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Capitolo 18

Dovevano essere circa le sette del mattino, Serena ne era certa perché stava facendo a pugni con la sveglia per farla smettere di squillare. Aprì gli occhi a fatica, mentre lunghi e sottili spiragli di luce filtravano debolmente dalle fessure della tapparella. Rimase avvinghiata al cuscino ancora un po', mentre infilava sotto il piumone un piede quasi congelato. Poi, il cervello si mise in moto e con un'impennata rapida la scaraventò giù dal letto.

Ancora addormentata, si trascinò in bagno come uno zombie per farsi una doccia. Si preparò alla svelta per non rischiare di arrivare tardi a lezione. Bevve velocemente il cappuccino che Ester le aveva tenuto in caldo, s'infilò frettolosamente il giubbotto e prese la tracolla appesa al gancio vicino alla porta.

DRIIIINNNNN!!!

Serena aprì gli occhi e si ritrovò distesa sul letto con addosso il pigiama.

Era visibilmente confusa. Non riusciva a dare una spiegazione logica a quello che le era capitato. Aveva fatto un sogno, anche se il risveglio non c'era stato. Ripensò, per un attimo, agli appunti sui sogni lucidi e si ricordò di aver letto che quando si iniziano a praticare meditazione e tecniche di rilassamento, possono verificarsi falsi risvegli.

Provò a riaddormentarsi, ma l'irrequietezza che l'affliggeva glielo impedì. Si alzò; andò in cucina e bevve un bicchiere d'acqua. Quell'esperienza l'aveva inquietata.

Caro diario,

scriverti mi aiuta ad affrontare quel grande senso di disperazione che mi affligge quando, aprendo gli occhi, la sua assenza è tutto ciò che mi resta. Anche se per poco, riesco a colmare quel senso di vuoto che mi divora, dal momento che solo le tue pagine conservano la traccia della sua esistenza.

Non so quanto durerà tutto questo, ma so che, quando sto con lui, nient'altro ha più importanza per me. Non posso fare a meno di provare un profondo senso di gratitudine nei suoi confronti, da quando è comparso nei miei sogni. La strada da percorrere per raggiungere la felicità è ancora lunga e tortuosa, ma non è più così buia.

Sono consapevole del fatto che le immagini che prendono forma durante il mio sogno sono delle allucinazioni, dal momento che tutto ciò che vedo e sento non esiste. Tuttavia, rimango bloccata in una sorta di delirio onirico, perché mi ostino a non voler distinguere la realtà dal sogno. Solo nel sogno lui esiste davvero.

S.

Un urlo agghiacciante la svegliò e destarsi fu come riemergere da un'apnea sulle acque marine. Si divincolò dalle lenzuola, scalciandole via coi piedi e corse in bagno. Raggiunse per un pelo il lavandino, a cui si aggrappò con tutte le forze per non cadere; diede un'occhiata alle mani, non erano imbrattate di sangue, ma tremavano in preda all'agitazione. Lanciò un'occhiata allo specchio: gli occhi arrossati, i capelli ingarbugliati, il viso pallido e sudato. Il pigiama le si era incollato addosso. Sentiva le mascelle doloranti, doveva aver urlato parecchio.

Sgattaiolò sotto la doccia, con la speranza di rilassarsi e lavare via, con il bagnoschiuma al latte di mandorla, le ultime gocce dell'incubo che ancora sentiva sulla pelle; le strofinava con forza, ma non fu facile liberarsene. Si lasciò coccolare dal tepore dell'acqua, finché non sentì la voce preoccupata di Ester al di là della porta. La rincuorò, dicendole che stava bene e che poteva tornare a dormire. S'infilò l'accappatoio e asciugò i capelli sotto il getto caldo del phon.

Tornò in camera, dove la raggiunse una folata d'aria gelida. Si avvicinò alla finestra lasciata aperta e la chiuse. La camera era un disastro: le lenzuola erano stropicciate ed avvinghiate strette al piumone; a terra, vicino al comodino, giaceva in mille pezzi la lampada bianca di vetro smerigliato che le aveva regalato sua madre, sapendo dei suoi incubi notturni. Tirò fuori dall'armadio una tuta e la indossò velocemente, il campanello stava suonando ed Ester aveva preso il suo posto sotto la doccia.

«Emis, che ci fai qui a quest'ora? Avete incominciato ad allenarvi anche il fine settimana?»

«Il ripasso, ricordi?» sussurrò lui. «Ti avevo promesso il mio aiuto». Le sorrise, mentre la porta si chiudeva silenziosamente alle sue spalle.

