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❦ Capitolo 7: Sherlock Holmes

Capitolo 7: Sherlock Holmes

Ciro Ricci venne svegliato dalle urla all'esterno della sua cella.

Il comandante, infuriato come non l'aveva mai visto, girava per le celle battendo le mani contro le sbarre per svegliare tutti.

Ciro ci mise un po' a comprendere le parole che gli uscivano da bocca, visto il sonno che lo teneva ancora ancorato a sé.

"Vi voglio fuori di qui in meno di un'ora" alzò ancor di più la voce "la direttrice deve parlarvi urgentemente."

Sbuffò quando sentì nominare punto e virgola.
Odiava quella donna, nonostante fosse molto bella per la sua età.

Fosse stato per lui, se la sarebbe scopata, anche solo per farla tacere. Ma non ci teneva molto ad essere lui l'agnello da sacrificare, anche se sicuramente sarebbe stato molto più soddisfacente con lui che con gli altri idioti in quel carcere.

"Secondo te mo che vo chell?"
(Secondo te ora che vuole quella?)

A parlare fu Edo, dal letto di sotto.

Ciro sospirò, scocciato.

"E ij che cazz ne sacc, Edoà."
(E io che cazzo ne so, Edo)

Tirò fuori prima una gamba, e poi l'altra, scendendo piano dal lettino.

Gli mancava —ad ogni calar del sole — la sua vita passata, quando non doveva vedere il mare coperto da delle sbarre di ferro ricoperte di pittura ormai essiccata in stato di sgretolamento.

Pensava ogni sera al suo letto matrimoniale, nella sua grande casa decorata in stile barocco, in cui viveva con i suoi due fratelli, Rosa e Pietro, e suo padre Don Salvatore.

Rosa, messa a confronto con Pietro, era la sua preferita.
L'aveva cresciuta a sua immagine e somiglianza, portandola spesso fuori con lui o passando qualsiasi momento libero con lei.

Amava sua sorella come non mai.

Andava d'accordo anche con Pietro, ovviamente, e si volevano molto bene, ma non avevano lo stesso rapporto.
Pietro tendeva a rimproverarlo per qualsiasi cosa, anche quelle in cui non c'entrava direttamente, specie se si trattava di affari.

E forse, delle volte, aveva anche ragione.

Ma ricordava comunque con felicità i momenti passati in quella casa.

Così come ricordava con un sorriso represso le volte in cui era uscito con i suoi amici, specie con Francesco, o tutte le serate in discoteca passate a farsi escort, a bere o a drogarsi con gli amici.

Ricordava anche i compleanni, quelli in cui poteva vestirsi in modo elegante, non che gli importasse, ma le camicie (non si spiegava il perché) erano dei magneti per le ragazze, specie se molto sbottonate, ad esempio fino al petto.

Non che non fosse elegante anche in tuta o nudo, anzi nell'ultimo caso specialmente, lo era eccome, ma le camicie su di lui erano, doveva essere detto, la fine del mondo.

Si mise le scarpe e attese che Edoardo, come sempre in ritardo, si vestisse.

"Ma t vuò muovr?"
(Ma ti vuoi muovere)

"Cirù nun teng proprio genio stamattin."
(Ciro non ho proprio voglia stamattina)

"Simm a doje, Edoà. Ma primm facimm, primm cia levamm ra nanz u cazz."
(Siamo in due, Edo. Ma prima facciamo, prima ce la leviamo da davanti al cazzo).

Ricevette solo uno sbuffo in cambio, ma almeno riuscì a velocizzare i tempi.

Una volta pronti uscirono, accompagnati da Lino, e si diressero verso l'esterno.

La direttrice li stava aspettando accanto al campetto da calcio con le braccia incrociate al petto e la solita espressione dura in volto, Ciro represse uno sbuffo solo a vederla.

"Vorrei dirvi che è un buon giorno, ma mentirei."

Abbiam buon

"È scomparsa una lametta dalla barbieria, e voglio sapere chi è stato. Quindi, adesso, dò al colpevole dieci secondi per farsi avanti."

Ciro era a dir poco confuso. Chi cazzo poteva aver rubato quella lametta? E a che pro, poi. Era inutile quanto un ferro senza pallottole.

Ovviamente nessuno si fece avanti.

