1. Il volo dell' aquila
V secolo
Japigia, Messapia.
Castello di Hydros*.
Essere interrotto mentre si trovava in compagnia della sua etera* preferita, che prostrata ai suoi piedi si stava egregiamente occupando del suo piacere, irritò il principe oltremodo.
Tirandole con brutalità i lunghi capelli neri all’indietro, affinché potesse guardarla negli occhi, raggiunse l’apice del piacere a vederla sottomessa e in lacrime per il dolore che lui stesso le stava procurando.
Appagato, grugnì il suo disappunto all'incessante battere sulla porta, accompagnato dai richiami del domestico .
Lasciò andare la ragazzina con sgarbo e lei tossendo, si appoggiò con le braccia al sontuoso e disfatto letto. Rimase lì seduta per terra a riprendere fiato, completamente nuda.
Alaskiritas diede ordine al domestico di entrare.
Il giovane, trafelato, portò la notizia che Thanaquilla, la vedente di corte, aveva preteso una riunione reale per un comunicato della massima urgenza. Erano già tutti riuniti nella Sala del Trono.
“Aspettami qui! Non ho finito con te.” Ordinò Alaskiritas alla etera, prima di seguire il suo domestico personale.
Maledicendo quella vecchia pazza di Thanaquilla, si sistemò al meglio la veste e si affrettò a percorrere i grandi e ormai bui corridoi. Prima di entrare nella sala del trono, si fermò davanti a una colonna di pietra che ospitava una trozzella* piena d’acqua. Con il caldo di quei giorni, diversi valletti e cameriere erano stati male e sua madre aveva predisposto che fossero sempre colme, a loro favore.
“È pulita?” Chiese.
“Appena riempita, signorino. Nessuno l’ha toccata.” Rispose il domestico.
Alaskiritas si bagnò allora le dita e si umettò il viso accaldato, insistendo di più nella zona degli occhi.
Se avesse previsto quell’incontro non avrebbe fumato quelle erbe magiche, ovviamente. Sperò che i suoi occhi non fossero troppo arrossati; non avrebbe retto una delle solite prediche paterne.
Si passò le mani tra i lunghi capelli neri, a pettinarli e appiattirli.
Serrò la mascella, mettendo in evidenza gli zigomi sporgenti e sospirò. Fece un cenno al suo valletto e quello bussò alla pesante porta chiusa annunciando il suo arrivo.
Nella Sala del Trono, non troppo sfarzosa e poco illuminata, come i suoi genitori desideravano, mancava solo lui.
Si guardò velocemente intorno per cercare di capire se la situazione fosse positiva o meno.
Oltre a suo padre, Re Artimio, e sua madre, Regina Olla, seduti sui loro scranni, vestiti impeccabilmente, c’erano i suoi fratelli minori, Apone e Tarides e sua sorella Sifika che sbadigliava e si stropicciava gli occhi assonnati.
E ovviamente c’era Thanaquilla, la vedente, che aveva richiesto quella riunione serale straordinaria.
Non sembrava agitata, anzi.
I valletti e le ancelle personali di ognuno, schierati poco distanti, spalle al muro e immobili come statue, assistevano alla scena, come di consueto.
Se la vecchia non aveva preteso che uscissero, allora significava che non si trattava di qualcosa di scomodo da tenere segreto.
“Alaskiritas, ce l’hai fatta finalmente!” Lo riprese suo padre. Lo osservò con severità, soffermandosi sui suoi occhi.
“Perdona il ritardo, padre. Dovevo rendermi presentabile.” Rispose a voce bassa, dedicando un mezzo sorriso e un occhiolino complice a suo fratello Apone.
Quest’ultimo distolse lo sguardo per non ridere.
Più in carne e meno affascinante del fratello maggiore, Apone mancava anche di personalità. Inspirò aria dal naso a patata, per ritrovare il contegno, lasciando che i lunghi capelli nascondessero il suo viso.