Nonostante tutto, Serena si sentiva fortunata. Anche il buio angusto dell'incubo spariva di fronte al sorriso lucente di Emis. Lui non conosceva quella parte di lei che veniva fuori di notte, eppure sembrava che avesse udito le sue urla. Emis sentiva il rumore che si celava dietro ogni suo silenzio; sapeva leggerle la paura negli occhi; l'aveva vista paralizzata dal terrore.

La mattinata volò, ma Emis fu soddisfatto del risultato raggiunto dalla sua allieva. «Facciamo una pausa?»

«Speravo lo dicessi», Serena chiuse di scatto il manuale di psicologia dei processi cognitivi. «Ti fermi a pranzo? Ester ha fatto le lasagne.»

«Certo, non vorrei che si offendesse!», esclamò lui, balzando in piedi e aiutando Serena a sgomberare il tavolo della cucina dai libri.

«Grazie per la mano che mi hai dato, non ce l'avrei mai fatta da sola» ammise, sfoderando un sorriso gigante, mentre infilava le lasagne nel microonde.

«Per te farei qualsiasi cosa, lo sai» sentenziò Emis, stringendola forte in un abbraccio e baciandole affettuosamente la fronte. Rimase a guardarla per un po', senza dire niente. Era fra le sue braccia e non desiderava altro. Non poteva. Lei non glielo avrebbe permesso. Perché? C'era un altro nella sua vita?

Serena notò il suo sguardo stralunato. «Cos'hai?»

«Te lo dico, se mi prometti che non monti su tutte le furie.»

«Promesso.»

«Tu e Demi». Emis le lanciò un'occhiata ferma, prudente. «State insieme?»

«Perché continui a chiedermi di questo Demi? Io non so chi sia.»

«Lo nomini mentre dormi, devi conoscerlo.»

«Non mi ricordo di lui.»

Emis la guardò come se avesse una rotella fuori posto. «Mi prendi in giro?»

Serena si sciolse dal suo abbraccio e si avvicinò alla finestra. «Ho un'amnesia, Emis. Per questo non riesco a ricordarlo.»

«Tu soffri di amnesia?» chiese lui, sgomento. «Non ne sapevo niente.»

«Scusami, ma non è una cosa di cui parlo volentieri.»

Emis la tirò a sé, per abbracciarla. Era il suo modo di starle vicino, senza invadere il suo spazio. Le avrebbe lasciato tutto il tempo di decidere se farlo entrare in quella parte così intima di lei.

In quel preciso istante, rientrò Ester; aveva pensato bene di uscire a fare una passeggiata, per lasciarli studiare tranquilli. Si accomodarono a tavola, mentre ascoltavano in sottofondo il notiziario. Terminato il pranzo, si adoperarono per ripulire.

«Ester sa della tua amnesia?», le mormorò Emis in un orecchio.

«Non mi pare il caso che lei lo sappia.»

Ester spazzava il pavimento, ignara della loro conversazione segreta. Suonò il campanello, lei appoggiò la scopa sulla porta e andò ad aprire. Quando tornò, stringeva in mano una busta. «Sere, c'è una lettera per te.»

«Non aspettavo nulla». Si asciugò le mani e afferrò guardinga il pacchettino bianco, che accanto al francobollo della posta prioritaria evidenziava con l'inchiostro nero il suo nome: Serena Ranieri. Nessun errore. Era proprio destinato a lei. Lesse ad alta voce il nome del mittente. «Daisy Gandini.»

«Chi è?», le chiese Emis.

«Mai sentita.»

Il nome, perlomeno. Il cognome, invece, non le giungeva del tutto nuovo e le rimase in testa per il resto del pomeriggio. Era lì, come un leone che si aggira minaccioso intorno alla sua preda, in attesa di cogliere il momento giusto per ghermirla. I ricordi non si dimenticano mai, veramente. Ti pedinano come un'ombra, ma quando ti volti si nascondono dietro di te. Non li vedi, ma ci sono. E, in qualche modo, devono reclamare la loro esistenza. Disseminano ovunque tracce di sé, come una caccia al tesoro e, indizio dopo indizio, raggiungi la x. Serena, però, non era sicura di voler scavare. Capitava spesso che, in quei momenti, qualcosa incominciasse ad agitarla, spingendola nella direzione opposta, il più lontano possibile dalla verità.

Terminate le faccende, Serena salutò Ester ed Emis, diretti all'Outlet Village di Palmanova per alcune compere. Si avviò verso camera sua e si distese sul letto. La mente iniziò a galopparle verso praterie di ricordi, che contornavano le zone desertiche provocate dall'amnesia. Si sentì prigioniera della sua mente, incapace di influenzarla. Era la mente a guidare le sue azioni, a persuaderla da ogni tentativo di cambiamento. Sentì lo stomaco sussultare. Aveva bisogno di Gabriel.


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