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Capitolo 11

Buonasera a voi.
Innanzitutto vorrei scusarmi per la lunga assenza, ma sono stata molto impegnata con la preparazione di un esame importante e che spero vada bene.
Incrociate le dita per me.
Spero anche che continuiate a seguire la mia storia, perché ci tengo molto.
Che dire più?! Buona lettura 😘

Quando ero bambino avevo paura del buio e di rimanere solo in casa o in qualsiasi altro luogo.

Non potrei mai dimenticare il momento in cui quelle paure si insidiarono nella mia persona.
Ero piccolo quando tutto ebbe inizio e mi ci vollero anni per riprendermi, perchè non fu facile. Per niente.

Era un giorno come tutti gli altri, anzi, era una sera normale.
I nonni erano a teatro con dei loro amici e io, invece, ero a casa con Ada, la mia babysitter.
Quest'ultima, dopo avermi messo a letto, aveva ricevuto una chiamata.

Non mi ero addormentato subito, così ascoltai la telefonata e dal tono di voce che la ragazza aveva, la cosa doveva essere piuttosto grave.

La sentii girare, in fretta e furia, la rotella del vecchio telefono fisso che si trovava su un vecchio mobile, nel corridoio, vicino la porta di ingresso. Dopo aver finito di comporre il numero, sospirò e iniziò a mormorare delle preghiere, sperando che chiunque stesse chiamando in quel momento le rispondesse immediatamente. Ma così non fu.

La ragazza dovette riagganciare, però non si arrese.
Rigirò la rotella e aspettò. Riagganciò. Rigirò nuovamente la rotella e aspettò. Riagganciò ancora.
Sentii dalla mia stanza ripeterle queste azioni più e più volte.

Alla fine si arrese e iniziò a imprecare.

Poi, all'improvviso il telefono squillò e la ragazza corse ad alzare la cornetta.

«Signora De Luca, finalmente! La stavo cercando con una certa urgenza.», disse tirando un sospiro di sollievo.
«Che? Marco? Ah! No, no. Il bambino sta bene. L'ho appena messo a letto e sta dormendo come un angioletto.»

Quando le sentii pronunciare quelle parole, risi.
Non si era accorta che ero sveglio, pieno di energie e pronto a tutto, tranne che dormire.

«Qui è tutto tranquillo, signora. Il problema è un altro.
Ho bisogno di andar via adesso. Ho appena ricevuto una chiamata piuttosto urgente da mia madre.
Ha bisogno di me. So che voi dovreste essere qui tra poco, quindi non le dispiace se anticipo la mia uscita, anche se il bambino rimane solo per un pò?», chiese implorante.

Era con il fiato sospeso, percepivo la sua tensione e il timore di una risposta negativa. Ma tutte queste emozioni le sparirono di colpo, quando la sentii urlare un sonoro «Grazie!», per poi continuare con «La ringrazio, signora. Le auguro una buona notte a lei e a suo marito, ci aggiorniamo.», riattaccò e tirò un sospiro di sollievo.

Sentii i suoi passi muoversi verso la mia stanza e chiusi velocemente gli occhi, fingendo di dormire, con la paura di essere scoperto.

Si avvicinò, mi aggiustò le coperte e disse sottovoce, con un tono gentile e carico di affetto: «Notte, piccolo Marco. Sogni d'oro.»

Ada era una normale ragazza di 19 anni, di bassa statura, magrolina, capelli neri e ricci e occhi scuri, che una volta finita la scuola, nell'attesa che si decidesse ad iniziare a frequentare l'università, arrotondava facendo dei piccoli lavori, come, per l'appunto, la babysitter.

La nonna l'aveva conosciuta grazie a una sua conoscente, che le aveva assicurato che era una ragazza simpatica, gentile e molto garbata. E infatti era così.
Ada era simpatica, gentile, premurosa e anche molto brava. Inventava sempre giochi nuovi e mi piaceva stare in sua compagnia.

Però c'era una cosa che non sopportavo di lei, ovvero che seguisse alla lettera tutte le indicazioni della nonna su come doveva prendersi cura di me e, perciò, iniziava a diventare soffocante con le sue troppe attenzioni.

A parte questo, mi piaceva, e tanto anche.
Era un'ottima alleata quando combinavo qualcosa e mi copriva sempre. Era un bel tipo tutto sommato.

Aprii gli occhi. Non avevo sonno.
Mi sentivo troppo attivo e con una voglia matta di giocare. 

Mi tolsi le coperte da sopra il mio corpo, presi il mio orsacchiotto di pezza color nocciola e scesi dal letto.