Il re stava per ribattere ma la regina gli posò una mano sul braccio a ricordargli che non era il momento.
Sifika prese per mano suo fratello Tarides e lui le sorrise dolcemente. Alaskiritas si lasciò sfuggire uno sbuffo di intolleranza.
Completamente opposto ai due fratelli maggiori, Tarides aveva un temperamento mite e un carattere buono e gentile. Vestito in modo consono e ordinato, portava i capelli castani legati in una coda bassa.
Il Re tossì portandosi una mano al petto. Si calmò schiarendosi la gola e, lisciandosi la barba ben curata, invitò Thanaquilla a parlare.
La vecchia avanzò al centro della stanza, i lunghi capelli oramai quasi tutti grigi e acconciati da treccioline e nastri azzurri, dondolarono ai lati del suo rugoso viso. Alzò la testa, sorridendo a re e regina e con gli occhi azzurri scintillanti di gioia, annunciò di aver ricevuto in sogno un messaggio importante riguardo il successore del re.
Alaskiritas, primogenito del re, drizzò la schiena e si avvicinò di qualche passo, emozionato e attento.
Finalmente si iniziava a parlare di successione.
Se la vecchia avesse detto che era tempo per Artimio di mettersi da parte, l’avrebbe ascoltata di sicuro.
Suo padre era malato da tempo e sarebbe stato giusto togliersi di mezzo.
Fino a che non sarebbe morto non gli avrebbe mai lasciato completa libertà di manovra ma Alaskiritas aveva già pensato a tutto.
Scambiò uno sguardo complice con Apone.
“Una grande aquila ha sorvolato il cielo azzurro per poi posarsi sulla testa del Re Artimio.” Cominciò solenne, con la sua voce da vecchia, Thanaquilla. “Con le zampe artigliate ha sottratto dal suo capo la corona e, dopo un volo concentrico e molto alto, è tornata giù a posarsi sulla testa di Sifika.” Concluse, voltandosi a guardare la ragazzina.
Tutti gli sguardi furono su Sifika e solo i volti della regina Olla e di Tarides mostrarono gioia immediata.
Il Re assunse un espressione sorpresa e preoccupata; allarmata e incredula fu quella di Apone e Alaskiritas.
“Io?” Pigolò la giovane, confusa, sbattendo i grandi occhi color del miele.
Thanaquilla le sorrise con affetto e annuì.
Alaskiritas impallidì, se possibile ancora di più di quanto già non fosse per sua natura. Il fiato corto, dovette trattenersi con tutto l’autocontrollo che aveva imparato ad allenare.
“Thanaquilla, ti sei sbagliata: è Alaskiritas il prossimo re.” Prese parola Apone, guardandola male, il tono di voce irritato.
“È lui il primogenito e ha il diritto di nascita. Sifika è l’ultimogenita, non ha senso.” Argomentò ancora, guardando il padre.
Re Artimio però aveva occhi solo per la vedente.
“La visione ha parlato chiaro. Il prossimo regno sarà destinato a Sifika.” Commentò la vecchia, sicura.
Alaskiritas strinse i pugni, cercando di contenersi mentre attorno a lui iniziavano a discutere della futura e immediata educazione della sorella che doveva subire un cambio di rotta; Tarides le offrì il suo sostegno.
Sordo alle loro insulse parole, si sentì invadere dalla rabbia e dall’odio come mai fino a quel momento aveva provato. Tremava e digrignava i denti.
Stava attendendo con pazienza che arrivasse finalmente il suo momento di salire al trono, di spodestare quell’insulso pacifista di suo padre e prendere in mano la situazione. Aveva studiato nel dettaglio la sua strategia, preso contatti con colui che avrebbe addestrato come si deve il suo esercito, pensato alle future e vantaggiose alleanze, deciso contro chi battersi per conquistare i territori dell’ Apulia ed espandere il suo regno.