"Bene. Allora vi comunico che i permessi sono ufficialmente sospesi."

Questa dichiarazione, ovviamente, provocò non poche proteste che però furono subito sepolte.

Ciro, mentre i ragazzi tornavano in cella, si guardò attorno e guardò uno per uno gli altri detenuti.

Qualcuno aveva rubato una lametta e lui doveva sapere chi cazzo fosse lo stronzo in questione.

~~~~

Caterina Di Salvo oltrepassò il cancello del carcere minorile con un sorriso in viso.

Nonostante il suo lato razionale, il suo cuore la invitava sempre ad affrontare ogni giorno, anche il più penoso, con il sorriso, quindi era il tipo di persona da poter definire solare, nonostante fosse una condizione di solarità delle volte imposta dalla sua coscienza, che cercava di alleggerire le giornate grigie.

Alla fine il bianco copriva il grigio, no?

Finalmente rivedeva Carmine, dopo tre settimane, ed aspettarla lì c'erano Ezio e sua madre, e probabilmente anche il secondo fratello era già lì.

Passando avanti al campetto da calcio, attirò di nuovo gli occhi di tutti i ragazzi e le ragazze, che si voltarono a guardare — chi per qualche secondo e chi fino a quando la mora non fu più nel loro campo visivo — la gonna a quadretti bianca e nera, con sopra un maglione largo bianco.

Al collo aveva indossato una collana molto fine, con un ciondolo molto semplice poiché raffigurante un semplice cerchietto, che suo padre le aveva regalato prima di morire.

Le aveva detto di stringerlo quando avesse avuto bisogno di lui, e Caterina spesso lo faceva. Tanto nessuno era a conoscenza del vero significato dietro a quel gesto ed era meglio così.

Meglio non mostrarsi deboli al mondo.

Il rumore degli stivali lunghi con il tacco, color beige, segnalava il suo cammino, accompagnato al ticchettio leggero della borsetta a tracolla nera che pendeva dal suo braccio.

Quella mattina era impeccabile.

Entrò in sala colloqui e individuò subito la sua famiglia infondo, vicino alla grande finestra che dava su un pezzo di mare.

Affianco, però, intravide la famiglia Ricci: Pietro e Don Salvatore, a quanto pareva, erano andati a trovare il figlio.

Sentì su di sé gli sguardi dei tre, specie dei due più giovani, ma li ignorò totalmente.

Il broncio che Carmine aveva sul viso a causa della madre e di Ezio, d'altro canto, si trasformò in un sorriso appena vide la sorella entrare, più luminosa che mai.

Si alzò subito e si abbracciarono al volo, sorridendo come due cretini, attirando l'attenzione dei Ricci e degli altri presenti.

La loro gioia di rivedersi era tangibile anche a chi non li conosceva, il che fece sorridere non poche persone.

Carmine accarezzò i capelli lisci della sorella, seppellendo il viso nello spazio tra la spalla e il collo, e sospirò.
Aveva avuto paura di non rivederla.

"A me interessa vedere Caterina. Dov'è?" aveva chiesto neanche due secondi prima ad Ezio.

I tre non erano potuti andare insieme perché Caterina, che aveva in programma di uscire con Martina prima del colloquio, aveva tardato un po', e inoltre non aveva comunicato a nessuno di voler partecipare.

Pian piano la sua rabbia nei confronti del fratello per quello che aveva scatenato si stava dissolvendo, ma non così velocemente da fermare l'orgoglio che l'aveva costretta a non avvisarlo dell'intenzione di andare a trovare anche lei Carmine.

"Mi sei mancata" le disse all'orecchio quest'ultimo, sciogliendo l'abbraccio con riluttanza.

"Anche tu" sorrise la ragazza, passandogli una mano tra i capelli lisci.

