavarmi la faccia ancora una volta con l'acqua fredda per svegliarmi.
"Per sicurezza, mi rinfresco un'altra volta, così sono sicuro di essere sveglio.", pensai.
Mi lavai nuovamente il viso e dopo cercai di dare una forma corretta, con la spazzola, ai miei capelli castani che erano decisamente scompigliati.
Mi guardai allo specchio. I capelli erano a posto, anche se qualche ciuffo andava per conto suo. I miei occhi scuri sembravano abbastanza svegli. Il mio viso sembrava essere piuttosto rilassato, nonostante avessi un filo di barba, ma non avevo il tempo di radermi e poi non stavo tanto male, così ...
«Direi che sono più che pronto. Andiamo, su Marco! La serata è appena iniziata.», dissi a me stesso.

«Marco ti sbrighi?! Dai, che io e Vanni dobbiamo sistemare l'attrezzatura per suonare.»
«Eccomi, eccomi. Prendo il giubbotto e andiamo.», dissi prendendo il giubbotto blu scuro, che utlizzavo per andare a lavoro, e mi diressi verso la porta d'ingresso, dove trovai un Matteo decisamente impaziente.
I miei coinquilini avevano una sorta di band insieme ad altri tre ragazzi. Si chiamavano i "The Rocks", non ricordo il motivo di questo nome, ma erano proprio bravi. Il loro genere era tra il rock e la musica pop, due cose completamente diverse, certo, ma era la loro musica. Vanni suonava la batteria, Matteo la chitarra ed era la voce del gruppo e si esibivano quasi sempre al locale dove lavoravo io, il "Plaza". Lì cantavano dei loro brani inediti oppure accontentavano il pubblico, quando gli veniva fatta una richiesta.
«Dai su. Vanni è già in macchina con tutte le cose.»
«Di che ti lamenti?! Sono sempre puntuale io, non sono un ritardatario cronico come te e quell'altro.», cercai di giustificarmi.
Dopo essere usciti dal nostro appartamento, ci dirigemmo verso l'ascensore che come al solito era occupato. Decidemmo subito di scendere le scale, tre piani a piedi. Che noia! Erano le 20.00. Ero ancora una volta in ritardo.
Che cavolo di giornata!

«Finalmente ragazzi. Che fine avevate fatto?», chiese sbuffando Vanni.
«Chiedilo a Marco, io ero già pronto da una ventina di minuti.»
«Mamma che lagna che siete! Per una volta che quello in ritardo sono io e non voi, ne fate una questione mondiale?!», dissi io, cercando disperamente di difendermi.
Ma forse con scarso risultato, perché Vanni e Matteo mi linciarono con lo sguardo.
Salimmo in macchina, se si poteva definire tale. Era una vecchia Panda rossa che Vanni aveva ricevuto come regalo da suo nonno e che era riuscito a portare qui a Roma. Un rottame insomma, che bene o male ci permetteva di spostarci in città, almeno quello. Infine partimmo, cercando di raggiungere il locale in poco tempo.

Il locale non era molto lontano dalla nostra casa, ma il problema era il traffico. Abitavamo vicino al centro ed eravamo rimasti bloccati per dieci minuti. Erano giá le 20.25. Il proprietario del locale, Emilio, aveva chiamato tre volte e Matteo ci aveva giustificato, inventandosi una scusa.
Stavo soffrendo.
Per punizione mi avevano sistemato dietro con l'attrezzatura e in quel momento ero completamente schiacciato da casse, strumenti musicali e buste con un enorme quantità di cavi elettrici colorati.
«Ragazzi, vi prego. Ditemi che siamo arrivati. Non ce la faccio più a reggere ste' cose!»
«Zitto e non lamentarti. Sta volta è tua la colpa se siamo in ritardo. Quindi fa silenzio e prenditi le tue responsabilità. Ah, che bello. Mi sento meglio quando tocca anche a te la ramanzina che ci fai ogni santo giorno.»
«Dai, ma che cavolo!», provai nuovamente a difendermi, ma fu inutile, non mi ascoltarono.
Così guardai fuori dal finestrino se riuscivo a riconoscere, più o meno, in che zona ci trovavamo, ma niente.