Accesi una piccola lucina, così, se i nonni fossero arrivati, avrei spento solo quella e sarei scappato velocemente a rintanarmi sotto le coperte e a far finta che non fosse successo nulla.
Non avrei avuto ostacoli nel mio cammino, perciò ero piuttosto tranquillo.

Non ci sarebbe stata Ada a coprirmi e organizzare un piano di fuga era più che necessario. Così, una volta deciso cosa fare, presi le costruzioni colorate e iniziai a pensare a ciò che da lì a poco avrei messo su in piedi.

Dopo aver immaginato nella mia mente cosa avrei voluto costruire, mi misi subito all'opera e, dopo un pò di tempo, avevo davanti a me tre grattacieli, alti quanto me.

Ero fiero del mio lavoro e li guardavo contento.
Poi mi venne in mente il film 'King Kong', che avevo visto con il nonno la sera prima ed ero rimasto molto affascinato dal mostruoso e gigantesco gorilla.

Precisamente mi venne in mente l'ultima scena, quella della sua morte, e volli interpretarla a modo mio, con il mio finale.
Non mi era per niente piaciuto quello del film.

L'orsacchiotto sarebbe stato il gorilla, mentre avevo dei piccoli areoplanini che avrei fatto muovere intorno a lui e sotto delle macchinine che immaginavo essere dei carri armati.
Io avrei interpretato l'amico che lo avrebbe aiutato a scappare e a fare ritorno nella sua isola.
Deciso tutto questo, iniziai la recita.

Stavo per far passare l'orsacchiotto sull'altro grattacielo, quando sentii dei rumori provenire dall'ingresso e il peluche cadde dalle mie mani. Erano i nonni.

Lasciai tutto in mezzo, costruzioni e giocattoli, lasciai anche il peluche per terra, e corsi verso le coperte, sicuro che non sarei stato scoperto.

Mi infilai nel letto velocemente, rivolgendomi verso il muro e coprendomi fino alla testa.
Chiusi gli occhi aspettando che nonna Elisa e nonno Antonio venissero a darmi, come loro solito, il 'bacio della buonanotte'.

Trascorse un pò di tempo, non saprei dire quanto, e fino ad allora ero stato sempre nel letto, fermo e immobile.

Sempre vigile e attento. Con una piccola variante, mi ero stancato di stare nella stessa posizione.
Perciò, cautamente, decisi di muovermi.

Nell'istante in cui mi stavo girando verso la porta, socchiusa, della mia stanza, sempre con gli occhi chiusi, sentii dei rumori strani.

Era un misto di bisbigli, oggetti che venivano spostati e passi. Quelli che sentii, però, erano dei passi pesanti che si stavano muovendo per tutta la casa.
Non sentivo il rumore dei tacchi della nonna e non avevo sentito neanche il rumore delle chiavi che venivano riposte sul mobile, dove si trovava il telefono. Strano, molto strano.

Aprii un occhio per provare a vedere se erano i nonni a provocare tutto quel trambusto, ma non scorsi niente.
Né una figura muoversi, né una luce accesa, ... nulla. Buio.

Ad un tratto sentii delle voci parlottare tra loro, sottovoce, accanto alla mia stanza.

«Shh ... Fa silenzio, idiota! Vuoi che i vicini si accorgano della nostra presenza?» , la prima che parlò, era una voce cupa e soffusa.
«Scusa. Una domanda, ma quando sei venuto l'altro giorno a ispezionare la casa, non avevi detto che avevano l'allarme?», mentre l'altra era più sottile e stridula.
«Ti abbiamo più volte spiegato il piano, ma com'è che non lo capisci? Lei uscendo da questa casa, si è portata insieme il mazzo di chiavi che la proprietaria le ha affidato e nell'uscire non ha inserito il codice dell'allarme! Sei proprio uno stupido»,alzò il tono di voce quella cupa e soffusa.
Non mi sembrava di conoscerle. Erano entrambe maschili.

Alle due voci, poi, se ne aggiunse un'altra.
Questa, sta volta, era femminile e aveva un tono più dolce e gentile. Ed era anche molto familiare.

All'improvviso mi ritrovai a pensare ad una persona che poteva avere lo stesso tono di voce, ma non capivo il perché, così lasciai subito perdere.

«Volete smetterla di discutere voi due?! Questa è la stanza del bambino! Volete davvero che si svegli?», disse stizzita.
Non sentii nessuna risposta e in quell'istante capii che chi era appena entrato in casa poteva essere chiunque, meno che i nonni.

Dopo aver sentito i loro passi allontanarsi dalla porta della mia stanza, aprii gli occhi e mi misi seduto sul letto.

Continuavo a sentire diversi rumori provenire da ogni angolo della casa, così, sprezzante del pericolo, decisi di andare a controllare. 

