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17. Rotas

Passeggiando avanti e indietro per la stanza, gesticolando animatamente come suo solito, Fenelia raccontò anche a Enio ciò che aveva visto la sera precedente.
“E sei sicura che fosse ciò che cerchiamo?”
“Non c’era troppa luce e avevo la testa leggera per via del vino, ma sono certa di ciò che ho visto. Una sola parola incisa, dall'alto in basso: Rotas.” Si fermò incrociando le braccia sotto al seno, guardando ora Enio ora la Maestra Mut. “Vuol dire ‘sorte’, ‘destino’.” Aggiunse, quando Enio aggrottò la fronte.

Lei sbuffò e si alzò in piedi. “Dobbiamo rubarla: non c’è altra soluzione. Lo faccio io! Non ho problemi a farlo.” Si batté un pugno sul petto.
“Non mi piace questa idea. Se lo rubiamo, prima o poi si accorgeranno che mancherà e sarà  chiaro che saremo state noi, sempre se non ci colgono nell’atto di farlo!” Fenelia riprese a camminare nella stanza. “In questo modo perderemo la loro fiducia e non possiamo permettercelo. Ma non possiamo nemmeno dire che ci serve e perché, non sappiamo nemmeno bene noi a cosa stiamo andando incontro.” Con le mani sul volto, squotè il capo, affranta.

“Ma dobbiamo averlo! Non basta che hai visto la parola, giusto?” Chiese Enio alla Maestra.
Lei sospirò. “Temo sia giusto. Anche se ti ho chiesto di memorizzarla, in caso ci venga sottratta, ritengo sia meglio ricomporla. Senza contare che potrebbe davvero servire: potrebbe essere una chiave, un’ offerta.” Sospirò ancora poi alzò lo sguardo su Fenelia. “Devi decidere tu come agire. Pensaci.”
“Io?”
“La tavoletta è tua. Serve a te. Questo è chiaro. Benché la stiamo cercando in tre, sei sempre tu che la trovi, o lei trova te.”

Ci pensò Fenelia. Per tre lunghi giorni non fece altro. L’idea di rubare il pezzo di tavoletta non le piaceva. Agire in questo modo le sembrava come mancare di rispetto al re, tradire la sua fiducia. Non si sentiva nemmeno pronta a rivelarsi e a chiedere di avere l’oggetto: l’insicurezza su ciò che doveva farci, la bloccava. Aveva timore che, sentite le sue deboli ragioni, il re si rifiutasse di concedergliela e aveva anche paura di innescare una caccia alla tavoletta magica nel popolo Daunio, creando caos e rischiando che al re Alaskiritas giungesse voce che era sulle tracce di quell’antica tavoletta.

Enio e la Maestra Mut la lasciarono in pace e non si intromisero tra i suoi pensieri. Enio lo avrebbe volentieri fatto, lo sapeva, ma la Maestra Mut doveva averla obbligata. C’era però il principe Alessandro che continuava a cercarla e si dichiarava preoccupato per il suo stato. Fenelia faceva del suo meglio per apparire normale in sua presenza, ma era difficile. Vedendolo, si rendeva conto di quanto lo avrebbe deluso se avesse rubato e poi fosse scappata via, come una ladra.

Decise di indagare sulla faccenda approfittando proprio della confidenza che era nata tra loro due. Continuando a ripetersi che non stava sfruttando la sua amicizia per raggiungere intenti oscuri, si mostrò interessata alla casa sacra. Lui sembrò contento del suo interesse e le promise una visita.
Le mostrò e le raccontò ogni cosa, facendole vedere tavolette di ogni genere, orgoglioso e felice di condividere con lei la storia del suo popolo. Era davvero molto bello vederlo così appassionato e fiero. E questo non aiutava.

“E quel pezzo di tavoletta, cosa riguarda?” Chiese Fenelia, quando sorpassarono il vaso che la conteneva. Cercò di sembrare innocente e sperò che il principe non si accorgesse del tremolio della sua voce. Lui tornò indietro, le sopracciglia aggrottate.
“Oh, quello! Non sappiamo cosa sia. Lo abbiamo trovato in mezzo a un cumulo di pietre che dovevamo usare per ricostruire un muretto. Lo abbiamo lasciato lì in attesa del ritorno di Bamal, sai, la vedente di papà. Lei di certo ne saprà di più.”
“E dov’ è Bamal?” In effetti, pensò solo in quel momento, non aveva conosciuto la vedente reale.
“È andata a istruire il giovane Silos, colui che sarà il mio vedente. Ha avuto la visione su dove si trovasse e lo ha raggiunto. È un bambino di soli sette anni, pensa!”
“Ha visto il tuo vedente?” Si distrasse Fenelia.
“Certo. È così che funziona, non lo sapevi?”

