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26) Raggio d'azione

I due schiavi, accompagnati, come sempre, dal soldato Tkall, raggiunsero i piani superiori del palazzo, in assoluto silenzio per non attirare le attenzioni del compagno del bombarolo suicida che avevano incontrato all'ingresso. Speravano di raggiungere incolumi la bomba, sebbene questi loro pensieri furono abbattuti in un paio di secondi dal loro arrivo.

«Che macello...»

Disse Daimon vedendo la carneficina che si ritrovava sotto le scarpe. Sangue, budella e liquidi corporei sparsi per tutta la stanza, tranne che in un'unica zona circolare che, per loro sfortuna era proprio quella in cui si trovava l'esplosivo, un essere dalle sembianze feline e quella che sembrava una Tkall tenuta come ostaggio. La zona circolare era ben delimitata e contava quasi cinque metri cubi di volume. Il terrestre non riusciva a capacitarsi di come quel combattente fosse riuscito a tenere ben pulita quella singola zona del terreno, dato che, nella restante parte della stanza, ci fosse una discarica di cadaveri. Colui che avevano di fronte a loro, non si mosse al loro arrivo e rimase in una posizione meditativa da seduto, di fronte all'esplosivo, con una lunga katana dal fodero nero sulle gambe. Era quasi come se non si preoccupasse della loro presenza in quel luogo. Dai suoi vestiti, i presenti intuirono che fosse uno schiavo tenuto prigioniero in quel pianeta e, dalle terribili cicatrici che aveva sul volto, potevano immaginare quanta crudeltà aveva dovuto subire nel corso di parecchi anni.

«La zona circolare è molto particolare. Uno stolto l'attraverserebbe senza un minimo di esitazione pensando che non ci sia pericolo, ma noi dobbiamo essere più cauti. Vedete la sua spada? Ho il timore che l'abbia usata senza nemmeno muoversi da quel punto. Quindi immagino che, se non si fosse mosso nemmeno una volta, questo sia il suo raggio d'azione. Dopo quel punto, dovrebbe esserci solo morte. Non ti permettere ad attraversarlo senza avere un piano e trascinandoci con le catene insieme a te!»

La spiegazione a bassa voce di Quarck fu lunga ed esaustiva e se la prese con lo Tkall che avevano iniziato a chiamare "Colosso", dato che, fino a quel punto, il soldato li aveva trascinati con sé. I tre erano nascosti dietro alla parete che precedeva l'entrata nella sala, a pochi metri di distanza dalla bomba. In pochi secondi, Daimon vide con più attenzione l'esemplare Tkall che era stata presa come ostaggio e, per un attimo, gli sembrò di riconoscerla, sebbene fosse distesa sul pavimento. Forse era svenuta.

«Credo di averla già vista da qualche parte... Tu non te la ricordi?»

Domandò a Colosso che, intanto, cercava di valutare bene la zona, con uno sguardo incattivito che faceva trasalire tutta la sua preoccupazione. Quarck, invece, era molto più rilassato di lui, sebbene anche l'alieno stesse studiando il terreno in cui avrebbero affrontato quello che sembrava, a detta di Daimon, un gatto samurai a cui avrebbe voluto accarezzare il suo pelo grigio. Daimon adorava i felini e le loro movenze ipnotiche.

«Dobbiamo capire bene chi abbiamo di fronte a noi, no?»

Chiese Daimon prendendo in mano un pezzo di vetro, abbastanza grande, che si ritrovò sotto i suoi piedi e, senza avvertire gli altri, lo lanciò in direzione del guerriero avversario. In un secondo, il samurai si risvegliò aprendo i suoi occhi, bianchi e privi di vitalità, e tagliò il pezzo di vetro in più parti non appena sconfinò il confine delimitato dal cerchio pulito. Fu talmente veloce che i presenti fecero fatica a seguire i suoi movimenti. E, tra l'altro, aveva compiuto tutto ciò rimanendo seduto sul suo posto. La mano gli tremava leggermente, ma era incredibilmente ferma e precisa nel suo operato. Il terrestre non osava immaginare cosa sarebbe accaduto se si fosse trovato in un vero combattimento contro quell'individuo. Già era sopravvissuto per miracolo all'invasione degli Tkall sulla terra, figuriamoci cosa sarebbe successo in uno scontro con un avversario del genere e senza nemmeno avere un'arma.

«L'avete visto?»

Domandò Daimon che rimase abbagliato da quei suoi movimenti. Sembrava quasi come se il tempo andasse a rallentatore quando la spada fuoriuscì dal fodero. Erano riusciti a seguire i suoi movimenti, ma non erano convinti di poter sopravvivere ad un attacco dalla distanza come quello. Dopotutto erano disarmati e tutte le armi che si ritrovavano sparse in quella stanza erano state tagliate in più pezzi.

«Veloce, preciso e letale. In più l'onda d'urto del suo attacco è talmente forte che riesce a fendere l'aria a qualche metro di distanza dal suo centro. Se quella è la forza che arriva al suo punto limite, non riesco ad immaginare quanta potenza possa sprigionare in un combattimento spada contro spada. Dopotutto il pezzo di vetro aveva appena attraversato il cerchio e si è ritrovato tagliato in pochi istanti. Senza contare l'angolazione con cui l'ha tagliato e...»

«Silenzio.»

Quell'unica parola colpì i presenti come un fulmine a ciel sereno. Il samurai aveva parlato in modo solenne, senza alzarsi e chinando il capo in segno di rispetto. Aveva sentito tutti i loro discorsi, nonostante il bisbigliare dei tre. In un momento, il combattente annusò l'aria e poi si gratto il naso con la mano.