Prima di uscire dalla mia cameretta, mi avvicinai alle costruzioni e presi da terra il mio orsacchiotto, forse, per farmi coraggio o, forse, meno solo.

In punta di piedi, poi, silenziosamente, mi avviai verso la fonte di quei strani rumori, per cercare di capire chi fossero le persone entrate in casa.

Ero nel lungo corridoio che portava in diverse stanze e la prima in cui sentii qualcuno rovistare, non era lontano dalla mia.
Mi diressi proprio verso quella.

Si trattava della camera da letto di mia zia Tonia, la sorella maggiore di mio padre, che era sempre lontana da casa per il suo lavoro.

Lei era una manager aziendale e viaggiava molto e quando ogni tanto tornava per stare con me, mi portava sempre qualche giocattolo strano, tipico del paese in cui lei era appena stata.

Ero sempre contento di vederla.
Era un bel tipo e mi piaceva passare il tempo a giocare con lei. Fisicamente somigliava alla nonna, altezza media, non troppo robusta, ma con le curve al punto giusto, bionda e con gli occhi castano chiaro.
Caratterialmente somigliava molto al nonno, era una tipa molto libera e sempre allegra e gioiosa. Almeno così era con me.

Con mio padre si passavano solo due anni, niente di più, non c'era molta differenza d'età. Si defivivano coetani, ma tra di loro, fratello e sorella non si somigliavano per niente.
Erano praticamente gli opposti.

Io somigliavo molto a mio padre, sia fisicamente che caratterialmente. Alto, moro, corporatura normale e con un carattere abbastanza diffidente.

Quando erano entrambi a casa, mi portavano sempre al parco a giocare, mi sembrava, per un attimo, di vivere quella vita di cui si vantavano i miei compagni di classe.

Però a me piaceva la mia vita, era un pò insolita, ma mi piaceva molto. Di persone che si prendevano cura di me e mi volevano bene ne avevo e non dovevo dividerle con nessuno, dato che ero figlio e nipote unico.

Mi avvicinai ancora di più alla porta e vi rimasi accanto.
Vidi all'interno un uomo grande e grosso e tutto vestito di nero, probabilmente 'voce cupa e soffusa', rovistare nei cassetti del comò della zia.

Lo vidi prendere le sue collane, anelli e orecchini colorati e metterli nel borsone che aveva poggiato sul letto.
Svolgeva le sue azioni in maniera piuttosto veloce.
Apriva il cassetto, lo svuotava e prendeva ciò che gli interessava, fino a che non vi rimase più nulla.

Stessa cosa fece, poi, con l'enorme armadio, dove la zia conservava i suoi vestiti e scarpe, adatti a tutte e quattro le stagioni. Quella persona sembrava piuttosto violenta e spaventosa, un pò come l'uomo nero delle favole.

Mi allontanai dalla soglia di quella porta e mi diressi lungo il corridoio per vedere chi altro ci fosse.
Sentii dei rumori provenire dalla camera da letto di papà e vi trovai all'interno un altro uomo vestito di nero, ma più basso del precedente e magro come un chiodo.

Doveva essere 'voce stridula e sottile'.
Stava rovistando nei cassetti della scrivania di mio padre, per poi passare a controllare nel suo armadio e nel suo comò.

Nei movimenti era molto più lento e la sua figura risultava essere meno spaventosa rispetto a quella dell'altro uomo. Avevano entrambi il volto coperto, quindi mi era impossibile riconoscerli. Però, per fortuna, nessuno dei due si era accorto della mia presenza.

Alla fine decisi di passare avanti e andare a vedere chi fosse l'ultima persona di cui avevo sentito la voce gentile e familiare.

Mi diressi verso la camera da letto dei nonni, perchè gli ultimi rumori che sentii provenivano proprio da lì.

Una volta raggiunta la stanza, prima di entrarvi, incontrai il mio riflesso nell'enorme specchio che si trovava appeso al muro di fronte all'entrata della stanza. Mi vidi.

Ero piccolo, avrei avuto sì e no 5 o 6 anni, non di più, ed ero solo con tre sconosciuti in casa mia.
In quel momento la curiosità e il coraggio, avevano lasciato spazio a qualcos'altro: la paura.

Ciò che mi riportò alla realtà e tolse quei brutti pensieri dalla mia testa fu quella voce familiare, iniziare a dire frasi senza senso. Tipo: "Dove sono?", "Ero convinta che fossero lì", "Non ci credo, le ho trovate".

Insomma, quest'ultima persona parlava da sola e mi sembrava che fosse una donna.
Mi affacciai nella stanza, piano, in modo che non mi potesse vedere e la mia attenzione fu catturata da ciò che aveva in mano.

Si trattava di un semplice portagioie bianco con i contorni dorati e sul coperchio una lettera, forse l'iniziale del nome del suo proprietario.

«E questo cos'è?», disse agitandolo, per controllare se poteva esserci qualcosa.

Provò ad aprirlo, ma non ci riuscì e lo lasciò cadere per terra.

Non so cosa mi trattenne, ma desideravo solo andarlo a prendere e metterlo al sicuro.
La nonna lo teneva tra le sue cose più preziose e doveva tenerci tanto. Perciò non sopportavo che quella persona lo avesse gettato così, come se fosse stato immondizia.
Non lo accettavo.

Poi i miei occhi tornarono sulla figura in nero.
Stava continuando a rovistare nei cassetti del grande comò dei nonni.

Tutto a un tratto la figura si fermò e si girò verso la mia direzione. Uscii velocemente e continuai a seguire i suoi movimenti nel riflesso dello specchio, trattenendo il respiro per la paura.

«Mamma che caldo. Con questo in testa non riesco a respirare.» Si tolse il passamontagna nero, lanciandolo sul letto, affianco al suo borsone pieno, e non potevo credere, anzi, non volevo credere a ciò che i miei occhi stavano vedendo in quel momento.

Tutto era più chiaro.
In quell'istante capii perché quella voce mi era familiare.
Quella persona vestita di nero, che stava rovistando tra le cose di mia nonna e di mio nonno, era Ada.

Non era un caso che la mia mente avesse immaginato proprio la sua figura. Non era possibile.
Mi poggiai contro il muro, lasciandomi cadere.

Ero seduto a terra, quando rincontrai il mio riflesso.
C'era qualcosa di strano.

Sta volta non vedevo un Marco bambino, ma un Marco adulto. Rivolsi, spontaneamente, il mio sguardo a ciò che avevo in mano.

Ero convinto che vi avrei trovato la zampa del mio orsacchiotto di peluche, invece vi trovai una mano che stringeva forte la mia e sembrava non avere nessuna intenzione di lasciarla andare.

Alzai lo sguardo e incontrai il volto di una figura femminile. Sembrava un angelo. Un angelo pronto a difendermi da chi, in quel momento, poteva farmi del male.

«Andiamo, Marco.», disse con la sua voce chiara e acuta.

Prima di alzarmi e ubbidire al suo ordine, rivolsi lo sguardo all'interno della stanza, volevo rivedere quel portagioie.
Ma la ragazza mi tirò così forte che lo vidi solo di sfuggita. Perciò, mi alzai e la lasciai condurmi. Dove? Non lo sapevo. Sapevo solo una cosa e cioè che mi fidavo di lei.
Emanava un calore e un profumo che mi trasmettevano tranquillità, forza e felicità.

Ero contento di stare con lei, anche se non la conoscevo.
I suoi capelli castano chiaro si muovevano sinuosamente con tutto il resto del corpo, magro e slanciato.

Improvvisamente mi fermai.
Iniziai a sentirmi tirare da dietro, in maniera anche piuttosto violenta. Caddi e la mia mano si separò dalla sua.

Le stavo per dire di aspettarmi e che volevo andare con lei, quando quella forza mi tirò di nuovo indietro.
Mi voltai per vedere di chi si trattasse e quando incrociai il suo sguardo, iniziai a tremare.

«Marco, piccolino, non dovresti essere a letto?» Era Ada.

Era lei che mi stava tirando e mi stava allontanando dal mio angelo. Iniziai a dimenarmi, ma Ada sembrava essere più forte di me e continuava a tirarmi verso di lei, ridendo in maniera isterica. Avevo paura, molta paura.

«Aiutami!», gridai alla mia salvatrice, ma niente.
Ada era più forte e continuava a trascinarmi verso il buio, mentre lei era avvolta da una luce bianca e non sorrideva, come la prima volta che la vidi.
Anzi, il suo volto mostrava un'espressione piuttosto preoccupata.

«Marco. Marco. Marco!», iniziò ad urlare il mio nome con la sua voce acuta, proprio come la prima volta che la vidi.

Ma io non potei fare niente.
Ero solo e completamente circondato dall'oscurità.

Odiavo il buio.

Improvvisamente aprii gli occhi e urlai.
Mi misi seduto sul letto.
Avevo l'affanno ed ero tutto sudato, nonostante fosse dicembre, e mi guardai attorno.

Misi a fuoco le immagini che osservavo confuso e capii che mi trovano nella mia stanza, a casa, con Matteo e Vanni.

Era un sogno. Solo un sogno. Solo uno stramaledetto sogno.

O, forse, sarebbe meglio dire un incubo.

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