Si sedette vicino ad Ezio che le lanciò un'occhiataccia.

"Non sapevo che saresti venuta. Perché non mi hai avvertito?"

Caterina alzò un sopracciglio al tono acido e l'atteggiamento di superiorità che stava assumendo il fratello.

"Sai, l'ultima volta che ho controllato, non eri ancora mio padre. Posso fare quel che voglio senza avvertire. Volevo venire e sono venuta, quindi non rompere, grazie."

Il fratello maggiore alzò gli occhi sl cielo, ma non rispose, sapendo di essere nel torto.

Caterina era arrabbiata e aveva tutto il diritto di rispondergli male dopo quello che aveva combinato.
Si rendeva anche lui conto di aver oltrepassato il limite con Carmine, e ne era dispiaciuto nonostante non lo ostentasse.

Ciro, nel mentre, ghignò sentendo la risposta che la Di Salvo aveva dato al fratello.

Erano davvero molto vicini, e per questo tutti e tre i Ricci erano riusciti a sentire quel breve scambio.
Ciro, nonostante tutto, doveva ammettere che Caterina aveva davvero un bel caratterino.

Sembrava una da non sfidare, nonostante il volto angelico, e una che non si faceva mettere i piedi in testa. Il che rendeva ancora più eccitante la sua sfida. 

"Come stai?" la sentì domandare al fratello con una dolcezza nella voce che non aveva niente a che fare con il tono che aveva usato con lui qualche settimana prima.

"Bene, amò. Grazie."

Caterina accarezzò i capelli di Carmine, provocando in Ciro una voglia matta di sostituirsi al ragazzo. Non sapeva perché, ma voleva quella mano tra i capelli, e anche un altro punti, a pensarci.

La ragazza, d'altro canto, sapeva bene che il fratello non si sarebbe mai aperto con Ezio davanti.

Il loro rapporto era così incrinato, ormai, che un'altra crepa avrebbe provocato la rottura finale.

Dopo altri cinque minuti, in cui lei non aprì bocca mentre ascoltava i fratelli e la madre litigare con tono moderato, Ezio ricevette una chiamata. Si scambiò un'occhiata d'intesa con la madre ed entrambi uscirono fuori.

Caterina rimase.

Subito si mise sulla sedia vicino quella di Carmine per abbracciarlo e lasciargli un bacio sulla guancia.

Non che di solito si mostrasse così apertamente affettuosa, specie in pubblico, ma perdere suo fratello le aveva fatto capire che un abbraccio in più non sarebbe costato nulla al mondo che, anzi, ne avrebbe solo giovato.

"Cosa succede davvero qua dentro, Cà?"

Lo sentì sospirare e lo vide passarsi nervosamente una mano tra le ciocche corvine.

"Non posso andare alla prima ecografia di Nina, Cate."

Quest'ultima aggrottò le sopracciglia, confusa.
Quando Nina le aveva comunicato che era incinta (lei era stata la prima a saperlo), si era emozionata. Non aveva pianto, non era da lei, ma il suo cuore traboccava di felicità.

E per Carmine non avrebbe potuto essere differente. Aveva visto finalmente un sorriso sul viso del fratello, dopo due settimane.

"Perché mai?"

"È sparita una lametta, e fino al ritrovo, permessi sospesi."

Caterina sospirò alla notizia. Che tempismo.

"E tu hai un'idea su chi potrebbe essere stato?" domandò, più per non abbattersi che per altro.

Capì che qualcosa non andava quando il fratello si agitò, così discretamente che qualcuno senza il suo occhio non avrebbe mai potuto notarlo: le spalle entrarono nuovamente in stato di tensione, strinse la mano destra in un pugno e deglutì.

"No. Non lo so."

La voce per un momento aveva esitato.

Doveva sapere cosa sapeva Carmine, o meglio, cosa lei non sapeva.

