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8. La grotta del buco

L'ultima prova da superare per diventare a tutti gli effetti una sacerdotessa, era quella dell’attraversamento del foro.
Fenelia e Ilizia avrebbero dovuto raggiungere la valle di Bavota* ed essere sottoposte al giudizio della Grande Madre, la dea primordiale. Essa avrebbe decretato se il lavoro svolto fino a quel momento era stato buono e stabilito che fossero veramente degne di tale ruolo.

Mut sarebbe andata con loro, ovviamente. Aglaia e Theadorra invece rifiutarono il breve viaggio ritenendo che fossero troppo anziane per giungere senza affanni e che sarebbero state solo di intralcio al cammino. Tacitate le insistenze, mandarono Bonoso in loro vece, addestrandolo a essere d’aiuto alle ragazze se qualcosa fosse andato storto. Pochissime volte erano accaduti incidenti, ma era sempre meglio essere preparati.
Bonoso accettò di buona voglia, curioso di assistere all’evento.

Sarebbero dovuti partire pochi giorni dopo l’esperienza nella casa del caldo, ma ne passarono quasi quattordici prima che la maestra Aglaia e Bonoso riuscissero a trovare una soluzione per permettere a Fenelia di uscire da Yoin e non essere riconosciuta. Grazie ai loro intrugli magici crearono una mistura per colorare di nero i suoi capelli e,  grazie a un’intuizione geniale di Bonoso, approntarono un liquido che cambiò il colore degli occhi della ragazza in un nocciola scuro.
“Sei straordinario, Bonoso!” Lo lodò Fenelia, abbracciandolo.
“Lo so da me, grazie.” Commentò compiaciuto, togliendosela di dosso.

Il ragazzo e Ilizia, dopo la prova nella casa, sprizzavano sicurezza e positività su loro stessi e il personale percorso scelto, procedendo convinti. Non si erano confidati nei particolari sull’esperienza avuta, ma Ilizia aveva detto di aver capito che il suo essere sacerdotessa e maestra doveva essere indirizzato in particolare verso i bambini, mentre Bonoso aveva solo confessato di sentirsi meglio e totalmente in pace con tutto il suo essere.
I genitori di Ilizia e la madre di Bonoso erano giustamente fieri di loro e avevano ricevuto la benedizione amorevole che solo un genitore può offrire. Anche Fenelia era  fiera dei suoi amici e glielo fece sapere. Tuttavia provava invidia e vergogna per non essere stata abbastanza forte da riuscire nel suo intento come loro.  Seppure le maestre la rassicurarono che poteva procedere con la prova successiva nonostante  quella precedente non avesse portato gli effetti che sperava, poiché comunque l’esperienza era stata vissuta, e gli amici la spronavano e incoraggiavano , lo stesso si abbandonava a tristi pensieri sulle sue capacità.

In quei giorni di attesa ed esperimenti sulla modifica del suo aspetto esteriore, riuscì comunque a  provare una parvenza di felicità poiché una nuova fase della vita stava per iniziare e soprattutto nessuna sensazione estranea a sé stessa era intervenuta più a fastidiarla.
Aveva anche accettato senza perdersi in malumori, la costrizione a dover cambiare aspetto. Pensò che fosse inutile piangersi addosso per questo inconveniente. Rispetto al fallimento dell’esperienza nella casa del caldo, questo non era nulla. Certo, non era piacevole dopo tutto il lavoro che aveva fatto per crescere e portare con orgoglio quei capelli dal colore così singolare, ma non poteva farci niente se le cose stavano così. Perciò l’importante era  completare le prove e andare avanti.

Più complicata era la questione del nome. Anche quello era noto alle guardie del re e perciò andava cambiato. Fenelia non riusciva davvero a immaginare un altro nome per se stessa e solo il giorno prima della partenza,  Ilizia, che era sempre molto comprensiva dei sentimenti altrui, suggerì che non cambiasse totalmente e pensò che sarebbe andato bene usare il nome che i più piccoli del villaggio, non ancora abili con la lingua parlata, pronunciavano per chiamarla: Eneia. La ragazza pensò fosse perfetto.

Un caldo mattino, quindi, Fenelia uscì dal villaggio di Yoin, questa volta pienamente consapevole della cosa, con a fianco i due amici più cari che avesse e la guida materna di Mut.
La Maestra in sella a Balio, precedeva i suoi tre allievi che invece camminavano a piedi e carichi dei loro personali bagagli, poiché anche guadagnarsi la strada passo dopo passo era importante alla formazione del corpo e della mente.

Il programma prevedeva una fitta marcia con un’ unica fermata più lunga a metà strada, a Malle*, per dormire e mangiare. Mut contava sull’ospitalità di una famiglia che godeva della sua totale fiducia.
Scarpinando sotto il sole caldo tra l’erba alta delle campagne abbandonate e abitate da alberi morenti, rovi e tane di animali, parlavano poco per non sprecare energie. Ma quando il sole raggiunse il punto più alto nel cielo, faceva così caldo che  Mut ritenne saggio fermarsi sotto le rade ma ombrose foglie di un gruppo di ulivi le cui radici possenti permettevano di accomodarsi.
“Accidenti, come picchia il sole.” Commentò Ilizia, dopo aver bevuto un sorso d’acqua dal recipiente di terracotta.
Un pasto leggero e veloce con un tortino di ricotta ciascuno e ripartirono.

La sera giunse a rinfrescare l’aria e il canto dei grilli accompagnò le lagne di Fenelia.
“I miei poveri piedi!” Piagnucolò. “E questa sacca mi sta rompendo la schiena!”
“E le tue lagne mi stanno ammalando le orecchie.” Rispose Bonoso, irritato.
“State buoni, siamo quasi arrivati.” Li calmò Ilizia, un po' affannata, indicando davanti a sé le sagome delle capanne di Malle che si intravedevano nel chiarore della sera.

“Fermi!” Ordinò la Maestra Mut, in tono allarmato, arrestandosi di colpo.
Bonoso sbattè contro il didietro di Balio e Ilizia e Fenelia gli andarono addosso.
“Per i cani!” Imprecò Fenelia, massaggiandosi il naso che aveva subìto lo scontro con la testa di Ilizia. “Ma che succede?” Domandò.
Rimasero in silenzio e anche Fenelia udì ciò che la Maestra aveva percepito per prima. Qualcuno stava correndo verso di loro, smuovendo rumorosamente l’erba secca.
Un uomo comparve dal buio e si arrestò di fronte a Mut, con il respiro corto.
“Maestra Mut!” Esalò, riconoscendola, sollevato.
“Cosa succede, Zoilo?” Domandò Mut.
“Le guardie del re sono al villaggio. Quel poco che mi ha dato la terra l’ho mangiato e non ho nulla da dare. Me la svigno.” Disse, le mani sui fianchi, mostrando una finta spavalderia.
Mut annuì e Zoilo li superò correndo, dopo un gesto di saluto.

“Cambio di programma, ragazzi.” Annunciò quindi Mut.
La Maestra conosceva molto bene quella zona per fortuna e li condusse presso una grotta nascosta dove si sistemarono al meglio per la notte. Fenelia si scusò con i compagni diverse volte prima che Bonoso perdesse la pazienza. “La vuoi smettere, Fenelia? Non lo facciamo solo per te, sai. Nessuno vuole avere a che fare con quei bestioni.” Disse, e Ilizia annuì al suo fianco per poi ricordare all’amico che non doveva chiamarla con quel nome.
Mangiare formaggio e frutta non fu appagante tanto quanto la zuppa di cereali che avevano immaginato di mangiare a Malle, ma era meglio quel frugale pasto piuttosto che incontrare le guardie e sottoporsi ad un probabile interrogatorio sul motivo della loro visita al villaggio.

Il mattino successivo, di nuovo in marcia, allungarono la strada per evitare le guardie e a mezzo dì, con un cielo senza nuvole e così chiaro che pareva quasi bianco a causa del caldo, raggiunsero finalmente il punto più alto della Messapia, l’altura di Bavota.

Dal dirupo, lo sguardo raggiungeva ogni piccolo villaggio e guardando all’orizzonte lontano si poteva anche scorgere il mare. Fenelia pensò che fosse un luogo perfetto per abbandonarsi alla meditazione.  Richiamati dalla Maestra, i tre amici si lasciarono alle spalle quello spettacolo e raggiunsero la parete di roccia verticale, obiettivo del loro viaggio.
Parzialmente nascosta dalle sterpaglie, si intravedeva un'apertura alta e stretta: l’entrata alla grotta del foro.

“Senza indugio, iniziamo.” Disse la Maestra Mut, alle ragazze.
Bonoso si sistemò in un angolo, a ordinare la sua roba secondo le istruzioni che aveva ricevuto dalle maestre.
Le due amiche, tremando di emozione, si presero per mano.
“Entrerete una alla volta. Prendetevi tutto il tempo che vi serve. Concentratevi e cercate la dea Madre.” Istruì la Maestra. “Con questa prova, non solo avrete il benestare della Grande Madre sul vostro operato, ma potrete attingere la sua forza, farla vostra e rinascere. Verrete di nuovo al mondo, non dal ventre materno questa volta, ma dalla terra. Buona sorte.” Concluse.
Prese posto su un masso nascosto dall’erba e lasciò che le ragazze decidessero in autonomia come procedere.

Le amiche avevano già precedentemente deciso che sarebbe entrata prima Ilizia. Si abbracciarono e Fenelia restò a guardare la ragazza che si avvicinava alla roccia e poi ci spariva dentro.
Camminando avanti e indietro, mangiucchiandosi le unghie, sbuffando e saltellando, Fenelia aspettava con ansia. Quando il sole stava tingendosi di arancione per tuffarsi nel mare, lasciando il posto alla sera, Ilizia uscì.
Con le gote arrossate, sorrideva. La Maestra Mut la abbracciò e la accompagnò da Bonoso, per ricevere ciò di cui aveva bisogno.
Fenelia, come da istruzioni, non si avvicinò all’amica. Era un momento delicato.

