14. Sator Arepo
Abbandonarono Silvium lasciando la famiglia reale e tutto il popolo stupiti della decisione. Avevano detto che sarebbero rimaste con loro per ancora qualche tempo e invece, senza una spiegazione e con molte scuse, senza la possibilità di salutarle con una bella festa, annunciarono l'immediato addio.
“Se cambiate idea per la via del ritorno e desiderate fermarvi di nuovo da noi, ne saremo lieti.” Le salutò Altilla, la regina.
Fenelia non credeva che la Maestra avrebbe cambiato idea, ma non si poteva mai dire. Magari un'altra visione avrebbe ancora cambiato il corso degli eventi. A lei non sarebbe dispiaciuto rivederli.
Lungo la via, Fenelia incitò la Maestra a raccontare tutto quello che sapeva sulla tavoletta perduta.
“Non so di più di quello che sanno tutti. È una storia tramandata a voce da generazioni, tra popoli. Certamente avrà subito modifiche di dettagli e descrizioni, perciò la verità assoluta non penso sia sulla bocca di nessuno. La maggior parte crede sia solo una storia e niente più.”
“Ma Maestra, se l’hai visto allora vuol dire che è reale! Perché vederlo, altrimenti?”
“Forse si tratta di qualcos’altro.” Provò Enio.
Fenelia strinse le labbra e non disse niente. Ormai era convinta che si trattasse proprio di quella vecchia tavoletta. E più ci pensava, più sentiva dentro di sé un eccitazione, un’impazienza. Sperava che quelle sensazioni significassero che stava prendendo la via giusta e desiderò per la prima volta che una delle sue antenate si rivelasse a dirle che era proprio così, che aveva ragione, che aveva capito finalmente cosa doveva cercare. Ma i giorni passavano e nessun segnale, sogno, possessione o altro la visitò. Forse doveva aspettare di trovarsi con la tavoletta in mano.
Arrivarono nella zona interessata quando ormai il sole era tramontato perciò si accamparono, rimandando la discesa nella grotta al mattino successivo.
Non entrarono nel villaggio di Potamos. Considerato che stavano andando a cercare qualcosa nelle grotte, la Maestra ritenne prudente non metterli al corrente. Comunque non avevano bisogno di una guida: la Maestra ci era entrata più volte e sapeva bene come orientarsi.
Lasciarono i cavalli sotto a un albero a brucare e avanzarono verso un vecchio e maestoso ulivo. A due passi di distanza si apriva la profonda voragine, l’imbocco alla grotta.
L’albero costituiva l’unico segnale di riconoscimento che avvertiva di prestare attenzione: gli altri alberi intorno, quelli nell'immediate vicinanze, erano stati tagliati di proposito e l’area veniva tenuta il più possibile curata dalle sterpaglie dagli abitanti di Potamos. Troppe vite innocenti si erano spente, cadendo per errore nella voragine.
I primi coraggiosi che erano scesi giù, muniti di corde e torce, avevano poi scavato nella roccia a formare degli appigli e dei gradini per rendere la discesa più facile. Quando il tempo lo rendeva necessario, tornavano a sistemare.
Meta quasi assoluta di sacerdoti, sacerdotesse, streghe e maestri dell’arte Oscura, era luogo ideale per meditare e ricercare il proprio dio.
Pochi altri, curiosi e studiosi del terreno, trovavano il coraggio di cimentarsi nell’impresa.
Le tre donne, ferme sull’orlo del burrone, guardavano giù nel nero.
“Guardate bene.” Disse la Maestra, indicando con l’indice dei punti sulla parete. “Ci sono diversi appigli, per mani e piedi. A un certo punto troveremo dei gradini, più comodi, ma scivolosi. Ci legheremo con le corde per maggiore sicurezza, ma non contateci troppo. Restate concentrate.” Istruì, per poi avvicinarsi all’albero.
Attorno al suo grosso busto, erano legate diverse corde. Controllando bene che quella scelta fosse sicura e non presentasse sfilacciature, la fissarono attorno ai fianchi.
“Siamo sicure che queste corde reggeranno il nostro peso?” Chiese Enio, tirando la propria.
“Certo! La sicurezza è importante e, se può farti stare più tranquilla, queste corde sono state lavorate con lo stesso metodo che usiamo noi.” Rispose, intenta ad annodare bene attorno alla vita la sua corda.