«Ragazzi, ma dove siamo finiti?», chiesi abbastanza preoccupato. Erano le 20.30. Un quarto d'ora di ritardo. Emilio ci avrebbe divorato, perché mancavano i suoi musicisti e uno dei suoi barman.
«Me lo chiedo anche io. Vanni, ma che strada hai preso?», chiese Matteo.
«Non preoccupatevi. È una scorciatoia.», rispose Vanni con sicurezza.
«Se lo dici tu. Ma io non sto riuscendo ad orientarmi, sembra che ci siamo allontanati.», osservai.
«Cavolo Marco! Vivi qui da tutta la vita e non sai dove siamo?», mi disse Matteo, piuttosto arrabbiato.
«No, non lo so. Roma non è piccola e poi non è giorno.Quindi, morale della favola, non riesco a capire dove ci troviamo.», dissi alzando la voce.
«Ragazzi, ho la situazione sotto controllo! Adesso metto il navigatore col telefono e vedete come ci arriviamo al locale.»
«Navigatore?!», io e Matteo ci guardammo un attimo, per, poi, fissare Vanni.
«Cosa cazzo aspetti a metterlo?!», lo rimproverammo in coro.

Erano le 20.45. Dopo trenta minuti di ritardo, arrivammo al "Plaza".
Il "Plaza" era un pub che aveva i tavoli per sedersi e potevi ordinare da mangiare e da bere qualsiasi cosa e un bancone dove le persone venivano a chiedere solo da bere e forse qualche stuzzichino.
Dava anche la possibilità di ascoltare la musica, ecco perché Matteo e Vanni suonavano lì, e, di conseguenza, anche di ballare. Moltissime erano le persone che vi entravano e ne uscivano, quasi sempre, soddisfatte. Era un bel locale, piuttosto semplice, che offriva dei buoni servizi e aveva uno stile particolare. In base al periodo, Emilio ci dava il compito di decorare al meglio il locale e noi cercavamo di non deluderlo. Per Natale lo avevamo addobbato con luci colorate, tutte intorno all'enorme sala, un albero enorme con palline dorate e rosse, poi candele profumate in giro, con caratteristiche natalizie, qualche ghirlanda e noi dipendenti, insieme alla divisa scura, eravamo costretti ad indossare un cappello di Natale, insieme ad un 'grazioso' papillon a scacchi.
Carino da vedere, ma ridicolo da mettere.
Emilio non ci chiese subito delle spiegazioni, ma ci mandò ognuno alle proprie postazioni di lavoro. Il locale apriva alle 21.00 e noi avevamo la bellezza di un quarto d'ora per sistemarci.

«E gira tutt'intorno la stanza
mentre si danza, danza
e gira tutta la stanza
mentre si danza, danza

E gira tutt'intorno la stanza
mentre si danza, danza
e gira tutta la stanza
mentre si danza, danza.
... », Matteo aveva già iniziato a cantare. Una ragazza del pubblico aveva avanzato la sua prima richiesta e i ragazzi l'avevano accontentata.
C'era molta gente e loro erano riusciti a montare, insieme agli altri tre componenti, l'attrezzatura, mentre io, insieme al mio collega, riuscimmo a sistemare bottiglie, bicchieri e stuzzichini sul bancone. Meno male.
Molti erano già in pista a ballare, sotto le luci stroboscopiche che alternavano diversi colori e quei pochi che erano rimasti seduti, avevano appena ricevuto l'ordinazione.
Personalmente adoravo quella canzone, però adoravo la versione originale, quella di Franco Battiato,  che nonna Elisa cantava sempre quando ero bambino. Adorava in maniera particolare quel cantante e io conoscevo ogni sua canzone. Invece Matteo e gli altri stavano suonando la versione dei Prezioso feat. Marvin che presentarono al Festival Bar nel 2003. Riflettendoci, mi venne in mente di quando avevo 11 anni ed ero a tavola con i nonni nella nostra bella casa. Mentre stavo facendo un pò di zapping, mi attirò la musica e i colori del Festival. Quando nonno Antonio iniziò ad ascoltare la canzone, spalancò gli occhi e iniziò a blaterare ad alta voce di come i cantanti della mia generazione stavano rovinando le bellissime canzoni dei cantanti dei suoi anni, e di come il mondo stava andando in malora. Io ridevo. Era forte vedere il nonno alterarsi per delle cavolate. E poi, a me piaceva molto la canzone di Battiato, ma anche la cover dei Prezioso feat. Marvin non era affatto male ed era molto più facile ballarla, visto che era un genere dance, rispetto a quella del cantante originale.
Risi tra me e me. Mi mancavano quei momenti e mi mancava la mia famiglia. Anche se eravamo a due passi, ciò che mi mancava davvero era la quotidianità.

Stavo pulendo un bicchiere ed ero così concentrato su ciò che stavo vedendo e ascoltando, quando sentii una voce femminile molto chiara e frizzante al tempo stesso, richiamare la mia attenzione.
«Hai finito di torturare quel bicchiere?», mi disse ridendo.
Alzai lo sguardo e vidi davanti a me una moretta con gli occhi scuri, almeno così mi sembrarono, abbastanza alta e slanciata, con un vestito nero attillato. Era molto carina.
Non sapevo se stesse parlando con me o con il mio collega, così mi guardai attorno confuso.
«Guarda che sto parlando con te, moretto, col buffo cappello da Babbo Natale. Senti, ti osservo da un pò e sono almeno dieci minuti che asciughi quel coso, non ti sembra di esagerare un pochino?»
«Davvero?! Cavolo, non me ne sono reso conto.», che figura.
«Me ne sono accorta. Sembravi così concentrato nel vedere la gente che balla. C'è una ragazza che ti piace, dì la verità, ed è per questo motivo che non riuscivi a staccare gli occhi dalla pista?», indicando la folla di gente che si scatenava. I ragazzi stavano andando molto bene.
«No, ti sbagli. Nessuna ragazza. Ero preso dalla musica. Quella canzone mi stava piacendo.»
«Sì, certo ... adesso si dice la 'canzone'.», disse la ragazza che avevo davanti a me, alzando gli occhi al cielo.
«Ti assicuro che non è come pensi tu. Piuttosto, cosa posso portarti da bere?»
«Un angelo azzurro, grazie!»
«Andiamo sul pesante.»
«Assolutamente no. Sono con delle amiche, quindi non devo neanche guidare e ho un assoluto bisogno di bere.»
«Qualcuno da dimenticare?», chiesi curioso. Non sapevo il perché, ma la ragazza che avevo davanti mi sembrava molto interessante.
«Esatto! Devo dimenticare un brutto stronzo. Comunque, piacere Giada.», mi porse la mano presentandosi.
Gliela strinsi e dissi:
«Piacere, io sono Marco.»
Poi, mi tolsi il cappello e lo gettai sotto il bancone, cercando di salvare quel poco di dignità che mi era rimasta.
«Ma dai! Perché lo hai tolto? Eri piuttosto carino.», disse stupita e trattenendo un sorriso.
«Come no. Se non fosse perché sto lavorando e perché mi licenziano se non lo indosso, lo avrei già bruciato. Ho pur sempre un'immagine da difendere.», dissi in maniera poco credibile e ridendo.
Rise anche lei.
Le versai da bere e dopo iniziammo a chiacchierare del più e del meno.
Ero felice. La giornata aveva preso una piega più simpatica.

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