Negò con la testa. Nessuno glielo aveva mai detto. Se anche lei era un’erede al trono, allora avrebbe dovuto avere un vedente. La Maestra Mut lo aveva visto e non glielo aveva ancora detto?  O era lei la sua vedente? O forse non lo aveva affatto e quindi non era destinata a diventare regina.  Questo pensiero la rallegrò. Tra tutti i dubbi che la assillano, aveva una certezza assoluta: non voleva essere regina.
Scacciò quel pensiero; non era il momento.

“Cosa pensi che significhi quella parola?” Chiese, indicando la tavoletta.
Il principe alzò le spalle. “Non saprei.”
Non volle chiedere di più per non insospettirlo, ma le bastarono queste informazioni per capire che non avevano la minimo idea di cosa avessero tra le mani. Tutto sarebbe cambiato, quasi certamente, con il ritorno di Bamal. Doveva agire in fretta.
“Eneia, non ti ho ancora mostrato la tavola funerario di mio nonno. Vieni a vedere quanto è bella!” La tirò per un braccio, il principe.
Sorrise del suo entusiasmo e una voragine nel petto le si aprì quando lui le raccontò in tutta confidenza, fatti personali e buffi di famiglia, perché si fidava del suo silenzio.
Non voleva perdere la sua fiducia. E decise anche lei di ricambiare totalmente quella stima.

“Principe…” Gli poggiò una mano sul braccio a interrompere il suo discorso. Lui la guardò, in attesa, sorridendo. “Ho una confessione da farti. Non sono stata sincera con te, sulla mia identità.”
“Non sei una sacerdotessa, vuoi dire?”
“Quello è vero. Così come è vero l’affetto fraterno che nutro per te. Ti ho mentito sul mio vero nome, per proteggermi. Ma ora ho l’esigenza di rivelarti tutto. Perché mi fido di te e perché ho bisogno del tuo aiuto.”
“Dimmi tutto. Non ti tradirò, sorella mia.” Rispose a mezza voce,  appassionato.
“Il mio vero nome è Fenelia. Sono la nipote di Tarides, principe della Messapia e fratello di re Alaskiritas.” Disse tutto d’un fiato.
Il principe spalancò gli occhi e la bocca.

Fenelia si passò una mano dietro i neri capelli e tirò fuori una ciocca bianca che aveva notato quel mattino e che aveva nascosto bene. “Questo è il vero colore dei miei capelli. Ed è vero che ho anche gli occhi color miele, gli ho camuffati.”
Il giovane principe, arrotolò la ciocca bianca tra sue dita, senza dire niente.
“Sono in viaggio per scoprire come porre fine alla crudeltà di  Alaskiritas e Yothnos. Mi serve quel pezzo di tavoletta sconosciuto e non voglio rubarlo. È importante e devo averlo! Te lo sto chiedendo come... futura regina della Messapia,  a te,  futuro re della Daunia.” Mantenne gli occhi lucidi fissi nei suoi.

Il suo silenzio la preoccupò. Sperava di non essersi sbagliata su di lui. Per molti versi erano simili e contava sull’affetto nato in quei giorni. Ostinata, ricercò il suo sguardo quando lo abbassò, alzandogli il mento con la mano. La trasformò in una carezza. Il principe chiuse gli occhi a quel tocco e inclinò il capo ad accogliere quel gesto in pieno. “Non posso dirti a cosa mi serve, spero lo capirai. Ma se tutto andrà bene, ci ritroveremo prima o dopo, a combattere insieme per riconquistare la  libertà perduta e a lavorare per mantenerla sempre. Se ti fidi di me.”
“Mi fido! Prendila e compi il tuo destino. Manterrò il segreto e farò in modo che nessuno si ricordi di questa tavoletta.”
Si strinsero forte in un abbraccio.

“Ce l’ho.” Comunicò Fenelia, entrando in casa.
Enio, intenta a lucidare la sua arma, alzò la testa e un braccio, con il pugno stretto. “Bravissima! Racconta, come è andata?”
La Maestra Mut le sorrise e dopo aver ascoltato i fatti, si complimentò.
La giovane sacerdotessa mostrò il pezzo di tavoletta e, recuperato l’altro che già aveva,  li affiancò. 
“No! Questo pezzo non va affianco a queste due parole.” Disse la Maestra, spostando la parte con la parola rotas. “La spaccatura non coincide. C’è una terza parte, un’altra parola o più.”
Fenelia si disse d’accordo, anche perché non aveva senso. “Coltivatore, falce, destino…” bisbigliò tra sé. “Spero che la terza parte dia un senso a tutto.” Commentò a voce più alta, alle due donne.
“Lo farà.” Disse la Maestra Mut. “Piuttosto, direi che è giunto il momento di tornare a casa. Il fatto che abbiamo trovato una parte in territorio Pauceta e l’altra in Daunia, direi che dice il vero il pezzo di storia in cui si parla della suddivisione. Alcuni sostenevano questa teoria: che la tavoletta sia stata rotta di proposito, in tre parti, e ognuna in territorio diverso. Quando c’era il primo popolo, la suddivisione non esisteva. Con la morte dell’ultima persona che lo ha usato, i saggi del tempo, a seguito della divisione territoriale, hanno pensato che il prossimo ad esserne degno poteva trovarsi ovunque nella Japigia.” Raccontò.

