Capitolo 34
C'erano circa dieci gradi, quel pomeriggio. L'aria era densa di un'umidità che le increspava i capelli. Il cielo era silenziosamente agitato da nuvole grigie, che sembravano disordinati sbuffi di vapore. Si prevedevano parecchie turbolenze, ma non era un problema per lei, il volo sarebbe durato solo un'ora e quindici minuti. I suoi familiari avevano deciso di accompagnarla, per darle un saluto last minute.
«Mi raccomando, stai attenta a tutto» balbettò Bianca, con la voce rotta dalla commozione.
«Salutaci Gabe» aggiunse Andrea, con un sorriso. I suoi occhi luccicanti tradivano, però, un po' di emozione e Serena si limitò a trafiggerlo con uno sguardo sbalordito.
«Chi è Gabe?». Lo sguardo sospetto di Nina saettò tra sua sorella e il padre.
Serena si ammutolì, mentre il respiro disegnava piccole nuvolette nell'aria fredda.
«Nessuno, nessuno» la rincuorò Andrea, dopo aver stretto la sua secondogenita in un abbraccio tanto forte da farle male.
«Papà, sto soffocando! Adesso lasciami andare o perderò l'aereo» tagliò corto lei, prima di divincolarsi dalle sue braccia. Non voleva ammetterlo, ma i suoi rari abbracci le mancavano.
Li salutò tutti a gran voce, senza tradire alcuna emozione, in fondo stavo tornando a casa. Salì sull'aeroplano e loro scomparvero.
Giunta a Ronchi, si affrettò a raggiungere il Terminal passeggeri presso il lato arrivi per acquistare il biglietto dell'autobus. Fortunatamente, la linea extraurbana n. 51 era già arrivata. Sistemò frettolosamente il trolley nel vano bagagli e salì a bordo, nel disperato tentativo di riscaldarsi un po'. Erano solo le quattro e trenta del pomeriggio, ma il freddo che sentiva le faceva battere i denti come se fosse notte fonda.
Gli occhi fissi sul finestrino, la città ancora lontana, ma il volto di Gabe iniziò a farsi strada tra i pensieri, agitandola. Prese dalla borsa l'iPod e s'infilò gli auricolari, per rilassarsi all'ascolto di note che le avrebbero rapito il cuore. Senza rendersene conto, si ritrovò alla stazione centrale di Trieste. Scese dall'autobus e fu colpita in pieno viso da un vento gelido. Aveva dimenticato la compagnia quasi costante della Bora d'inverno in quella città. Salì sul 29, direzione via Baiamonti.
Giunta sul pianerottolo, riprese fiato. Aveva dimenticato anche le scale. Infilò lentamente la chiave nella serratura e, una volta dentro, appoggiò silenziosamente la valigia sul pavimento. Richiuse la porta dolcemente, convinta di trovare Ester in camera sua, ma strani suoni provenienti dal salotto attirarono la sua attenzione. Lo raggiunse in punta di piedi, mentre quel rantolo diventava sempre più definito.
«Sorpresa!»
Ester con un balzo salto giù, svelando ciò che il suo corpo nascondeva: un ragazzo.
«Oh, cavolo! Perdonami, mi dileguo in un nanosecondo» farfugliò Serena, imbarazzatissima.
«Sere?»
«Emis?»
«Cosa ci fai qui?»
Serena lo guardò incredula, poi i suoi occhi, velati dalla stessa incredulità, scivolarono su Ester. Era ammutolita, le parole avevano preso il volo, come un palloncino scivolato via dalle mani di un bambino. «Io vivo qui, credo» riuscì infine a balbettare.
«Sei rientrata prima o sbaglio?». Ester aveva la voce roca e le guance scarlatte per l'imbarazzo.
«Da quanto tempo va avanti questo inciucio?» domandò Serena, stizzita.
«Da pochissimo», la voce di Emis fu un sussurro appena percettibile. «Te lo giuro.»
«Non l'abbiamo programmato. È successo e basta», replicò Ester.
Lo sguardo perplesso di Emis era fisso su Serena. Lei scoppiò a ridere, non riusciva più a nascondere il suo divertimento di fronte alle loro facce imbarazzate. Loro si guardarono prima esitanti, poi la seguirono con una risata altrettanto fragorosa, che fu interrotta solo diversi minuti dopo dallo squillo di un telefono.
«È il mio» dichiarò Serena, allontanandosi verso la sua camera. «Ciao, mamma. Sono appena arrivata» fece una pausa. «Sì, il viaggio è andato bene.»
