Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo 23

L'immagine di Demi iniziò a sbiadire davanti ai suoi occhi addolorati. Provò a seguirlo, ma non fece in tempo. Qualcosa, molto più veloce di lei, le sbarrò la strada. Sembrava una parete, si voltò e la parete era anche alle sue spalle e ai lati. Provò a muoversi alla cieca in quel luogo angusto e buio, ma non vi era via d'uscita.

Un topolino in gabbia.

«Non c'è più», sibilò.

Il suo cuore scappò via, inseguito dall'eco di un ricordo devastante. Aveva paura e si tenne stretta al sogno. Non voleva lasciarlo andare via, finché qualcosa non la costrinse a farlo.

Voci.

Voci attutite, soffocate dallo stato di dormiveglia in cui si trovava, urlavano il suo nome. Echeggiavano intorno a lei. Sembravano familiari, ma non le riconobbe.

«Sere? Sere mi senti? Sere?»

«Dobbiamo chiamare il 118. Non si sveglia!»

Quelle voci avevano interrotto violentemente il suo sonno. Serena era convinta di essersi svegliata, ma i muscoli erano talmente rigidi da sembrare ancorati al letto. Si sentiva prigioniera del suo corpo. Tentò di aprire gli occhi, di urlare aiuto, ma non ci riuscì. Iniziò a emettere profondi respiri per calmarsi e tornare lucida. Finalmente, uno squarcio di luce oltrepassò il buio dei suoi occhi. Sbatté le palpebre e fu accecata dal suo bagliore, che proveniva dall'alto, sopra la testa. Alzò lo sguardo e fu allora che le ombre che la circondavano divennero due sagome familiari. Due volti erano chini sopra di lei, i loro occhi verdi pieni di sgomento la stavano trafiggendo con degli sguardi allibiti.

Ester ed Emis erano là, che la fissavano con occhi spalancati e le labbra serrate. Il suo sguardo si muoveva con ansia su di loro. Li vedeva e li sentiva, ma era incapace di muoversi o parlare. I suoi pensieri si trascinavano a fatica nella testa, viscosi e densi come gelatina.

Credeva di essere intrappolata in un budino gigante, ogni suo gesto era rallentato. Con qualche sforzo in più, riuscì a sollevare la testa, anche se un fischio sottile le ronzava nelle orecchie.

«Come ti senti?»

«Bene». Serena sentiva in bocca un sapore orribile, simile alla sabbia e la spaventò la voce che le sgattaiolò fuori, ispida come carta vetrata.

«Che cosa ti è successo?» le domandò Ester. La preoccupazione aveva oscurato le sue iridi verdi.

«Niente», ribatté secca. Era ancora provata dallo shock del risveglio, ma cercò di nasconderlo. «Stavo dormendo.»

«Continuavi a ripetere "non c'è più"» esitò Emis. Non voleva turbarla ulteriormente.

«Chi non c'è più?» intervenne Ester, senza troppi preamboli.

Serena aveva parlato ad alta voce e, senza volerlo, aveva stuzzicato la curiosità dei suoi amici.

«Si tratta di Demi?» proseguì Ester.

La lucidità tornava da Serena a sprazzi. Sentire pronunciare quel nome risvegliò qualcosa nella mente. Quel qualcosa la stava trafiggendo come un pugnale.

«Sere?»

Serena sollevò la testa verso l'amica, ma non ebbe il coraggio di guardarla negli occhi. Quello che stava ricordando era tremendo.

«Chi è Demi?»

Serena non voleva rispondere a quella domanda così diretta. Ogni volta, udire quel nome era come subire una frustata al cuore. «Come sapevate che ero qui?»

La sua coscienza, con un ultimo e immane sforzo, stava tentando disperatamente di ritardare quel momento che l'avrebbe messa davanti ad una verità che non sapeva come affrontare.

«Quando siamo tornati dagli allenamenti, abbiamo visto il tuo giubbotto e la borsa al loro posto, sul gancio accanto alla porta. Ti abbiamo chiamata, ma non ci hai risposto», spiegò Emis.

«Abbiamo pensato che stessi dormendo, ma quando siamo entrati in camera tua e non rispondevi, ci siamo spaventati a morte», proseguì Ester.

«Che cos'è la W.I.L.D.?» domandò Emis, dopo aver dato un'occhiata agli appunti di Serena sparsi sulla scrivania.

«Una tecnica che ti permette di sognare, rimanendo cosciente», spiegò lei a disagio.

«Che cosa hai tentato di fare, Sere?». Il tono di voce di Emis era affilato, come la lama di una sciabola.

«Tu credi che abbia sperimentato quella tecnica?». Ester sembrò sgomenta.

«Non c'è altra spiegazione, sembrava in coma.»

«Ero paralizzata, una condizione normale quando si dorme», puntualizzò Serena per non sembrare pazza.

