❦ Capitolo 17: Di amori incompresi e fratellanza corrotta (pt. 2)
Capitolo 17: Di amori incompresi e fratellanza corrotta (pt 2)
Caterina non riusciva a credere che Ezio potesse arrivare a tanto per la camorra.
Le carezze, le piccole preoccupazioni e i momenti seppur molto sporadici di gentilezza l'avevano depistata su una strada totalmente differente dalla realtà.
Quanto era stata ingenua...
Le parole che Carmine le aveva riferito a colloquio le stavano massacrando il cervello con il loro rimbombo acre.
"Ezio ha detto che se voglio vivere devo uccidere il Comandante."
Lo stesso Ezio che le aveva promesso che avrebbe venduto piazze o terreni pur di salvare Carmine dalla condanna a morte, la stessa persona che le aveva accarezzato i capelli quando aveva la febbre.
Mi fa schifo.
Quando Carmine glielo aveva detto, qualche ora prima in disparte vicino alla porta dell'aula - in procinto di uscire - non ci aveva creduto minimamente.
Ma alla fine: che motivo aveva il suo Carmine di mentirle su una cosa del genere?
Aveva costretto il suo cervello ad accettare la realtà, seppur spregevole, ed era andata avanti con la consapevolezza, ormai consolidata, di non potersi fidare più del fratello.
Mai.
Ezio era ormai perduto, era stata costretta finalmente ad accettarlo dopo tentativi su tentativi di negare l'evidenza, non poteva più giocare alla crocerossina o alla sorella preoccupata.
"C'è Ricci che ti fissa da dieci minuti" Angela la destò dai suoi pensieri opprimenti "vuole un autografo o cosa?" chiese irritata.
"Guarda me e ti incazzi tu?" ridacchiò divertita Caterina afferrando la sua borsa dalla sedia.
Si erano trattenute più del dovuto, per la felicità del comandante e il fastidio della direttrice, era decisamente giunto il momento di levare le tende.
"Non mi piace quello che c'è tra te e quel tizio, Caterina" l'ammonì con durezza "ho visto come ti guarda e mi irrita."
"Ma di che diamine stai parlando?" aggrottò la fronte "tra me e lui non c'è niente di niente, Angie, credevo di avertene già parlato."
L'amica scoppiò in una risata sprezzante.
"Ah sì? Allora sono io che l'ho baciato sulla spiaggia due settimane fa?" si bloccò quando la mano impaurita di Caterina le tappò la bocca.
"Abbassa la voce, Angela, e che cazzo!" sbottò sottovoce, ormai irritata "giuro che non ti racconto più nulla, sai quanto odi quando mi rinfacciano le cose."
Si avviò verso il cancello senza attendere risposta alcuna.
Camminò velocemente senza incrociare lo sguardo di nessuno al di fuori del suo.
I suoi occhi, non riuscì a fermare la voce dei suoi pensieri, erano talmente scuri da sembrare diamanti grezzi; la loro bellezza era tale che non era riuscita neanche a disegnarli quando, senza neanche provare a fermarsi, aveva deciso di comporre un nuovo disegno di Ciro.
Avrebbe dovuto averli vicino per sperare di poterne anche solo afferrare un quarto della reale visione dello sguardo.
Quando gli passò davanti, le scocco un sorriso spontaneo - come quello che le aveva rivolto poco prima di baciarla - e maledisse sè stessa quando si scoprì a ricambiarlo con lo stesso ardore.
Proprio quando fece per salutare Gennaro, poco distante dalla soglia del cancello, si sentì afferrare per il polso.
Girandosi incrociò, con delusione, gli occhi marroni della sua migliore amica.
"Okay, ora fermati" cercò di recuperare il fiato perso durante la corsetta per inseguirla "volevo dire solo che... - un sospiro - senti quello che voglio che tu tenga in mente è che lui è un Ricci e tu sei una Di Salvo, non potrà mai funzionare."
"Quello che non riesci a capire, Angie, è che non c'è nulla qui che deve funzionare. Il nulla totale."
Ciò che non disse, tuttavia, fu che quel nulla totale le aveva incasinato la mente; si era divorato a morsi il suo cuore senza saperlo.
Sarebbe stata disposta a perdere tutto per quel nulla.
E la consapevolezza la stava soffocando pian piano come un pesce con le branchie fuori dall'acqua.
***
Angela Zaccola non era mai stata una ragazza amante del brivido.
Aveva sempre cercato di mantenere un profilo basso, quasi invisibile.
Preferiva rifugiarsi nelle pagine di un libro, in una strofa di una canzone di Ultimo o nel mondo dei sogni, più che affrontare la vita reale.
Il suo mondo era perfetto, al contrario di quello di tutti gli altri, era stato creato da lei medesima per adattarsi alle sue esigenze.
Era il risultato delle sue paure, gioie e dei suoi pensieri, delle sue passioni.
Non era mai stata interessata ad alcun tipo di rischio, poiché qualsiasi movimento brusco fatto nel mondo cattivo - come lo definiva lei - rischiava di far crollare le bandiere di quello buono, costantemente a rischio come carte da gioco assemblate debolmente insieme in un'alta torre instabile.