Non poteva credere che tutto sarebbe finito per colpa di quella vecchia. Avrebbe forse anche potuto accettare il caso in cui sarebbe toccato ad Apone diventare re. Il fratello stravedeva per lui e avrebbe fatto tutto quello che gli avrebbe suggerito di fare, rendendolo in questo modo a tutti gli effetti comunque lui a regnare. Con facilità lo avrebbe anzi convinto a cedergli la corona.
Ma con Sifika la situazione era diversa.
Quell’odiosa ragazzina, indisciplinata, ribelle e disobbediente non lo avrebbe mai ascoltato. Si detestavano a vicenda e aveva l’appoggio di Tarides, il preferito del padre, e il sostegno di sua madre e Thanaquilla che stravedevano per quella mocciosa, solo perché era l’unica femmina.
Non disse niente in quel momento, non era saggio. Con un solo sguardo, ordinò ad Apone di tacere con le sue rimostranze.
I genitori consideravano Thanaquilla degna del rispetto assoluto e non tolleravano che la si contraddicesse. Mai i suoi sogni magici si erano rivelati sbagliati e, insieme ai suoi consigli, il padre aveva ottenuto tutto ciò che aveva.
Ad Alaskiritas non importava nulla di quella vecchia e lei non lo aveva mai considerato come il futuro erede del trono, lo sapeva bene: non glielo aveva mai detto apertamente ma glielo leggeva negli occhi ogni volta che si trovavano a discutere.
A suo giudizio, non aveva affatto ricevuto una visione. Aveva inventato ogni cosa per far salire al potere la sua preferita, restare ancora a lungo a corte come vedente e vendicarsi di lui. Lei lo sapeva bene, anche senza averlo visto in sogno, che non appena sarebbe salito al potere, l’avrebbe messa alla porta nell’immediato.
Solo un mese addietro gli aveva fatto sapere di aver scoperto della richiesta che aveva avanzato a Laone di essere il suo vedente di corte nel momento in cui la corona sarebbe stata sulla sua testa.
Thanaquilla non approvava Laone: lo considerava un ciarlatano. Lui, Alaskiritas, lo aveva scelto perché sapeva avrebbe fatto e detto tutto ciò che voleva.
Apone seguì Alaskiritas nelle sue stanze, continuando a esternare la sua indignazione alla notizia ricevuta.
Discussero a lungo sul da farsi e decisero quella notte, senza scrupoli, ripensamenti o dispiaceri, ciò che avrebbero fatto.
A sentirli architettare c’era da chiedersi come fosse possibile partorire un piano così crudele contro la propria famiglia: contro un padre e una madre che solo amore, pace e solidarietà avevano predicato e, soprattutto, contro la sorellina, una ragazzina appena undicenne, che non si meritava di ricevere quella crudeltà.
Ma Alaskiritas era cattivo, lo era sempre stato, negli ultimi anni ancora di più e, nella sua mente non c’era spazio per delle soluzioni che non fossero vendicative e crudeli e aveva trascinato verso quel modo di fare e pensare anche suo fratello Apone, di un anno più piccolo.
Tanto erano infervorati da quel loro piano che solo alla fine, quando troppo ormai avevano detto, si accorsero della ragazza, la etera di Alaskiritas che, seduta sul letto di lui con le ginocchia strette tra le braccia, li guardava terrorizzata.
“Pensaci tu.” Disse Alaskiritas con fare annoiato, al fratello.
Le voltò le spalle, indifferente.
“Andiamo, tesoro. Mi prendo io cura di te adesso.” Sorrise malvagio, Apone.
La povera ragazza, piangendo e tremando lo seguì, senza parlare.
“Buon divertimento, fratello!” Commentò Alaskiritas, alzando in alto l’ennesimo calice ricolmo di vino.
La bella e sfortunata etera scomparve per sempre quella notte.
E la stessa sorte toccò a tutti gli altri che per forza di cose avevano dovuto coinvolgere e avrebbero potuto tradirli.