«Perché l'avresti fatto?». Il volto di Ester era una maschera di stupore.

«Per curare la mia amnesia», le confessò imbarazzata.

Emis batté un pugno sulla scrivania. «Se volevi curarti, avresti dovuto rivolgerti ad uno specialista». Uscì dalla camera sbattendo la porta.

Serena si sentì così male per la sua reazione, che le lacrime iniziarono a pungolarle gli occhi. Non ci era abituata, ma ciò che la ferì di più fu il sentirsi incompresa proprio da Emis che la conosceva meglio di chiunque altro. In quel momento, però, l'aveva trattata come un'adolescente irragionevole.

«Che gli prende? Non l'ho mai visto così...». Un nodo alla gola le impedì di proseguire.

«Arrabbiato? Nemmeno io. Però, in sua difesa, devo dire che ci hai spaventati parecchio.»

«Credi che debba andare da lui?»

«Non aspetta altro, credimi.»

Ancora un po' rigida e goffa, Serena provò a scendere dal letto. Quando si alzò in piedi e mosse qualche passo, barcollò. Una forte fitta alla schiena le diede l'impressione di aver dedicato più tempo del solito al sogno lucido, costringendo il corpo a mantenere la stessa posizione troppo a lungo. Aveva il braccio destro indolenzito, lo scrollò per allontanare il formicolio di cui era pervaso. Accelerò il passo, anche se non le sembrava di avere ancora il pieno controllo dei movimenti. Barcollò ancora, sembrava ubriaca. Iniziò a tremare quando le piante dei piedi nudi iniziarono a catturare il gelo che si irradiava dal pavimento, ad ogni singolo passo.

Raggiunse la cucina, con addosso la preoccupazione di vedere sul volto di Emis ancora un'espressione di terrore. Lui era lì, immobile, davanti alla finestra, con le braccia incrociate sul petto e uno sguardo fisso sulla pioggia: migliaia di goccioline d'acqua defluivano sui vetri, come lacrime gelide.

«Emis?»

Quando lui si voltò, Serena non fu sorpresa dall'espressione che gli vide dipinta sul volto: le sopracciglia aggrottate, la fronte corrugata. Su di lei incombeva uno sguardo furioso, che l'aveva inchiodata lì, a pochi passi da lui. La sofferenza di Emis era palpabile, come se lei potesse provarla al posto suo.

Fece qualche passo e gli appoggiò una mano sul braccio. «Scusami.»

«Perché hai voluto fare tutto da sola?» le chiese lui, accarezzandole una guancia. «Uno specialista ti avrebbe aiutata senza correre alcun rischio.»

«Hai ragione, uno specialista mi avrebbe aiutata a recuperare i ricordi perduti». Serena si bloccò. Qualcosa dentro le agitava la voce. «Ma non mi avrebbe aiutata a sognare.»

«Tutti sognano, ma nessuno ricorre alla W.I.L.D.». Emis la fulminò con un'occhiataccia, carica di rimprovero.

Serena incrociò le braccia sul petto e si avvicinò alla finestra. Lo sguardo perso nel cielo infinito a rincorrere le nuvole. «Io ho dovuto farlo». Si mordicchiò le labbra in preda all'ansia. «Era l'unico modo per incontrare un ragazzo.»

«Aspetta un momento, adesso non riesco più a seguirti. Di chi parli? Quale ragazzo?»

«Ricordi quando una mattina, non molto tempo fa, mi hai detto che ero radiosa?»

«Certo, come potrei dimenticarlo. Camminavi a tre metri da terra.»

«Be', lo ero perché avevo sognato un ragazzo. Non sapevo chi fosse, non l'avevo mai visto prima. Pensavo di aver fatto un sogno premonitore e che magari l'avrei incontrato in Facoltà, ma non è andata così. Quando il professor Klemen ha introdotto l'argomento sui sogni lucidi, mi sono documentata e ho voluto sperimentarne uno, così per provare. Non ero neanche sicura che ci sarei riuscita. So che sembra assurdo, ma è andata esattamente così.»

«Sere, tranquilla ti credo. Hai usato i sogni lucidi affinché quel ragazzo ti aiutasse a ricordare.»

«Non esattamente». Lo sguardo fisso sulla finestra, non riusciva a guardarlo negli occhi. «Aiutarmi a ricordare era ciò che voleva lui. A me bastava incontrarlo nei sogni.»

Emis la costrinse a voltarsi, prendendole il mento tra le dita. «Ti sei innamorata di lui» mormorò, quasi sapesse già la risposta.

L'espressione sognante che si era impressa sul suo volto parlò al posto delle labbra. Per un momento, rimase imbambolata e persa nel suo ricordo. Svuotata di tutta la sua energia vitale, per l'intenso sentimento che provava. «Non ti ho mai visto così. Perdere il controllo, andare fuori di testa. Non è da te.»