A un cenno della Maestra, Fenelia si avvicinò all’entrata e toccò la ruvida parete con entrambe le mani. Chiuse gli occhi e respirò profondamente, la fronte appoggiata sulla roccia.
“Sono qui, Grande Madre. Mi consegno a te.” Sussurrò.
Percepì l’energia spirituale che quella roccia emanava e cogliendo l’invito ad avanzare, aprì gli occhi ed entrò, strofinando il corpo contro la pietra.

La stanza in cui si ritrovò era piccola e stretta; buia. Allargò le braccia e toccò con le dita entrambe le pareti. Accarezzandole sentì le parti più morbide ricoperte di muschio alternarsi a quelle spigolose e appuntite. Avanzò di qualche passo e un venticello leggero le accarezzò il viso. Sorrise. Il fruscio del vento divenne sussurro quando raggiunse le orecchie.
“Fenelia.” Diceva quel sussurro.
“Fenelia.” Ripeteva.
E ancora e ancora, dolcemente e ogni volta da voce diversa.
Voci sconosciute del passato si alternavano a quelle conosciute del presente e altre, ancora sconosciute, che appartenevano al futuro.
Passato, presente e futuro si stavano mescolando.

Sentì che la confusione la stava portando alla perdita di concentrazione per poi avvertire  un caldo abbraccio di rassicurazione.
La comprensione allora saltò alla mente come una rivelazione che giungeva in quel momento ma che allo stesso tempo già conosceva: doveva portare pazienza per capire come la sua missione complessa di sacerdotessa doveva essere portata avanti. L’incoraggiamento  che sentì nel petto, trasmesso come un fuoco caldo, la avvertì che stava procedendo bene e si rasserenò.

Avanzò nel buio di qualche altro passo, continuando a toccare la parete. Con il piede urtò un sasso e lo colse come segno di fermarsi.  L’istinto le disse di protendere le mani in avanti ed esse toccarono roccia, liscia e fredda.
Capì di essere giunta al foro.
Tastò tutta la parete nelle varie direzioni e, quando si accovacciò, la sua mano destra perse l’appoggio. Aveva trovato il passaggio. Senza scoraggiarsi per la mancanza di visibilità, fiduciosa di ciò che non vedeva, poiché la Grande Madre così aveva deciso per lei, si concentrò e, prese le misure, si preparò ad entrare nel foro nella modalità con cui era stata istruita.

Spingendo con i piedi e le ginocchia, infilò prima le braccia. Facendo leva sui gomiti, roteò leggermente il bacino per favorirne lo scorrimento. La pietra intorno al corpo era fredda e stretta e un senso di soffocamento e paura, insieme a un groviglio di pensieri cupi la attraversò. Non si lasciò sopraffare, concentrando il suo pensiero alla sensazione di fiducia che aveva avvertito poco prima e,  quando uscì dall’altra parte, la soddisfazione, la speranza e la fiducia  presero posto nel suo cuore.

Desiderosa di luce, trovò due pietre e sfregandole tra di loro, con pazienza, riuscì ad accendere una piccola fiamma tra le sterpaglie cresciute indisturbate ai suoi piedi. Un gocciolio, la portò a prestare la sua attenzione alla sua sinistra. Goccia dopo goccia, l’acqua aveva riempito un piccolo bacile nato naturalmente tra la roccia. Si avvicinò e ci guardò dentro. Vide se stessa, ma non in quel momento, con i capelli neri e gli occhi nocciola. Vide la vera Fenelia, che le sorrideva, scaltra. Gli occhi brillanti come piccoli soli. Durò solo per un attimo, poi scomparve, lasciandola senza fiato. C’era qualcosa di strano in quell’immagine ma in quel momento non riuscì a capire cosa fosse.

Immerse la mano in quell’acqua gelida e ne tirò fuori un sasso piatto, con un foro nel mezzo. La riconobbe subito come la pietra delle Streghe di cui Aglaia aveva raccontato.
“Se un sasso della strega verrà da voi, custoditelo con cura. È magico e la sua utilità si rivelerà al momento opportuno.” Aveva detto in una delle sue lezioni, mostrando le sue pietre personali.
Fenelia sciolse un lungo nastro bianco che aveva legato tra una treccia, lo infilò nel buco della pietra e ne fece una collana.

Con le mani a coppa prelevò l’acqua e spense la fiammella. Restò in piedi al centro di quella piccola stanza di pietra, con le braccia aperte, le mani che sfioravano le pareti e accolse la benedizione della Grande dea Madre negli spazi vuoti del suo essere, prima di tornare indietro.

Uscì fuori ricevendo in pieno volto la luce di un nuovo giorno.
“Mi consegno a me stessa.” Sussurrò, con il sorriso sulle labbra.

*Bavota: Oggi Parabita.
*Malle: Oggi Maglie.

● La valle con la grotta è chiamata “Matonna du carottu” ovvero Madonna del buco. (La Grande Madre è diventata con l’intervento della chiesa, Maria, la Madonna.)

Il rituale per entrare nel buco è vero.

Ci sono diverse altre pietre caratterizzate da questo buco, sparse nel territorio.
(Se avete voglia di approfondire, trovate tutto sul web.) 🙃

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