“Si, mi fa stare più tranquilla saperlo.” Enio si avvicinò a Fenelia e controllò il suo nodo.
“So fare un ottimo nodo.” Ribatté Fenelia, togliendole la corda di mano, risentita.
“Controllavo soltanto.” Ridacchiò, alzando le mani.
“Se siete pronte, andiamo. Scendo prima io, a farvi strada con la voce. Contate fino a cinque e poi scende la prossima. Non scherzate e occhi e orecchie aperte, chiaro?” Parlò la Maestra.
Le ragazze annuirono, sull’attenti. Non appena diede loro le spalle, Enio spinse sulla schiena di Fenelia, per farla passare avanti.
La Maestra iniziò la sua discesa e Fenelia, dopo aver contato fino a cinque, la seguì.
Era davvero difficile! Più scendevano e più la roccia diventava fredda e scivolosa, umidiccia. Diverse volte, sia ad Enio che a Fenelia, scappava un piede. Il cuore in gola, riprendevano a scendere dopo un attimo di pausa.
In alcuni punti, era più buio che in altri e comunque quella poca luce che arrivava dall’alto, e non solo dall’entrata principale, rallentava e complicava l’impresa. Senza contare l’improvviso svolazzare di pipistrelli, che le costringeva a restare immobili come pietra fino a che non andavano via.
Dopo quella che parve un’eternità, la Maestra annunciò che c’erano quasi. E, il tempo di essere raggiunta sul fondo da entrambe e aver sciolto la fune, aveva acceso una torcia usando legno e pietre che si era portata dalla superficie.
Avvicinando i loro bastoni a quello già incendiato della Maestra, anche Fenelia ed Enio ebbero la luce. Spuntoni di roccia dalle forme bizzarre diedero loro il benvenuto. Fenelia si guardò attorno sbalordita e il pensiero volò a Bonoso: avrebbe adorato quel posto.
Si immaginò la sua faccia invidiosa quando glielo avrebbe raccontato.
Per un lungo tratto furono costrette a camminare con la schiena curva, ma dopo quel basso e scomodo passaggio, giunsero in una vastissima caverna che le tre torce non riuscivano a illuminare completamente. Un lontano gocciolio d’acqua le accompagnava.
“Di qua. C’è una galleria discendente che ci porterà ad un pozzo.” Disse la Maestra, rompendo il silenzio.
“Quanto è profondo questo pozzo, Maestra?” Chiese Fenelia, guardando giù nel buio.
“Moltissimo, si presume. Non è stato ancora esplorato. Fate attenzione e andiamo avanti, per di qua.”
Superare il pozzo non era cosa facile e ci volle tanta attenzione e pazienza, ansia e sudore, ma alla fine riuscirono nell’impresa.
Fenelia e l’amica non si risparmiavano con le esclamazioni di stupore e i commenti alla vista di quelle forme strane delle rocce, certe dai colori sorprendenti. Alcune di esse erano raggruppate e sembravano dei castelli con torri e torrette di varie altezze, e c’erano quelle che erano più appuntite di altre, quelle ricoperte di muschio e altre viscide e brillanti. Ad un certo punto passarono sotto ad un tetto di lunghi spuntoni che sembrava minacciarle e Fenelia quasi si torse un piede perché era tanto impegnata a guardarle che non vide la piccola buca davanti a sé.
La Maestra Mut parlava solo per avvertire di qualche pericoloso tratto, altrimenti camminava in assoluto silenzio, piano e con gli occhi attenti, scrutava davanti a sé. Fenelia era certa che stesse cercando qualche particolare che aveva visto nel sogno magico e che indicasse che fossero giunti nel punto giusto. E sperò che avvenisse presto: per quanto era affascinante quel luogo, stava iniziando a battere i denti per il freddo, che sentiva scuoterla fin nelle ossa.
Attraversarono un lungo tratto particolarmente buio e silenzioso.
“Sbaglio, o le pareti si stanno restringendo?” Chiese Enio, sfiorando quella alla sua sinistra con la mano libera dalla torcia.
La Maestra confermò e le invitò a non indugiare a lungo. Aveva chiaramente fretta, impaziente di certo di scoprire qualcosa di più su questa vicenda della tavoletta.
Fenelia spinse Enio, rimasta ferma a guardare con le sopracciglia aggrottate, uno spuntone dalla forma particolare: tutto attorcigliato su se stesso, sembrava un po' una conchiglia.
