Capitolo sedici
Sento il vento caldo sulla pelle; l'odore fresco del mare; la luce abbagliante del sole; gli schiamazzi dei bambini che si rincorrono gioiosi. Durante le calde giornate estive, il lungomare è affollato dai bagnanti che si ritrovano ai Topolini muniti di stuoie di paglia o brandine, dal momento che il porfido diventa incandescente sotto il sole rovente. Per chi non è autoctono, la prima volta che vede Barcola d'estate pensa che i triestini prendano il sole sul marciapiede, mentre il caotico traffico cittadino scorre alle loro spalle.
Io la preferisco fuori stagione, quando i bar sono chiusi, non vi è l'ombra di bagnanti, i gabbiani planano silenziosi sfiorando la superficie del mare e, al crepuscolo, le luci del faro illuminano il lungomare fin dentro la città.
«Wow» Gabriel mi squadra dalla testa ai piedi, passando in rassegna il mio bikini. «Non potevo desiderare una visuale migliore.»
«I jeans non sono impermeabili all'acqua» ribatto, mentre tento disperatamente di cancellare dalla mia faccia la maschera d'imbarazzo.
«Sei ancora più bella di come ti ricordavo», Gabriel mi afferra per i fianchi e mi trascina a sé. «Non sai quanto mi manchi.»
«Adesso sono qui.»
«Altroché se sei qui» dichiara, lanciando uno sguardo sfacciato al mio decolté. «Per fortuna, non resterai mezza nuda a lungo o sarebbe impossibile per me tenere le mani a posto.»
«Cos'hai intenzione di farmi indossare, uno scafandro?»
«Noto con piacere che non hai dimenticato il tuo sarcasmo» mormora, prima di stamparmi un bacio sul collo.
Un brivido d'eccitazione s'infiltra sotto la pelle e lo sento correre come una Frecciarossa sui binari del cuore.
«Vieni» dice, prendendomi per mano.
«Dove andiamo?»
«A studiare la riserva» dichiara, mentre le sue labbra sprigionano una smorfia divertita.
Ci facciamo strada tra la folla di bagnanti, raggiungiamo a piedi il promontorio di Miramare, incastrato proprio tra il porticciolo turistico di Grignano e la riviera di Barcola. Il tratto marino-costiero in cui è situata declina in massi, ciottoli e formazioni fangose via via che dalla costa, costituita da roccia calcarea tipica del Carso, si raggiunge il mare.
Lo seguo, gli sono più vicina della sua ombra. Non conosco la meta della nostra insolita passeggiata, che si avventura su e giù lungo salite e discese rocciose. Con il piede colpisco qualcosa, probabilmente un sasso e inciampo.
Gabriel mi prende al volo, stringendomi forte al suo petto. «Cerca di stare attenta, perché se dovesse accadere un'altra volta non risponderò di me.»
«È una minaccia?»
«No, è una promessa.»
«E io ti prometto che andrò via, se non mi dici dove stiamo andando.»
«A fare un'immersione.»
Sbarro gli occhi e lo fisso incredula. «Non posso fare immersioni, non ho il brevetto.»
«Per il seawatching non hai bisogno del brevetto» risponde con una tale disinvoltura, quasi dia per scontato che io sappia di cosa parli.
«Sea ... wa ... watching?», balbetto.
«È un'immersione a bassa profondità, tre metri al massimo, ma il nostro itinerario non raggiungerà il metro e mezzo tra gli scogli. Saremo a pochi passi dalla riva.»
Sono inerte, il viso grigio e gli occhi spalancati, un uccellino imprigionato nello sguardo predatore di un gatto. Provo a rintracciare le parole, ma non le trovo. «Ah» è tutto quello che mi sfugge di bocca.
Gabriel osserva la mia espressione tormentata. «Vuoi andare via?»
«No». Gli sorrido, cercando di alleviare quel mio inspiegabile avvilimento.
Oltrepassiamo una fenditura stretta che si apre tra le pareti rocciose, coperte da una folta vegetazione che si lascia esplorare attraverso i suoi sentieri ripidi. Gabriel si ferma e mi invita a guardare. Mi sforzo di scrutare dove indica e vedo due ragazzi che mi fissano con sguardo ostile. Sento i muscoli irrigidirsi e mi stringo contro le rocce. Non so spiegarmi il motivo, ma il mio stomaco improvvisamente sobbalza. Ho l'impressione che Gabriel mi legga nella mente o, più semplicemente, l'espressione del mio viso è fin troppo eloquente.
«Tranquilla, non ti faranno del male» mi sussurra, sfiorandomi teneramente la guancia con le dita. «Proseguiamo.»