La telefonata con Bianca si dilungò più di quanto avesse sperato. Ascoltava annoiata ed annuiva ad ogni sua raccomandazione, mentre i pensieri erano in viaggio verso Gabelandia. Tra un consenso e l'altro, meditava su ciò che avrebbe voluto dirgli non appena avesse avuto la possibilità di rivederlo. La conversazione durò poco meno di mezz'ora e, quando mise giù, Serena si massaggiò l'orecchio indolenzito.
Tornata in salotto, notò una strana espressione negli occhi di Emis. La insospettiva il fatto che fosse identica a quella di Ester; stava per dire qualcosa, ma fu fermata dal trillo del campanello.
«Sere, apri tu?» le chiese Ester, spaparanzata sul divano.
«Perché io?»
«Sei la più vicina alla porta» intervenne tempestivo Emis.
Non l'aveva bevuta, quei due le stavano nascondendo qualcosa, ma non obiettò. Impugnò la maniglia e aprì la porta senza esitazione, quando lo vide, però, trasalì.
Gabe era lì, davanti a lei, che l'ammirava estasiato, con quegli occhi azzurri che avrebbe voluto odiare, gli stessi che l'avevano fatta innamorare di lui. Quello sguardo si era infiltrato dolcemente nella sua fragilità, avvolgendola in un abbraccio protettivo. «Ciao.»
Il suo saluto rimase lì, sospeso nel buio di quell'uscio che li separava. Erano giorni che Serena attendeva quel momento. Nella sua testa l'aveva vissuto un migliaio di volte. Quante cose avrebbe voluto dirgli, ma non ci riuscì, la voce le si era barricata in gola, rifiutandosi di uscire. La mano iniziò a farle male, non si era resa conto della forza con cui stava stringendo la maniglia. Allentò la presa, ma non la lasciò andare. Aveva bisogno di aggrapparsi a qualcosa o sarebbe svenuta.
«Ben tornata». Lo sguardo di Gabe era fisso sulle sue labbra in attesa che dicesse qualcosa, ma la voce di Serena fu quasi coperta dal battito rumoroso del suo cuore. Chissà se, prima o poi, si sarebbe abituata a quello sguardo ipnotico. Le sembrava di essere in uno di quei film di Chaplin, solo che Serena aveva dimenticato da qualche parte i sottotitoli. «Ho pensato di fare un salto qui, Emiliano mi ha appena telefonato, avvisandomi del tuo ritorno.»
Era senza parole. E chi poteva rubarle, se non lui. Si voltò verso Emis e, solo quando incrociò i suoi occhi, si accorse di avere la bocca aperta. La chiuse all'istante e gli scagliò contro uno sguardo di fuoco.
«Emis, dobbiamo andare» gli ricordò Ester, scoccandogli un'occhiata d'intesa. «Abbiamo gli allenamenti, ricordi?»
«Di sabato sera?». Serena mormorò appena la domanda.
«Ehm, sai il campionato regionale è molto impegnativo» puntualizzò Emis, prima di scomparire dietro la porta con Ester alle calcagna.
«Io penso che abbiano voluto lasciarci soli» sentenziò Gabe, avvicinando le labbra al suo orecchio. «Ti dispiace?»
Serena rimase incantata come un serpente al suono magico della sua voce. Era confusa, Gabe si era avvicinato troppo perché riuscisse ad essere lucida. Sentiva il suo respiro caldo e lo stomaco iniziò a rimescolarsi insieme a qualcos'altro, mentre il volto andava in fiamme, quando le baciò una guancia con tale naturalezza, come se l'avesse fatto un migliaio di volte.
"Come si fa a respirare?", si chiese. L'aveva dimenticato. Non ricordava più neanche il suo nome. Eclissò lo sguardo, calando le palpebre come saracinesche e cercò di riacciuffare l'autocontrollo, che stava attuando una delle sue fughe strategiche. Gli rivolse un sorriso debole e rimase immobile a contemplarlo. Vedeva il suo riflesso in ognuna delle sue pupille dilatate, una minuscola immagine di sé nei suoi occhi.
Gabe si accomodò sul divano e la invitò a sedergli accanto. «Non sai quanto ho atteso questo momento» ammise, giocando con i suoi capelli e scompigliandoli un po'.
Quel contatto così casuale le scatenò una tempesta dentro. Gabe l'accarezzò a lungo con il suo sguardo dolce, inondandola di un senso di serenità che l'aveva abbandonata da tempo. Finalmente, il dolore e la malinconia avevano fatto il biglietto di sola andata per un'altra destinazione.
«La lontananza stava per uccidermi» confessò lui, portandosi la mano di Serena all'altezza delle labbra.
Lei le sentì tremare al contatto con la sua pelle, quando la baciò. Avvertì il respiro auto mutilarsi, le lacrime graffiarle le orbite, le viscere attorcigliarsi sempre più. «Idem» replicò lei, con voce rotta. «Non sarei sopravvissuta ad un altro lutto.»
«Non abbiamo avuto modo di parlarne.»
«Per me è come se l'avessimo fatto, in fondo è anche grazie a te se ne sono venuta fuori.»
«Io non ho fatto niente» disse Gabe, sorpreso.
«Hai fatto tanto, invece» esitò, non sapendo se continuare per quella strada. «È solo che non lo sai.»
Gabe la guardò con un'espressione così distesa, che niente lo avrebbe scalfito. «Vorrei saperlo.»
Serena non era sicura che fosse una buona idea raccontargli tutta quanta la storia, sogni, amnesia e psicanalisi compresa, ma i suoi occhi erano così limpidi che la stavano implorando di fidarsi e di renderlo consapevole di qualcosa di cui era stato, a sua insaputa, un elemento fondamentale. Si armò di coraggio e partì, ancora una volta, per il viaggio. Il coraggio non le sarebbe servito per affrontare i ricordi, ormai le erano noti e non l'avrebbero spaventata. Non più. L'avventura che stava per attenderla era un'altra. Per la prima volta non era sola. Gabe era lì, al suo fianco e lo sarebbe stato anche a viaggio concluso. E questo li avrebbe legati a doppio filo, per sempre. Era ciò che avrebbe voluto anche lui?
Terminato il racconto, Serena avvertì un'atmosfera diversa nell'aria, quasi magica, che stava abbattendo quell'ostacolo doloroso che, poche settimane prima, si era frapposto tra lei e Gabe.
«È la storia più toccante che abbia mai sentito e sono convinto che meriti un gran finale» dichiarò lui, accarezzandole dolcemente una guancia.
«Ero sicura che l'avresti trovata inverosimile.»
«Una parte di sicuro lo è. Devi dirmi qualcos'altro?»
«Dovrei?»
«Dovresti». Il viso di Serena doveva essergli apparso alquanto perplesso, perché subito dopo le fornì un indizio. «Il bacio.»
«Quale bacio?» chiese lei, sconcertata.
«Quello che ti ha dato mio fratello» rispose lui, con un tono di voce piuttosto serio. Serena rimase senza parole, non poteva credere che Emis glielo avesse confessato. Gabe la stava guardando con un'espressione illeggibile sul volto. «Allora?»
«Voglio molto bene a Emis.»
«Ma?» la incalzò lui.
«Non ne sono innamorata» confessò, imbarazzata. «Emis merita una ragazza che gli voglia bene davvero, come Ester. Lei lo renderà felice.»
«Ti sei divertita sulla mia moto?» le domandò, cambiando improvvisamente discorso.
«Non ci posso credere!» le parole le esplosero dalla gola, urlando. «Emis ti ha confessato anche questo?»
Gabe scoppiò a ridere. Quel suono melodioso fu così spontaneo, che le intenerì il cuore trasformandolo in marmellata.
«Ti va di fare un giro?» domandò, con un sorriso sornione stampato in faccia. Serena lo guardò, torva. «Intendevo con la macchina.»
La BMW imboccò via Coroneo per poi procedere in salita verso Fabio Severo. Superò l'università e dopo sette chilometri e mezzo raggiunse Basovizza. In prossimità di una chiesa, Gabe svoltò a destra e, subito dopo, a sinistra in direzione Pesek e proseguì ancora per un chilometro. Raggiunta la casa cantoniera rossa, imboccò la stradina a sinistra che riportava l'indicazione per l'Osservatorio Astronomico.
Serena scese dall'auto e si guardò attorno. Era buio pesto, ciò che riuscì a vedere furono solo i contorni scuri degli alberi, allineati ai margini della strada. Faceva molto freddo e rabbrividì.
«Questa è tua» disse Gabe, porgendole la pashmina.
Serena lo ringraziò e la infilò nella borsa.
"È lì che resterà fino a quando, tornata a casa, la lascerò andare in una scatola insieme a tutti gli altri ricordi di Demi", pensò.
«Dove siamo?»
«Al confine di Stato.»
«Devo preoccuparmi?»