«Lo so. Non avrei dovuto urlarti in quel modo, sono stato un vero cafone.»

«Cafone, tu? Non ci riusciresti nemmeno se ti impegnassi con tutte le tue forze.»

Emis la tirò a sé, imprigionandola in un forte abbraccio. Sentiva il suo cuore palpitare forte, come se avesse appena terminato uno dei suoi allenamenti. In realtà, il motivo di quell'agitazione era un altro. Lui si chinò verso di lei così in fretta da non darle la possibilità di capirne le intenzioni. La bocca di Emis puntò le sue labbra. Un delicato e timido contatto.

Serena non ebbe il tempo di respingerlo. Frastornata da quel gesto inconsueto, la testa incominciò a girarle tanto vertiginosamente che dovette appoggiarsi al davanzale della finestra, per non cadere. «Hai veramente perso la testa, oggi.»

«Per te la testa l'ho persa molto tempo fa». Emis l'afferrò per i fianchi e la strinse a sé.

«Emis!» sbottò lei, divincolandosi. «Sai cosa provo per te.»

«Sere, io sono reale e puoi contare su di me sempre.»

«Vuoi che mi metta con te per dimenticare lui? Sai benissimo che non ti farei mai una cosa del genere.»

«Non ci sarebbe niente di male.»

«Dimmi che stai scherzando.»

La luce che gli vide brillare negli occhi, unita al tono commosso che aveva accompagnato quella confessione, le diedero la certezza che fosse sincero.

«Mettiti con me», la implorò timidamente.

Quelle parole colpirono Serena come una pallonata in pieno viso. Era la prima volta che glielo chiedeva in maniera così diretta.

«Lo sai che non è possibile, tu per me sei come un fratello. E non ci si può innamorare di un fratello. Non posso modificare i miei sentimenti come fossero i dati di un computer. Non posso resettare il mio cuore e riprogrammarlo per amare te», dichiarò decisa. Doveva scomparire dalla sua vita. Serena si allontanò da lui diretta verso la sua camera.

«Sere dove vai?» le chiese lui, riacciuffandola per le spalle.

«Torno a casa. Continuerò i miei studi nella mia città». Le parole le traboccarono dalla bocca rapide e prive d'incertezza. Non poteva non crederle.

Emis le racchiuse il viso tra le sue grandi mani, costringendola a guardarlo dritto negli occhi. «Sere, non volevo mancarti di rispetto.»

«Tu non capisci» mormorò, trattenendo a stento le lacrime. «Io mancherei di rispetto a me stessa, se accettassi il tuo corteggiamento.»

«Non ti nascondo che sarei il ragazzo più felice della terra, se ci...» la sua voce si troncò.

Serena approfittò di quel momento di incertezza per liberarsi, ma la presa di Emis non ebbe neanche un attimo di esitazione.

«Ferma. Stavo dicendo che se ti mettessi con me mi renderesti il ragazzo più felice della terra, ma non ti costringerei mai a fare qualcosa che non vuoi.»

«Lo so, ma non voglio continuare ad essere la causa della tua sofferenza. Non lo meriti.»

«Non è colpa tua.»

«Si che lo è. Se ti amassi, tu non soffriresti.»

«Soffrirei ancora di più se te ne andassi.»

Nella limpidezza dei suoi occhi verdi, Serena riuscì a scorgere quella sincerità che aveva fatto di Emis il suo migliore amico.

Poco dopo, il rumore della pioggia fu sostituito da quello dei passi di Ester, che si era affacciata in cucina. «Ehi voi, cosa confabulate? Non starete parlando di Demi senza di me, vero?»

Serena scosse la testa, ritraendosi. Sentire quelle parole, fu come ricevere un pugno nello stomaco. Il nome di Demi fece esplodere improvvisamente nella sua testa un ricordo di cui, fino a quel momento, ignorava l'esistenza. Si sentì lacerare l'anima da un profondo senso di agonia.

Emis notò l'espressione tormentata che velò improvvisamente il suo viso. «È tutto ok?»

Scosse nuovamente la testa, confusa. Il tormento che stava provando l'aveva sconvolta al punto di volergli fuggire via. Ma come? Sperò in un attacco di panico, ma non arrivò. Qualcosa di violento le piombò addosso, come un bolide impazzito. Lo stava provando tutto in una volta e senza filtro da parte dell'amnesia. Senza sconti dovuti al tempo. Il tempo sembrava essersi fermato a quel momento. Adesso, però, ne era consapevole e rifiutarsi di ricordare era un lusso che non poteva più assecondare.

Ester le accarezzò un braccio. «Non sei costretta a parlarci di lui, se non te la senti.»

Il tonante acquazzone, nel frattempo, si era trasformato in un'acquerugiola taciturna, come se anche il cielo avesse manifestato il desiderio di ascoltare il suo racconto.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro