Quarto capitolo
L'autobus è affollato, in piedi di fronte al finestrino vedo scorrere i miei pensieri, come una pellicola su una moviola. Chiusa nell'abitacolo di questo mezzo e avvolta in un silenzio straziante, non è poi così difficile dar voce a ciò che mi tormenta. Devo credergli quando mi dice che lo conosco? Non mi ricordo, ma lui sa il mio nome. E non è la sola cosa che sa. Non ho che due chance a disposizione. Numero uno: non credergli e stare lontana da lui ad ogni costo; innalzare un muro invisibile e impedirgli di martoriarmi con i suoi consigli freudiani; esortarlo a lasciarmi in pace con tutta la persuasione di cui sono capace. Non sono del tutto sicura di volergli stare lontano, anche se la sua presenza mi scatena un po' di paura, qualcosa mi dice che non è lui che devo temere. Non so bene chi sia, ma qualcosa dentro mi spinge nella sua direzione, verso la chance numero due.
Dopo una brusca frenata, traballo e finisco in rotta di collisione con un ragazzo. «Scusami.»
«Se hai così tanta voglia di saltarmi addosso, dovremmo trovarci un posto più appartato», ammicca Gabriel.
«Non ho voglia di fare un bel niente con te.»
«Non la pensi così, quando ti stringo tra le braccia.»
«Continua pure con la tua strategia, illuso.»
«La mia unica strategia è la spontaneità. E non mi pare che ti sia mai lamentata.»
Sono solo parole, ma pronunciate da lui mi fanno sentire piacevolmente lusingata e sento un inusuale calore divampare sul volto. Quando sono con lui, le mie emozioni corrono a briglie sciolte, disarcionando il controllo come un fantino opprimente.
La sua testa inizia a ondeggiare e mi accorgo che ha un auricolare affondato nell'orecchio, mentre l'altro lo porge a me. «E' la nostra canzone.»
«Non ascolto musica.»
«Un altro cambiamento.»
«Nessun cambiamento, semplicemente non l'ascolto.»
«L'ascoltavi, un tempo.»
«Ah, sì? E sentiamo, cos'altro facevo un tempo?»
Il tocco delle sue dita sulla mia pelle mi provoca un brivido. «Passeggiavi mano nella mano con me.»
Per un istante smetto di respirare, non capisco cosa sia, l'eccitazione provata al suono di quelle parole o il senso di familiarità di quel gesto. Gabriel non parla, con lo sguardo interroga la mia espressione sorpresa; io non so che dire, le parole hanno preso il volo, come colombe bianche all'uscita degli sposi da una chiesa.
«Ti piaceva ascoltarla, quando te la sussurravo in un orecchio» ammette, mentre mi scosta una ciocca ribelle dal viso. «Vuoi che te la canti, ora?»
«No, grazie.»
«Sicura? La mia voce ti fa impazzire.»
«Ti credo sulla parola.»
«Non è così che funziona.»
«Cosa?»
«La tua memoria. Dobbiamo darle una mano.»
La mia testa inizia ad essere bombardata da immagini sbiadite, una serie di flashback che riportano la mia mente indietro nel tempo. Due sagome che camminano una di fianco all'altra, ma ho difficoltà a metterle a fuoco.
La sua testa s'inclina su un lato, come se volesse cogliere qualcosa dalla mia espressione, ma non accenna ad aggiungere altro. A modo suo, mi sta offrendo la possibilità di decidere se fidarmi.
«Se ti ascolto cantare, mi ricorderò di te?»
«Non lo so, però possiamo provare a fare un'altra cosa.»
«Quale?»
«Guardami.»
«Hai dei begli occhi, allora?»
Gabriel mi prende il viso tra le mani, avvicinandolo al suo. «Guardami.»
Siamo occhi negli occhi. È così attraente da intimidirmi, una sfida che so di perdere, vorrei abbassare lo sguardo, ma faccio un respiro profondo e provo a concentrarmi. Fisso le sue iridi, il suo sguardo è magnetico. Mi attrae dentro di sé. Mi smarrisco nelle sue orbite profonde. Annaspo in questo mare infinito. Cerco un appiglio. Sto affogando...
*
...Non so dove mi trovo, né come ci sono arrivata ma sento freddo, un freddo che morde e che si diffonde lungo i muscoli della schiena. Non c'è nessuno con me, tranne la paura che mi pedina come uno stalker. Il cuore mi pulsa forte e i crampi incominciano a graffiarmi la pancia, se non trovo alla svelta una via di fuga, starò male. Mi guardo intorno e rabbrividisco al passaggio di un refolo ghiacciato. Snervata da questa cecità momentanea, m'incammino lungo un viale, scortata dalle oscure e imponenti fronde dei platani. Dopo qualche passo, sono affiancata anche dall'ansia. Ho l'impressione che da un momento all'altro un artiglio possa serrarmi il polso in una morsa senza via di fuga, trascinandomi via con sé. Il parco sta assumendo l'aspetto di un fitto bosco, mentre il sentiero si fa tortuoso. Un'ombra tra gli alberi mi fa sussultare. Tutto è immobile. Nessun rumore. C'è un odore insopportabile, muffa mescolata a qualcosa che non so definire, ho la nausea. La testa mi pulsa e non so se per questo tanfo o per la vista che sto sforzando.
Un ringhio alle mie spalle squarcia questo silenzio inquietante, mi volto come in una scena a rallentatore: due occhi rossi lampeggiano, intorno l'oscurità. Adesso riconosco quell'odore. Quella cosa, dal volto ignoto e dalla fisionomia assente, mi ha imprigionata nell'ipnotica morsa del suo ghigno diabolico. Il terreno sotto i miei piedi sembra ondeggiare e mi sforzo di non cadere. Inizio a correre il più velocemente possibile. Il più lontano possibile da quella cosa. Sento la pelle strappata via a morsi dai rovi, ma continuo a correre. Ingoio l'aria per prendere fiato, la gola è in fiamme, il sudore m'incolla i capelli al viso e non riesco a distinguere la strada davanti a me. Il fiato sempre più corto e fitte lancinanti alle costole mi costringono a rallentare. Mi gira la testa, chiudo gli occhi per contrastare le vertigini e provo a fare dei lunghi respiri per calmarmi. Quando li riapro, il buio è scomparso e mi ritrovo su uno scoglio. Davanti a me c'è il mare, le sue acquee scintillano al sole.
Lo scricchiolio di un ramo spezzato attira la mia attenzione, mi volto di scatto ma non vedo nessuno. Devo correre, ma non ho più fiato. Do una rapida occhiata in giro e sussulto quando vedo un'ombra proiettata sugli scogli. La speranza di essere scampata al pericolo sta lentamente cedendo il posto a un fortissimo senso d'impotenza.
Sbatto le palpebre.
Gabriel non c'è più.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro