Seconda parte: Il risveglio - Capitolo 22
Un fiocco di neve si affretta a raggiungere il manto bianco che ha ricoperto ogni cosa. Numerosi alberi addobbati per l'occasione contornano Piazza Unità, illuminandola. Al centro è allestito un suggestivo Presepe con la Natività al completo. Passeggiando lungo il Canale di Sant'Antonio Nuovo mi imbatto nei tradizionali mercatini, con i loro profumi e sapori tipici.
«Sei a caccia di regali?»
Mi volto e lui mi sorride, con uno strano luccichio negli occhi. Provo a perforarmi la mano con un dito. Esito positivo. Sono nel sogno.
«Mi hai mentito!»
«Di cosa parli, Amore?»
«Non chiamarmi Amore, tu non sei il mio ragazzo!»
«Perché dici questo?»
«È Demi il mio ragazzo, non tu.»
«Amore, sono io Demi.»
«No! Tu hai detto di chiamarti Gabriel e fisicamente sei diverso. Demi ha i capelli biondi ed è più basso di te!»
«Devi credermi.»
«È quello che ho fatto finora e ho sbagliato.»
Il suo volto è inespressivo, ma sono più che sicura che si tratta di una maschera, sono le sue iridi a tradire le forti emozioni che sta provando. Non sono mai state così profonde come adesso, mi stanno invitando a inabissarmi nell'umor vitreo dei loro occhi.
Il suo sguardo mi paralizza e colgo quel senso di familiarità che ho a lungo cercato. Un lampo mi abbaglia, come un faro nella notte. Un volto mi sfreccia davanti. Vedo il parco, noi due che passeggiamo felici; lui che mi sussurra in un orecchio, io che sorrido.
«Demi», un leggero tremore vela la mia voce e le emozioni sfuggono al mio controllo. Sento le lacrime lanciarsi una dopo l'altra dal trampolino delle ciglia e scivolare giù sulle mie guance. Mi copro il viso con le mani e, con esso, il mio lato debole.
«Non mi piace vederti piangere» confessa, dopo averle scostate dal mio viso.
Sbarro gli occhi, non riesco a credere a quello che vedo. Sono confusa, disorientata e ho bisogno di un po' di tempo per riprendermi.
«È tutto okay?»
Mi limito ad annuire, non sono del tutto padrona della mia voce, mentre lui mi asciuga le ultime lacrime. «Sei proprio tu?» gli domando, incredula. Il suo viso è identico a quello della fotografia.
«Come hai fatto?»
«Qualcuno mi ha costretto a mostrarmi con un aspetto diverso.»
«Chi?»
«Tu, Amore.»
«Io? Perché?»
«Mi hai cancellato dai tuoi ricordi, perché la mia faccia ti faceva soffrire. Io, però, avevo bisogno di vederti, eri così triste. Sola. Indifesa. Ed era tutta colpa mia. Dovevo fare qualcosa perché tornassi ad essere la Serena che ho conosciuto. Non ho avuto scelta». Demi mi prende per mano e mi trascina via con sé.
«Dove andiamo?»
«Seguimi, fifona.»
In breve, ci troviamo in piazza Ponterosso gremita di gente, ma soprattutto di bambini che muoiono dalla voglia di salire sulla pista di ghiaccio.
«Questi sono per te» dice, consegnandomi un paio di pattini.
«Non so pattinare.»
«Fidati di me.»
Un attimo dopo, mi ritrovo abbarbicata al suo braccio con un piede avanti e uno in dietro, mentre tento disperatamente di restare in piedi come fossi un'equilibrista alle prese con la sua esibizione circense.
«Chiudi gli occhi» ribadisce, prima di accostare le sue labbra al mio orecchio. «Lasciati andare». Guida le mie mani a cingergli il collo, mentre le sue braccia mi si avvinghiano alla vita e, poco dopo, ci troviamo a roteare in un giro di valzer.
Sento risuonare una musica e mi sento leggera, tanto leggera da sfiorare leggiadra il ghiaccio sottostante. Lui mi stringe forte a sé, come in un abbraccio d'addio, poi la sua stretta si allenta e fa un passo indietro, allontanandosi da me. D'un tratto, non c'è più nessuno intorno a noi, il panorama diventa improvvisamente cupo e il silenzio che domina la scena è inquietante.
Che succede? Questo scenario non è opera mia.