Le pareti si chiusero quasi definitivamente tra di loro, ma un passaggio basso e largo permetteva di accedere alla stanza successiva. “Andiamo!” Ordinò la Maestra, piegando le ginocchia e abbassando la testa per entrare.
Le ragazze la seguirono e un’altra volta ancora si trovarono a trattenere il fiato per la meraviglia. Quella nuova stanza era completamente fatta di roccia bianca e ricoperta per intero di spuntoni, dall’alto e dal basso, tanto che era difficile trovare un passaggio libero.
“Questa è l’ultima grotta e credo proprio che sia qui che dobbiamo cercare.” Annunciò la Maestra, guardandosi intorno.
“Cerco di arrivare laggiù.” Indicò un punto alla sua destra, Enio. La Maestra stava esplorando il lato opposto perciò Fenelia andò dritta davanti a sé, per quanto le rocce lo permettevano.
Si fermò di fronte ad una torre di pietra bianchissima e la accarezzò delicatamente, avvertendo freddo e zone più lisce che si alternavano a quelle più ruvide. Un buco, quasi perfettamente tondo, interrompeva il disegno frastagliato. Con il dito ne delineò il contorno e poi infilò tutta la mano dentro, chiusa a pugno, per poi riaprirla quando fu dall’altra parte. Toccò altra roccia e muovendo le dita a esplorare, si rese conto di star tracciando il contorno di alcune lettere o forme. Il cuore iniziò a battere forte, emozionato. Ritirò la mano e spiò dietro quella torre. Tra essa e la parete c’era giusto lo spazio necessario per intrufolarsi e la vide subito: il pezzo di una tavoletta piccola e sbilenca, perfettamente incastrato e illuminato da un leggero fascio di luce naturale che proveniva dall’alto. Alzando la testa, Fenelia vide un piccolo buco dal quale giungeva anche un lieve alito di vento che le accarezzò il viso per un attimo.
“L’ho trovata.” Annunciò a voce alta, tremante, prendendola in mano.
La Maestra ed Enio la raggiunsero subito davanti a quella torre e avvicinarono le torce per fare più luce possibile. La tavoletta era piccola, lunga quanto un palmo di mano ed era chiaramente spezzata. C’erano delle lettere incise. Fenelia lesse ad alta voce:
SA
AR
TE
OP
RO
“Non significa niente!” Spalancò gli occhi, guardando le compagne.
“Chiaramente non ha senso perché manca una parte.” Commentò Enio, toccando la zona frastagliata, che indicava il danno.
“In realtà sono due parole.” Disse la Maestra. “Si legge in questo senso: Sator, Arepo. Sono parole della Prima Lingua.”
Fenelia, pensierosa, si sforzò di ricordare degli insegnamenti della Maestra, di quando erano a Yoin: “Sator… vuol dire seminatore o…”
“Creatore.” La interruppe Enio.
“Brave!” Sorrise la Maestra. “Invece Arepo significa falce.”
“Allora è da intendere seminatore e non creatore.” Disse Enio, puntando l’indice sulla pietra. “A meno che non si faccia riferimento al dio protettore dell’agricoltura, che può essere considerato anche un creatore. Giusto?”
“Penso che queste parole, insieme alle altre che mancano, compongano un messaggio più che una formula magica.” Disse la Maestra, con la mano sul mento, pensierosa.
Poi si riscosse: “Risaliamo in superficie e discutiamone fuori. Mi sta venendo il mal di testa a stare qui sotto. Fenelia, metti al sicuro la tavoletta.”
Obbediente, la infilò nella sacca e si avviarono a compiere la via al ritroso, cercando di tenere a bada la fretta, per non incappare in qualche pericoloso incidente.
Questa tavoletta, di forma quadrata, esiste davvero e contiene un gioco di parole allegorico e simbolico. Ritrovato in diverse città, contiene sempre le stesse identiche parole, considerate un ‘segreto millenario incompreso’. La giustapposizione delle parole dà vita a un policromo, una frase che rimane identica letta da tutti i versi.
Il senso e il significato simbolico rimangono oscuri, anche se non mancano le diverse ipotesi.
Ho adattato il significato all’uso che mi serviva per la storia e, pezzo per pezzo, lo ricostruiremo.
📷 Due foto dal web:
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro