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❦ Capitolo 23. Forever


Capitolo 23. Forever

Per la persona che maggiormente ha ascoltato la narrazione orale di questa storia. Non so se stai ancora leggendo questa storia senza futuro, non sei costretta a farlo, ma lo spero. Ci sono tante cose che odio di te, altre che amo. Quando eravamo insieme vincevamo quest'ultime, malgrado tutto. Ci siamo fatte male, ci siamo detestate, forse un pochino odiate ma prima di tutto sostenute. Io non so se ti manco, non lo saprò mai, perché le nostre strade si sono separate e dubito che si incroceranno ancora. Questo è un tributo a quello che è stato, a quello che avrebbe potuto essere. Un finale alternativo.
Non so se lo meriti, ma la te del passato sicuramente.



***

Il karma era un terribile nemico ma soprattutto era ineluttabile.

Attenzione: non "ineluttabile" come Thanos, quella specie di barbapapa' rosa vanitoso in Avengers, ma nel vero significato della sua parola.
Caterina sapeva che il karma fosse un vero stronzo ma non immaginava che quando avrebbe bussato alla porta per prendersi il conto di tutte le sue azioni sbagliate, se la sarebbe presa con suo fratello.

Un fratello attualmente in coma a causa di un attentato da parte dei Valletta, lasciato tra le lacrime alle cure dei medici impotenti nella camera di fianco a quella di Ciro Ricci.

Il karma era davvero pessimo in quanto a sarcasmo.

La cosa peggiore di quella situazione tuttavia, rifletté tornando a casa dopo aver visitato la tomba di suo padre per lasciargli dei fiori in onore del suo compleanno, era che non tanto il fatto che non potesse entrare nella stanza di Ciro - cosa che la devastava, il che era sbagliato considerando cosa le avesse fatto e il fatto che avesse provato a uccidere Carmine e Filippo - ma gli sguardi assassini della sua famiglia durante l'orario di visita.

O almeno queste due situazioni se la giocavano per il primo posto con la tragica ironia del karma che aveva costretto Carmine e Ciro al coma e ridotti inermi su lettini di ospedali divisi solo da una parete.

Caterina salì le scale di casa propria, raccolse la solita rosa e infilò le chiavi nella toppa prima di girare e aprire.
Sobbalzò quando sentì le urla.

Velocemente afferrò la borsa pronta a lanciarla a chiunque fosse malintenzionato quando si ritrovò di fronte una chioma riccia e due occhi marroni e profondi.
Le venne voglia di schiaffeggiarla.

"Gea!" esclamò con sollievo "ma che ti passa per la testa?!"

Il sorriso che le illuminò il volto le fece passare qualsiasi tipo di fastidio avesse provato.

"Sorpresa! Buon compleanno, scema."

Sentendo più di una voce pronunciare quella frase volse lo sguardo dietro di lei e si ritrovò Angela e Francesca con due sorrisi grandi quanto due ville. Unite.

"Giusto, il mio compleanno" pensò con rammarico.

Onde evitare fraintendimenti era davvero felice della sorpresa delle amiche, seppur lo spavento iniziale, ma il suo compleanno non lo festeggiava da un secolo e i sorrisi esagerati delle sue amiche era la prova di quanto loro più di tutti lo sapessero.
Il suo compleanno, per anni, non era appartenuto solo a lei, ma anche a suo padre; Virgilio Di Salvo aveva sempre considerato la nascita di sua figlia il più bel dono di compleanno che avesse potuto ricevere.

Con il senno di poi Caterina credeva che vista la sua situazione, se il padre fosse stato lì ci avrebbe ripensato, ma lui non c'era e questo era l'esatto motivo per cui aveva smesso di spegnere le candeline; non ne valeva la pena se a farlo con lei non c'era suo padre, ma si sarebbe sforzata per le sue migliori amiche.

Sapeva benissimo che il loro improvviso passare all'azione dopo anni di lamentele sul fatto che dovesse riprendere a festeggiare, fosse dovuto alla situazione con Carmine e Ciro, inoltre le piangeva il cuore al pensiero che nonostante il dolore che sicuramente stava provando il quel momento Gea fosse comunque lì a sostenerla con un regalo tra le mani.

"Grazie, ragazze" sorrise loro "Angie puoi toglierti quel sorriso da ebete dalla faccia amore, se il cartellone in cucina è storto la colpa va a te."

"Come sai che abbiamo appeso un cartellone?" con indignazione si girò verso Francesca "te lo sei lasciata scappare, cogliona, non è vero?"

L'amica sbuffò in risposta.

"Ovvio che no, cretina!" alzò gli occhi al cielo "non vedi che è sorpresa?"

"In realtà stavo solo tirando ad indovinare, Angela" la prese in giro e come risposta, molto cordiale, ricevette un dito medio.

"Andiamo a mangiare?" propose Gaia, impaziente sicuramente di mostrarle quanto avevano fatto tutte e tre per lei.

"Volentieri" la abbracciò velocemente e fece altrettanto con le altre due, indugiando di più su Angie, ed entrò in cucina.

Fu solo più tardi, dopo ore passate a ridere e mangiare con le ragazze ormai andate via, che si rese conto che quella, e solo quella, fosse la sua vera ricchezza.
Carmine, forse Ezio e le sue migliori amiche.

Solo una volta che si fu messa a letto, sdraiata e con ancora la testa piena di pensieri ma in quel caso positivi, che realizzò qualcosa che aveva sempre ignorato: quello era il per sempre.
Proprio quello era il desiderio che aveva espresso mentre soffiava sulla magnifica torta che le avevano fatto fare.

La loro amicizia sarebbe durata a lungo, lo sapeva, doveva essere così.
Sarebbero state insieme e basta, anche contro il mondo intero, nessuno le avrebbe divise.
Per sempre.

***

Ezio Di Salvo era sempre stato bravo ad ingannare le persone.

La sua era un'abilità naturale, generata dalla natura e sviluppatasi con la sua crescita, che non era che un'arma deliziosamente perfetta.
La manipolazione era qualcosa di oscuro e segreto che aveva sempre protetto con gelosia, non volendo cedere a nessuno la possibilità di sottrarsi al suo potere, perfino dal padre.

Non avevano un bel rapporto loro due, non lo avevano mai avuto, ma la sua morte lo aveva devastato nel profondo; aveva pianto, urlato, preso a pugni il muro... Poi lui era resuscitato e tutto era tornato come prima.

Il termine giusto, in verità, non era proprio "resuscitato" dal momento che suo padre sicuramente non era Gesù o qualche suo parente lontano, ma la sua finta morte e il ritorno esclusivamente nella vita del figlio erano strani per lui da definire se non in quel modo.

Quando aveva iniziato a fargli visita, facendo tutto all'inconsapevole madre, si sentiva l'uomo migliore del mondo, speciale sopra ogni altro.
Il padre che tanto lo aveva disprezzato da vivo ora era costretto a chiedere il suo aiuto da finto morto, il che gli procurava un terribile senso di appagamento.

Non gli piaceva, in verità, l'idea di mentire a sua sorella, la quale lo aveva sorpreso spesso a parlare sospettosamente a telefono con quello che lei non poteva immaginare essere loro padre, ma questi erano gli ordini per quanto fossero difficili da mantenere persino per il suo genitore.
Una volta lo aveva sentito singhiozzare da dietro il cellulare al sentire la voce di Caterina che richiamava, poco lontano dalla cucina, la sua attenzione, ma nonostante questo non aveva mai cambiato idea sul fatto che lui fosse l'unico che dovesse saperlo.

Scese dal motorino con un sospiro per il lungo viaggio e si diresse senza dare troppo nell'occhio verso l'edificio a dieci minuti da dove aveva parcheggiato.
Notò qualche carabiniere e cercò di non mettersi sugli attenti mentre li oltrepassava con il volto girato come se stesse osservando distrattamente le vetrine dei negozi alla sua destra.