~~~
Non le ci volle molto per capire chi era il colpevole.

Fin dalla sua più tenera età, Caterina si era meritata nomignoli "Holmes" o "Piccola Holmes" o "La sorella di Sherlock", grazie alla sua geniale capacità di intuizione.

L'ultimo, fortunatamente per la sua dignità, era poco usato.

Caterina aveva senza dubbio una mente geniale e un occhio ben aperto e intuitivo. Il problema era che da quando il padre le aveva insegnato l'arte dell'intuizione, lei vedeva anche quello che non voleva vedere.

E questo, aggiunto ai suoi principi morali, la portava a mettersi spesso nei guai.

Dopo un breve ragionamento, era giunta alla conclusione che ci potesse essere un solo colpevole, che tra l'altro aveva conosciuto pochi giorni prima: Filippo.

Questa conclusione deriva dal fatto che:

A) Ciro e la sua banda non avevano di certo bisogno di una misera lametta. Riuscivano sicuramente a far entrare della droga lì dentro, figuriamoci una lametta. Era più complicato, ma non impossibile.

B) Tutti erano alla mercé di Ciro, il che significava che nessuno si sarebbe messo contro di lui per una stronzata simile.

C) Suo fratello non avrebbe mai fatto una cavolata del genere

D) Filippo era l'unico che potesse avere davvero bisogno di difendersi lì dentro.

Non pensava che il riccio fosse un cattivo ragazzo. A prima vista poteva sembrare leggermente stronzo, ma negli occhi c'era un mix di paura e infantilità che raramente aveva visto in occhi altrui. Sembrava un bambino gettato in mezzo ai lupi.

Doveva trovare una scusa per parlare con il ragazzo e mettere un punto a quella storia. Non voleva denunciarlo di persona, primo perché non aveva prove, e poi Filippo aveva il diritto di costituirsi.

Molto probabilmente non sapeva neanche cosa stesse facendo.

Così, contro ogni suo principio morale, Caterina decise di fare quello che Ciro Ricci aveva fatto con lei poche settimane prima.

Mentre le guardie erano distratte e Filippo era seduto fuori dal campetto, lo aveva tirato per la manica e portato dietro un muro, lo stesso a cui l'aveva inchiodata il secondo fratello Ricci, e aveva deciso di parlargli civilmente.

"Non urlare o ci scoprono" lo ammonì prontamente, prima che potesse chiamare le guardie "non voglio farti del male, voglio solo parlare. Ti ricordi di me? Sono Caterina, la sorella di Carmine."

Filippo annuì lentamente, scrutandola con incertezza.

Ma ha paura anche degli alberi sto ragazzo?

"Cosa c'è?" disse infine.

"Devi consegnare la lametta alla direttrice prima che succeda il finimondo. Sai cosa succede se vengono a scoprire, e comprendi bene, non mi sto riferendo solo alle guardie, che la lametta è nelle tue mani?"

Forse era stata troppo affrettata, ma il tempo era poco e stava scorrendo rapidamente, perché il ragazzo sbarrò gli occhi e aprì la bocca per parlare, senza successo.

"Come diavolo fai a saperlo tu?"

"Finalmente. Pensavo ti fossi bloccato" cercò di alleggerire la situazione "comunque sono un tipo abbastanza intuitivo. Solo tu potevi aver bisogno di questa 'arma', se si può definire tale. Abbastanza misera come soluzione, e anche inefficace. Non ti porterà a niente."

"Devo pur difendermi con qualcosa, e questo è il meglio che posso avere."

Caterina alzò gli occhi al cielo a tale affermazione.

Idiota.

"Senti, qui ce ne sono di idioti, ma tu li batti tutti. Loro sono nati, o almeno la maggior parte, in ambienti spiacevoli e/o corrotti. Loro non hanno niente, tu hai tutto e lo stai buttando. Non ti conosco, ma mi da rabbia pensare che ti stai facendo contaminare. Non sei un criminale, ma con questa — indicò la lametta, nascosta nella scarpa — lo diventi."

Filippo si guardò di scatto le scarpe, sicuramente chiedendosi come la ragazza lo sapesse, essendo praticamente invisibile agli altri, anche alle guardie.

"Posto più banale per nasconderla" rispose con nonchalance, come se avesse letto i suoi pensieri.

Filippo fu quasi convinto dalle sue parole, ma mancava qualcosa.

Il suo profitto da ciò.

Tutti fanno qualcosa per qualcos'altro, no? Lei perché se ne curava?

"Tu cosa ci guadagni?"

Caterina sospirò prima di rispondere.

"Carmine domani ha la prima ecografia del bambino, e non voglio che non partecipi. E se quella lametta rimane nascosta, non potrà uscire. Quindi è questo che ci guadagno. Un momento di felicità per mio fratello."

Questa risposta, totalmente veritiera, le servì per vincere la partita.

L'angolo di Zia Annie
Ciao, amici! Rieccoci qui con un capitolo molto di passaggio, ma fondamentale per comprendere il personaggio di Caterina: volevo approfondire un suo aspetto in particolare, ovvero il suo intuito e la sua intelligenza. Caratteristiche molto importanti che, come vedrete, l'aiuteranno numerose volte nel corso della storia.
Vi mando un abbraccio,

Zia Annie🫶🏻

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