«Due odori maleodoranti ed uno Tkall. Chissà come mai, il vostro odore lo riconosco sempre, nonostante il forte odore che viene dal reagente. Voi altri, invece, siete degli schiavi o mi sbaglio?»

Con una singola annusata era riuscito a classificare i presenti, specificando il fatto che i due schiavi non si lavavano quasi da un mese. Dato che erano stati scoperti, non aveva più senso nascondersi dietro il muro e si fecero avanti, entrando all'interno della sala senza superare il raggio d'azione delimitato dalle pozze di sangue.

«Mi dispiace per quello che vi accadrà, compagni di supplizi. Voi che siete stati ridotti in schiavitù come me avete conosciuto abbastanza il dolore e la sofferenza. Ma, per fortuna, tutto ciò sta per concludersi. Vi renderò liberi nell'altro mondo e non sarete più costretti a servire gente come lui!»

Questa volta indicò Colosso che, essendo un rappresentate dei Tkall, si era beccato tutto l'odio del samurai che proteggeva l'esplosivo.

«Grazie, ma noi vogliamo continuare a vivere in questo di mondo. Non credi sia meglio cercare un'altra via per vendicarsi di questi mostri? Un metodo meno, diciamo, definitivo o suicida?»

Disse Daimon, cercando di convincere il samurai a passare dalla loro parte e di non farsi esplodere con tutta la capitale. Sebbene le sue parole non piacquero alla sua guardia, erano le uniche che potevano evitare lo scoppio del reagente.

«Che senso avrebbe?»

Questa fu la risposta del combattente felino che aprì nuovamente gli occhi in direzione dei presenti. I suoi occhi bianchi fecero venire i brividi al terrestre che non riusciva a non distogliere lo sguardo.

«Guardami, tu che puoi... Sono uno schiavo che vede solo oscurità sul suo cammino. In tutti i sensi. Gli Tkall mi hanno tolto la libertà, mi hanno tolto il mio popolo e mi hanno tolto la vista. Non ho più nulla per cui combattere...»

L'individuo dal manto grigio fece una piccola pausa per potersi strofinare gli occhi, a quanto pare gli dava fastidio tenerli aperti per lunghi periodi.

«Non ho più una casa, non ho più l'amore della mia vita e non ho più un futuro. Per cosa dovrei rimanere in vita? Tanto vale finire la mia esistenza in questo posto, cercando di portare più vite possibili con me. Vi renderò liberi, in questo modo...»

Daimon stentava a credere a quelle parole. Come poteva definire la morte come una "liberazione"? La morte era la fine di tutto e non ci sarebbe stata un'altra occasione per crearsi una nuova vita o riprendersi quella vecchia.

«Preferisci morire qui portandoti dietro la capitale o preferisci combattere per liberare tutti dal predominio Tkall e per distruggerli tutti. Distruggendo la capitale, non fermerai la loro sete di conquista. Lo sai questo?»

Disse Quarck, cercando di seguire il pensiero di Daimon di fargli cambiare idea, dato che quell'individuo era molto più forte di loro.

«Non sono in grado di combattere contro tutto il loro esercito. E non a causa della mia vista... Quella non mi serve. Gli altri sensi riescono tranquillamente a sostituirla. Ma a causa della mia forza.»

Daimon vide tutti i soldati che aveva ucciso fino a quel momento e, per un istante, non riuscì a capire il perché avesse così poca fiducia nelle sue capacità. Era riuscito ad arrivare fino a quel punto senza avere nemmeno un graffio.

«Non ha senso... Hai ucciso ogni combattente Tkall che si è presentato qui. Come puoi dire di non avere la forza per ucciderli tutti?»

Domandò il terrestre che, però, fu bloccato da Quarck.

«Ora capisco...»

Bisbigliò il papiano osservando meglio il corpo dell'essere proveniente dal pianeta Macka, sebbene Daimon non lo comprendeva ancora.

«Cosa?»

Chiese il giovane, cercando di avvicinarsi lateralmente alla posizione del samurai, non sapeva quanto tempo gli rimanesse prima dell'esplosione e, sia lui che Colosso, dovevano agire in qualche modo anche rischiando con un qualche movimento improvviso.

«Durante il suo attacco di prima, la sua mano ha tremato leggermente quando ha riposto nel fodero la spada. All'inizio ho pensato che fosse accaduto a causa dell'enorme velocità con cui aveva agito, ma mi sembrava strano che, uno spadaccino tanto esperto, non sappia gestire appieno l'eleganza e la raffinatezza dei suoi movimenti con la spada. Richiudere la propria arma nel fodero è un gesto sacro per i maestri della spada e potrebbero farlo, mi scusi per il gioco di parole, ad occhi chiusi. Davvero, non voglio offenderla. E ci sono mille cerimonie e parecchi modi per farlo. Difficilmente un abile spadaccino può sbagliare la chiusura con un movimento tremante. Quindi ho pensato a due possibili soluzioni: la malattia o...»

«Niente o... In questi casi sarebbe più corretto usare l'articolo "e".»

Il mackiano lo bloccò all'improvviso, stoppando con la sua voce solenne anche i movimenti dei compagni di Quarck. A quanto pare, aveva avvertito il loro spostamento.

«Le ragioni sono proprio la malattia e l'arma.»

Finita la frase, il combattente si mosse dal suo posto con uno scatto tremendamente veloce ed improvviso, avvicinandosi alla prima persona che aveva osato muoversi per raggiungerlo, portando la lama della sua spada vicina al suo sottile e fragile collo terrestre.

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