«Non penserai mica che io sia un serial killer, vero?» disse Gabe, con voce divertita.
«Se non fossi il fratello di Emis, lo sospetterei». Era buio, ma rimase ugualmente in balia del suo sguardo, come una barca alla deriva. «A cosa serve quella grande cupola?» gli domandò, riferendosi ad un piccolo edificio che si ergeva solitario nei pressi.
«È l'Urania Carsica, una specola attrezzata per l'osservazione astronomica.»
«Sarà chiusa a quest'ora, l'edificio è spento.»
«In realtà, questa stazione è stata chiusa alcuni anni fa, per mancanza di fondi.»
«Sei proprio sicuro di non essere un killer? Sai, seriali si diventa. Io potrei essere la prima vittima.»
Gabe, imperturbabile, continuava ad armeggiare con una strana valigetta che aveva tirato fuori dal bagagliaio. «Hai ragione, tutti gli indizi giocano a mio sfavore.»
«Quindi, quella valigetta dovrebbe servire a contenere il mio cadavere? Credo che tu debba farmi a pezzi, non entrerò mai intera lì dentro.»
«Emiliano non mi aveva messo al corrente del tuo sarcasmo». Gabe le si avvicinò, accostandole le labbra ad un orecchio. «Mi piaci ogni minuto di più.»
«Che cosa stai montando?» gli domandò, allontanandosi il più possibile da lui per evitare che sentisse le pulsazioni impazzite del suo cuore.
«Un telescopio che permette di vedere nebulose e galassie molto deboli.»
«Nebulose?»
«Una nube che emana una luce di vari colori». Gabe mise a fuoco l'obiettivo. «È qui che nascono le stelle. Vieni, ti faccio vedere» disse, indicandole di guardare nel telescopio.
«Non è facile individuarla, senza punti di riferimento» gli rispose, mentre lo sguardo si perdeva nell'infinito spazio stellare.
«Vedi la stella più luminosa di tutte? Quella è la stella polare.»
«Sì, la vedo.»
«Bene, ora prova a spostare lo sguardo leggermente in alto e, poi, a destra. Ci sei?»
«Credo di sì.»
«Le cinque stelle più luminose formano una linea a zig-zag. Quella è Cassiopea e, nella parte centrale, c'è una grande nube rossa che ha assunto la forma di un oggetto da cui ha preso il nome». Gabe le cinse la vita e lei sussultò al brivido caldo prodotto dalle sue mani. «Quella è Cuore.»
«È stupefacente! Sembra davvero un cuore umano.»
«Accanto c'è Anima.»
Serena si allontanò dall'obiettivo e vide gli occhi di Gabe illuminarsi così tanto da far risplendere il buio intorno a loro.
«Pensi che un giorno tu possa innamorarti di nuovo?»
Al suono di quella frase Serena s'irrigidì e, per un istante, rimase stordita. Lo sguardo si perse, i pensieri iniziarono a vagare. «Credo sia già successo» farfugliò. Serena stava cercando in tutti i modi di nascondere quel sorriso ebete che ormai, da qualche settimana, le inarcava le labbra senza preavviso. Effetto Gabe, così lo aveva soprannominato suo padre. Provò a mascherarlo con un'espressione più naturale, ma non sapeva fino a che punto ci sarebbe riuscita. Il cuore stava per esploderle da un momento all'altro e lo strano silenzio di Gabe non l'aiutava affatto. Scandagliò ogni centimetro del suo viso per studiarne la reazione, sembrava deluso.
"Davvero non ha capito che parlassi di lui?"
«È il fratello del mio migliore...»
Le labbra di Gabe la zittirono. Erano morbide, calde e insieme alle sue parlavano un linguaggio proprio. Giocavano armoniosamente tra loro. La bocca che era stata il tramite dei suoi pensieri, adesso soffiava l'anima nella sua, rendendoli una cosa sola. È il bacio a sancire l'inizio di una storia d'amore, il passaggio da due persone singole ad una coppia.
Le mani di Gabe le cinsero la vita e la trascinarono a sé. Il cuore cominciò a picchiarle nel petto ad un ritmo insostenibile, come se l'aderenza del suo corpo contro quello di lui, le facesse perdere il controllo. Gabe staccò una mano dal fianco per affondarla nella sua lunga chioma riccia, mentre la guancia di lei sprofondava nella sua indefinibile dolcezza.
«È questo il finale che mancava alla tua storia» le mormorò Gabe, con quelle stesse labbra che un istante prima le avevano ricordato che sapore avesse la felicità.
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