Papà ti ammazza se ti riconoscono.

Aumentò leggermente il passo per non perdere tempo e si ritrovò presto a suonare il citofono con affianco il nome "Davide Marzo" e "Carolina Esposito", al quarto piano; inutile dire che lì dentro non c'era nessuna Carolina Esposito e l'uomo che ci viveva non si chiamava Davide Marzo.

"Chi è?" La voce burbera del padre lo deconcentrò dai suoi pensieri.

"Sono io, Davide."

Il portone si aprì e con esso anche la speranza di Ezio che tutta quella farsa, prima o poi, finisse.

***

Gaia non era mai stata brava con i sentimenti.

Li provava, in maniera molto forte, forse troppo grave per l'organo all'interno della sua carcassa, ma tendeva a nasconderli, a renderli il tesoro di un forziere nascosto, una sorta di eredità non certificata.

Non aveva mai provato ad interfacciare con essi, neanche nella maniera più semplice possibile, forse per rischio di soffrire, forse per orgoglio... probabilmente per entrambe.

Ciò che davvero sapeva di sè era che davanti alla porta della camera d'ospedale di Carmine Di Salvo, il suo primo e probabilmente ultimo amore, era impotente.
Avrebbe voluto staccare la porta dai cardini per rabbia, urlare contro il mondo intero, prendersela con la madre di Carmine persino con Caterina per non averle raccontato nulla.

Era arrabbiata, ferita, delusa.

Si sentiva una brutta persona nella mesta sensazione che le intrappolava il cuore ogni qualvolta sentisse il pianto di Futura, la figlia dell'uomo che avrebbe dovuto essere suo.

Perché quella era la parte davvero spiacevole della storia, quella che nessuno voleva o doveva sapere: Carmine un tempo, per breve tempo, era stato interamente suo.
Era arrivata prima lei nella sua vita, non Nina.

Futura avrebbe dovuto essere loro figlia, non di un'altra donna.

Nina era l'altra donna, non lei.

Ma nessuno lo sapeva e mai lo avrebbe saputo, neanche Caterina, specialmente quest'ultima, che con la sua mania di giustizia si sarebbe agguerrita per cercare di risistemare i pezzi di un puzzle ormai rotto, inutile.

Gaia sapeva bene che lei e Carmine non erano più riattaccabili, neanche un po', non lo sarebbero mai stati.

Non dopo Futura, la piccola dolce bambina nata proprio nel momento in cui il padre veniva sparato.

Gaia non sarebbe entrata, sapeva anche questo.
Lo avrebbe guardato da lontano, sulla soglia di quella maledetta porta, cercando di non farsi notare troppo e avrebbe atteso che si risvegliasse, non importava quanto tempo occorresse.

Perché in verità Carmine lo avrebbe aspettato anche per secoli.

Per sempre.

***

Ciro Ricci non sapeva bene dove si trovasse.

Era una specie di universo statico, dai contorni non definiti, sbiaditi.

Dove si trovava?

Non riusciva davvero a capirlo; vagava costantemente senza utilizzare davvero i piedi, non vedeva nulla di concreto.
Si sentiva perso, ignorante.

L'unica forma in quel masso informe era un unico - bellissimo - volto luccicante.
Sembrava oro colato, l'unica vera ricchezza che avrebbe mai visto nella vita, se ne avesse avuta ancora una.

Caterina sorrideva come se stessero per sposarsi, come se non le avesse spezzato il cuore e niente fosse successo nei mesi precedenti a tutto quel casino tra loro.

La luce nei suoi occhi, quando aveva la fortuna di guardarla, era capace di scacciare qualsiasi tenebre gli oscurasse la sicurezza e la mente.

Caterina era il suo faro in quello strano, incompreso, universo ma non riusciva a prenderle la mano, solo il suo volto riusciva a sfiorare.
Non riusciva ancora a seguirla quando andava via, non sapeva come farsi guidare a casa.

Non era ancora pronto per saperlo fare.

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