Annuisco lentamente e, con altrettanta lentezza, striscio contro la parete rocciosa alle mie spalle. Cammino senza staccare gli occhi dai miei piedi, non ho voglia di incrociare di nuovo lo sguardo glaciale di quei due. Emetto un sospiro inquieto, Gabriel l'avverte e si volta indietro. Lo guardo a malapena con la coda dell'occhio, ma sento il calore dei suoi luminosi occhi azzurri su di me, sta esaminando minuziosamente il mio viso. Sollevo la testa e mi lascio ammansire dal tenero abbraccio del suo sguardo. Prima che possa aggiungere altro, mi ritrovo con un mutino, maschera e boccaglio fra le mani.
«Indossali.»
«Anche la muta? Hai detto che il fondale è basso», domando interdetta. Riesco a stento a controllare il mio stato di agitazione.
«Ti aiuterà a non sentire freddo. Dobbiamo osservare restando fermi, per non spaventare le specie che vivono sui fondali.»
Respiro a fondo e lo imploro con lo sguardo, sperando di avere un'ultima chance per tornare indietro, ma non sembra funzionare e mi rassegno a familiarizzare con l'equipaggiamento. Per maschera, pinne e boccaglio non ho alcun problema, ma per la muta ho bisogno di una Laurea in Biologia Marina per capire come infilarla.
«Ti aiuto». I suoi occhi, trasparenti come vetro, catturano i miei. «Devi infilare prima le gambe e poi le braccia.»
«È stretta, credo che la taglia sia sbagliata.»
«Conosco molto bene la tua taglia» mi sorride, improvvisamente divertito. «Ma la muta deve essere come una seconda pelle, per evitare un eccessivo ricircolo d'acqua.»
«Può anche essere, ma io così rischio l'asfissia». Lo fulmino con un'occhiataccia. Tiro su la lampo e faccio una smorfia. «Perché mi sento bagnata?»
«È l'effetto della muta. In questo modo, il tuo corpo rilascia il suo calore lentamente, per evitare il congelamento.»
Dopo aver infilato le pinne, il nostro equipaggiamento è completo. Lo squadro con aria apprensiva e sospiro. Ho un'andatura piuttosto buffa, dal momento che più che camminare dondolo. «Sembro un pinguino». Abbasso lo sguardo e arrossisco violentemente. «Non mi resta che lanciarmi in una scivolata sulla pancia.»
Gabriel esplode in una tonante risata, tanto che le lacrime gli invadono gli occhi. «Oh, mamma! Mi fai morire» esclama, ma è costretto a fermarsi. Non riesce a smettere di ridere. «Quanto mi mancavano le tue battute.»
«Attento o potrei beccarti.»
«Vieni qui». Gabriel mi circonda la vita con le braccia. «Saresti bellissima anche con uno scafandro.»
Il suo sguardo m'imprigiona, il suo viso mi è così vicino che mi paralizza. Non riesco a muovermi. Non riesco a pensare. Come si respira? Sta per baciarmi, lo sento. Il suo desiderio è visibile nella limpidezza del cristallino. Si avvicina ancora, le sue labbra a un soffio dalle mie. Un gemito. La sua fronte contro la mia. Chiude gli occhi. Ancora un gemito. Diverso. Disperato.
«Non prima di ricordarti chi sono.»
Fine della magia.
Il mare è limpido, sotto i raggi bollenti e luminosi del sole. Gli spruzzi bianchi delle onde s'infrangono sul litorale grigio e roccioso. Dalle acque del golfo color dell'acciaio emergono isolotti a strapiombo sul mare come scogli, sulla cui cima spiccano alberi solitari e austeri. Un sottile lembo di sabbia delimita il bagnasciuga, che si allarga in una striscia di sassolini levigati. Poco più avanti, imbocchiamo un sentiero che digrada e che diventa ad ogni passo sempre più ripido. Lui mi offre la sua mano per aiutarmi a non cadere. Un'altra curva e ci ritroviamo a pochi metri dalla riva, dove si snoda tra gli scogli un sentiero subacqueo poco profondo.
«Non mi sento tranquilla.»
«Lo so, Amore». Gabriel mi stringe fra le braccia e con la mano mi accarezza i capelli, con una dolcezza tutta sua. «Ma dobbiamo andare avanti.»
«Anche se fa paura?»
«L'affronteremo insieme, come abbiamo sempre fatto.»
Poso il viso sul suo petto. L'odore della sua pelle mi è familiare, ma risveglia in me qualcosa che ho paura di ricordare.
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