Per questo motivo, per proteggere il suo mondo e di conseguenza sè stessa, aveva promesso a sè stessa di non ricadere nella sua trappola.
La terza volta è solo dell'asino.
Quando aveva incrociato di nuovo i suoi occhi, un anno dopo l'ultima volta in cui si era persa in loro - l'ultima volta che avevano fatto l'amore fino allo sfinimento e il cuore sembrava saltarle fuori dal petto tanta era la felicità che sentiva dentro - aveva capito che era la sua condanna.
Una condanna eterna, dolorosa ma - si morse quasi un labbro al pensiero - terribilmente piacevole.
Perchè Edoardo Conte era sempre stato come una fiala di veleno: prima ti feriva nel peggiore dei modi, poi ti curava le ferite con un antidoto che non era che altro veleno.
Goccia dopo goccia finiva per condurti alla morte, ma le sue labbra erano dolci come cioccolata e i suoi occhi troppo enigmatici per non desiderare quella fine.
Edoardo Conte era la manipolazione fatta ad uomo; bugiardo, affascinante e manipolatore, sarebbe stato un capo clan perfetto se non fosse stato per il migliore amico, il cui destino gli aveva assegnato un impero di droga e soldi sporchi.
Edo, il suo Edo, era male puro, un male talmente intenso da farti desiderare l'abbraccio della morte, ma così bello da pregare in lacrime di averlo ancora una notte.
Era questo che, vergognosamente, aveva sempre fatto lei: ricordava ancora le notti insonne a chiamarlo, mentre si scopava chissà quale altra ragazza, e le lacrime che le bruciavano la pelle delicata delle guance quando lui le dava della paranoica.
Le stesse lacrime che l'avevano piegata in ginocchio, sull'asfalto freddo di una strada e sotto il diluvio universale, quando aveva scoperto di sua moglie.
Carmela.
La ragazza che le aveva rifilato uno schiaffo talmente forte davanti scuola che Caterina l'aveva - assieme a Francesca Morriconi, l'elemento che completivo del loro quartetto - quasi presa per capelli.
La cosa che le aveva fatto più male?
Lui era stato a guardare senza far nulla, senza dire niente.
Come una statua di cemento armato.
Lui che nel momento in cui l'aveva presa per la prima volta le aveva sussurrato che stava andando benissimo, che non era mia stato così bene, e che l'amava più di ogni altra cosa al mondo.
Lui che le aveva regalato l'intera saga di Harry Potter - in edizione speciale - quando l'aveva vista ammirarla per mezz'ora davanti alla vetrina della libreria.
Lui che le aveva promesso protezione eterna.
Lui, eterno bugiardo, che l'aveva costretta a mentire alle sue migliori amiche - che nulla sapevano della sua esistenza o meglio del loro rapporto malato - con la promessa di amarla, le aveva spezzato il cuore talmente tante volte che aveva perso il conto.
Per questa serie di motivi quando incrociò i suoi occhi mentre andava via dal carcere minorile di Napoli promise a sè stessa di proteggersi e fare la cosa giusta per sé: stargli il più lontano possibile.
Nello stesso momento in cui lo aveva incontrato le era saltato alla mente un numero preciso, che aveva intenzione di non dimenticare: 15.
Forse non aveva dimenticato quante volte avesse lasciato che il suo cuore venisse spezzato da un bastardo.
***
Caterina era rincasata - la settimana successiva - dopo aver preso Federico al doposcuola ed era stata costretta a cucinare con lui la ricetta di una torta che gli aveva passato un suo compagno di classe.
Ma è normale che in prima elementare parlino di torte come i vecchi?!
"Voglio fare lo chef da grande, Cate" le aveva sorriso leccando la cioccolata sul cucchiaio mentre aspettavano che la torta cuocesse "sarei il migliore di tutta Napoli e dintorni."
Caterina sorrise d'istinto e gli passò la mano tra i capelli.
"Ma ieri non mi avevi detto che volevi fare il pilota di F1?"
"Ma appunto, Cate!" la rimproverò con espressione buffa "era ieri."
"Oh, scusi my lord."
Federico era sempre stato come una carezza al cuore dopo un pugno coperto di spine.
Nei momenti più oscuri, quel bambino riusciva a farle tornare il sorriso.
Non era stata una settimana facile, niente affatto; Ezio era scomparso, erano giorni che non tornava a casa ma sua madre insisteva che stava bene e che non doveva preoccuparsi, e Carmine non rispondeva alle sue chiamate in carcere e non era riuscito ad andare a trovarlo tra compiti e interrogazioni.
"Tra quanto sarà pronta la torta, sorellona?"
"Poco, Fede" alzò gli occhi al cielo quando le pose per la quinta volta in cinque minuti la medesima domanda.
La sua attenzione venne tuttavia catturata da un messaggio che illuminò lo scherzo del suo cellulare; era di un numero sconosciuto e il testo era talmente ambiguo che strizzò gli occhi, incredula.
Carmine è evaso.
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