“Chissà chi è stato a inciderla. Sicuro era molto intelligente e capace. Certo, avrebbe potuto renderlo più semplice e chiaro!” Disse Enio, le mani sui fianchi, gli occhi al cielo.
Fenelia rise della sua espressione buffa.
“Eneia riuscirà a capire ogni cosa.” Chiuse il discorso la Maestra.

I giorni che seguirono li dedicarono a salutare i nuovi amici e a prepararsi per il viaggio di ritorno. Il principe Alessandro si comportò  come se non fosse accaduto niente di segreto e non accennò mai a ciò che era successo nella casa sacra. Fenelia si scoprì orgogliosa di lui e grata. Questo segreto li avrebbe tenuti legati per sempre.

Ma c’era un’altra questione che Fenelia voleva risolvere. Ora che sapeva della capacità del vedente di corte di vedere il suo successore, non riusciva a non pensarci. Voleva parlarne da sola con la Maestra e l’occasione le si presentò la sera prima della partenza. Dopo i saluti ufficiali, avvenuti durante un gioioso festeggiamento, approfittando della scomparsa di Enio, di nuovo impegnata con il suo corteggiatore, si avvicinò alla Maestra Mut.
“Maestra, sei tu la mia vedente?” Chiese direttamente, senza giri di parole.
La guardò, imperscrutabile. “No. Lo sarei stata di Sifika. Avevo solo cinque anni quando lei e Thanaquilla furono uccise. Non so se la vedente mi avesse già vista o solo non ha fatto in tempo a dirmelo, ma in seguito io ho visto lei e me lo ha rivelato.” Rispose.

Fenelia rimase un attimo sbalordita da quella notizia, ma si riprese in fretta: aveva senso. “Allora… hai visto se avrò un vedente?” Le tremò la voce.
“Più o meno.”
“Cosa vuol dire?” Terrorizzata, un brivido la attraversò e il cuore prese a galoppare.

La Maestra le afferrò una mano e la strinse tra le sue. “Ho visto una scena, molto sfocata. C’eri tu, di spalle. So che eri tu perché il colore dei tuoi capelli spiccava su tutto e poi, sentivo la tua essenza. Camminavi, tranquilla e forte e, dietro di te, qualcuno ti seguiva, con atteggiamento fiero e animo leale. Era di spalle come te, e la sua essenza era magica, di quelle tipiche di un vedente, ma allo stesso tempo era diversa.”
“Perché non me lo hai mai detto?” Chiese, corrucciata e addolorata insieme.

La Maestra sospirò. “Perché conosco il tuo cuore e so che questa era l’ultima risposta che volevi da me. Già da molto tempo, ho capito chi è questa persona. La sua essenza era familiare per me. L' ho incontrata diverse volte, ma non ne abbiamo mai parlato. Lo stesso gli ho fornito la conoscenza e le istruzioni necessarie. Non so se sarà il tuo vedente, ma posso dirti con sicurezza che ti potrai fidare.” Sorrise mentre le accarezzava la mano.

“Quindi è un lui! Qual è il suo nome, lo conosco già?” Si agitò.
La Maestra scosse il capo. ”Non vi conoscete ancora. Ma accadrà presto. Non posso dirti nulla, però. Te lo ripeto: la certezza assoluta che sia il tuo vedente non c’è l’ho. Così come non ne ho parlato con lui, lo stesso farò con te. Anzi, ti ho già detto troppo!" Con dolcezza le sistemò una ciocca dietro l'orecchio e continuò. "La visione poco chiara che ho avuto mi fa pensare che il vostro incontro e successivo rapporto dovrà essere guidato e costruito da voi stessi, senza interferenze.” Abbassò gli occhi, lasciandosi andare ad un respiro pesante. Sembrava che volesse aggiungere altro, ma strinse le labbra, come a impedirsi di farlo.

“Come potrebbe interferire il sapere il suo nome? Come farò a riconoscerlo?” Ora si arrabbiò.
“Fidati di me, bambina.” Sorridendo malinconica le baciò la mano. “Andrà tutto bene. Non ti lascerò sola.” Abbandonò la sua mano e si incamminò, invitandola ad andare a dormire. Dovevano svegliarsi presto per iniziare il viaggio di ritorno a casa.

Si mosse anche lei, ma non seguì la Maestra. Raggiunse a passo deciso la radura dove si era svolta la gara dei cavalli; sapeva che non ci sarebbe stato nessuno. I pugni stretti, le lacrime che le rigavano il viso, raggiunse un albero e gli sferrò un calcio. Cadde in ginocchio e urlò la sua frustrazione al cielo. Un tuono seguì il suo grido e la pioggia si mischiò alle sue lacrime.





















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