La pista di ghiaccio inizia a sciogliersi, trasformandosi in un'enorme pozza d'acqua, circondata da scogli; il vento solleva onde rumorose; le nuvole si abbassano a vista d'occhio, tanto fitte e grigie da sembrare una ragnatela.
Sento freddo.
Dalla mia bocca vedo uscire sbuffi di nebbiolina gelida. Resto in silenzio e immobile a guardarlo. Sono perplessa e un po' spaventata, l'espressione che ha sul viso mi spaventa. Buia. Spenta. E' nervoso, osservo il suo petto mentre si gonfia e si sgonfia freneticamente ad ogni suo respiro. Dentro di me si fa strada una strana sensazione, come di un presentimento.
«Cosa succede?»
«Devo dirti addio.»
«No» mormoro, dopo aver emesso un respiro profondo. «Non puoi andartene.»
«Non hai più bisogno di me.»
Un altro respiro. Provo a convincermi che non sta succedendo davvero, ma quando incrocio il suo sguardo, carico di una indifferenza disarmante, sono travolta dalla consapevolezza che il nostro tempo sta per scadere. Quello che credevo sarebbe durato per sempre.
Il suo sguardo continua a trivellare la mia anima che, dilaniata, incomincia a sbriciolarsi in innumerevoli pezzi. Riesco a sentirne il rumore. Quello di un dolore che non riuscirò a rimarginare mai più. Ho voglia di stringerlo fra le mie braccia e implorarlo di non abbandonarmi, ma non lo faccio. Stringo i pugni in una morsa tanto stretta da sentire le unghie bucarmi la carne. Non posso cedere alla disperazione, non davanti a lui. Stringo più forte e mantengo calmo il respiro. Mi sento sull'orlo di un precipizio, ma un attacco di panico è l'ultima cosa che voglio, in questo momento. Se mi lascio andare, è la fine.
Continuo a fissarlo. Nessun cedimento. Nessuna reazione. Niente che possa smentire quello che ha appena detto. È impassibile, come le sue parole. Mi sforzo di recuperare le poche forze rimaste, per evitare di svenirgli sotto gli occhi. «E se fossi io a cercarti?»
«Non farlo». Il suo sguardo cristallino trapassa la mia me incorporea, perdendosi nel vuoto alle mie spalle. La sua voce è profonda e cavernosa, simile al rumore che fa una roccia quando si sgretola sul fondo di un pozzo. Un pozzo profondo e molto buio.
Mi chiedo come fa a non accorgersi di ciò che sto provando, di quanto male mi stiano facendo le sue parole. Eppure, ha sempre saputo leggermi dentro sin dalla prima volta. La prima volta che mi ha conquistata con i suoi occhi, dello stesso azzurro del mare che lambisce le coste. «Non voglio che tu vada via.»
«Devo farlo.»
Lo sento distante. Il silenzio è l'unica cosa che ci unisce. Sono spaventata e inizio a stare male. Il mio stomaco è pervaso da un forte senso di disgusto perché sto metabolizzando ciò che lui è realmente. È solo colpa mia. Io gli ho dato il permesso di conoscermi nel profondo; di abbattere le mie difese; di legarmi al suo cuore. Questo momento sarebbe arrivato prima o poi, ma non mi aspettavo così presto. Nell'ultimo periodo, mi sono data tanto da fare per recuperare ciò che avevo dimenticato, che non ho pensato alle conseguenze. Il conto da pagare.
«Ora sì che sei la mia Sere. Non ti dimenticherò mai, Amore mio.»
Sento un brivido gelido risalirmi la schiena, al suono di quelle parole. Vorrei dirgli qualcosa, ma non ci riesco. La gola mi fa male da morire. Continua a stringersi. Di più. Sempre di più. La parole si arrampicano lungo le sue pareti, come alpinisti esperti, ma la salita è ripida e scivolano giù, come slavine da una montagna.
«Promettimi che sorriderai alla vita come facevi un tempo. Sarò felice di saperti felice.»
Le lacrime invadono le mie orbite e il suo volto inizia a ondeggiare, confuso, come se lo vedessi attraverso uno finestrino appannato dalla pioggia.
Demi resta in attesa, senza dare segni di impazienza. Mi stringo nelle braccia, sento il gelo insinuarsi in ogni singolo poro dell'epidermide.
«Lascia aperta la porta del tuo cuore», mi sorride. «Qualcuno è già in cerca di te». Il suo volto candido e lucente inizia a dissolversi e, così, pure il suo corpo. «Ti amo.»
«Io di più.»
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