I loro valletti personali per cominciare, l’ancella della regina, il valletto del re, i camerieri personali e tutti coloro che sapevano fossero assolutamente fedeli ai genitori, vennero tolti di mezzo. Ma, prima di tutti, avvelenarono il Re e la Regina e grazie alla complicità dei due uomini che Alaskiritas aveva scelto di avere accanto, oltre a suo fratello: il vedente Laone e il generale Yothnos, detto il demone.
Nessuno si preoccupò troppo di cameriere, paggi e valletti scomparsi nel nulla ma per quanto riguardò la morte dei coniugi reali, i due fratelli diedero ordine di rinchiudere nell’immediato Sifika e Thanaquilla, accusandole degli omicidi e condannandole a morte.
“Alaskiritas, non puoi davvero pensare che siano state loro! Perché lo pensi? Quale prove hai?” Lo fronteggiò Tarides.
“L’ho visto, principe.” Rispose Laone, indicandosi gli occhi azzurri.
“Lascia fare a noi fratellino.” Si intromise Apone, passandogli un braccio attorno alle spalle e accompagnandolo fuori dalla stanza.
Un maestoso e tradizionale funerale fu organizzato per il Re e la Regina e, subito dopo, a rito concluso, la corona fu posta sul capo dell’appena sedicenne Alaskiritas, direttamente dalle mani del vedente Laone.
Il vedente dichiarò che non solo Alaskiritas era il legittimo erede in quanto primogenito ma assicurò tutto il popolo di aver visto il ragazzo diventare re nei suoi sogni magici.
Il giorno seguente, in pubblica piazza, Thanaquilla e Sifika attendevano di essere giustiziate.
Inutili i tentativi di Tarides di fermare i fratelli.
Ritte in piedi e fiere, le due prigioniere affrontarono la folla che sputava loro addosso sentenze e male parole.
“Alaskiritas stai conducendo il tuo popolo alla rovina. Hai concimato la terra con corpi morti ingiustamente. Le loro anime non troveranno pace fino a che non si riterranno vendicate.” Ammonì Thanaquilla, con voce rauca e stanca.
Sifika si voltò verso i due fratelli e li guardò con odio. “Che siate dannati per il resto della vostra vita e con voi tutta la vostra generazione futura! Pagherete per quello che state facendo!” Sputò selvaggia, i capelli arruffati, il lungo ciuffo bianco che spiccava tra il nero, il viso sporco e rigato di lacrime. “Non vi libererete mai di me! Il mio spirito tornerà a vendicarsi e in una delle mie prossime vite, sarò regina e vendicherò tutti!” Urlò con decisione, facendosi sentire da tutto il popolo.
Ridacchiò debolmente Thanaquilla, gli occhi chiusi.
Alaskiritas e Apone risero di gusto invece, sguaiatamente, mentre Tarides piangeva disperato, trattenuto da due guardie.
Molte cose accaddero nei giorni, nei mesi e negli anni successivi.
Grazie all’aiuto di Yothnos, Alaskiritas formò il più crudele e disumano esercito che si fosse mai visto. Determinato a conquistare tutta la regione dell’Apulia, attaccò i Dauni della zona nord e i Pauceti che occupavano il centro, conquistandone facilmente i territori. Spodestò i due rispettivi re e si proclamò Re Supremo di tutta la Japigia così come il suo vedente Laone aveva dichiarato di aver visto nel suo sogno.
Ma Tarides non partecipò a tutto questo.
Distrutto per le perdite, chiese ad Alaskiritas di essere disconosciuto come principe: “Dammi la possibilità di vivere come un uomo semplice.” Chiese, subito dopo la morte dell’amata sorellina.
Fu accontentato senza problemi e i fratelli non seppero più nulla di lui, né si interessarono mai della sua sorte.
Semplicemente si dimenticarono di lui.
*Hydros: oggi Otranto
*etera: donna di liberi costumi, cortigiana.
*trozzella: vaso tipico della civiltà messapica, dal corpo ovoidale e con alti manici.
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