23
Ventitré
Quelle ultime parole le restarono dentro la mente per tutto il pomeriggio, tutta la notte e tutta la mattina seguente. Perfino il caffè si raffreddò aspettando inesorabilmente che qualcuno si degnasse di berlo. Ma non erano state tanto le parole nel loro unico aspetto, quanto la dolcezza, l'imbarazzo e la delicatezza con cui Joseph le aveva pronunciate. E qualcos'altro, sempre in quel frangente, l'aveva attirata. Per qualche ragione, era sicura che fosse lei il bersaglio di quelle parole, di quel suo essere innamorato. Non poteva dirlo con certezza, ma era sicura che lui non si vedesse con nessuna ragazza al di fuori di Flora.
E una strana sensazione in lei si mosse improvvisamente. Osservò il suo telefono, aspettandosi una reazione da parte delle sue mani. Quella poteva essere la chiave, poteva essere la causa scatenante che le avrebbe permesso di chiamare Ivan e mettere fine a quella relazione che ormai lo era solo di nome.
Lo avrebbe definito un tradimento? No: lo stava lasciando prima di mettersi con qualcun altro, e no: non si sarebbe lanciata subito tra le braccia del nuovo pretendente.
Sentiva che quelle cose andavano fatte piano, ma che allo stesso tempo aveva una voglia di conoscere a fondo quel giovane maldestro più di chiunque altro elemento presente in quella terra. Lo voleva aiutare, qualsiasi fosse stato il suo problema, lo voleva abbracciare per ogni dolore e gioire per ogni traguardo. In Joseph c'era qualcosa di nascosto che la spingeva a capirlo un pezzo alla volta e a tirarsi indietro qualora si fosse accorta di aver tirato troppo la corda. Ere ancora prematuro, ma sentiva che con lui tutto il suo mondo prendeva un aspetto differente da quello che le aveva sempre mostrato Ivan.
“Lo vuoi bere quel caffè, o ci mettiamo anche del ghiaccio?” la voce di sua madre la fece sobbalzare dalla sedia, e Flora incrociò lo sguardo perplesso e vagamente rassegnato di Diana.
“Dimmi un po': oggi studi? O vai al volontariato? O non fai nulla di tutto ciò?” quelle tre domande scivolarono dalle labbra della madre, ma dal tono non sembrarono chiedere una risposta, forse nemmeno lei si era davvero accorta di averle parlato.
E quelle tre domande non arrivarono nemmeno alle orecchie della figlia, morirono prima, si schiantarono al suolo come fossero state tanti piccoli aereoplanini di carta. Flora osservò per un momento, un brevissimo momento, sua madre voltarsi verso il frigorifero.
“Mamma?” poi fu lei a fare sobbalzare Diana dal posto in cui si trovava, “Tu credi che dovrei lasciare Ivan, se penso di essermi innamorata di un altro?”
“A cosa devo questa domanda, del tutto fuori dal tuo schema di vita?” la madre si voltò con uno sguardo indecifrabile, per un secondo Flora ne rimase quasi spaventata: un sorriso sbilenco e occhi che cercavano di scrutarla da dentro, come se avessero potuto in qualche modo aprirle la testa in due e leggere ogni pensiero che le passasse in mente, percorrendo quelle rughe grigiastre della materia grigia con movimenti rettiliani.
“Mi è venuta in mente così. Perché?”
“So che tu non sei il tipo da mi è venuta in mente così, ma più da devo avere tutte le alternative pronte e vedere quale si addice di più in caso di problemi”.
Flora arricciò il naso storcendo tutto il viso, non le piaceva quando qualcuno le faceva notare il suo autismo non riconosciuto e la sua mania per le cose perfette e ordinate. Quanto meno avrebbe potuto vantare una perfetta vita senza imprevisti. Ma voleva cercare di non prendersela per ogni commento che le veniva fatto, per evitare i problemi avuti in precedenza; e poi doveva riconoscere che una domanda del genere non era da lei.
“Comunque non hai risposto”.
“Dipende che cosa ti aspetti, tesoro” Diana si appoggiò al bancone della cucina, con entrambe le mani dopo aver appoggiato la bottiglia di latte che aveva preso dal frigo; “Io posso solo dirti che dovresti seguire la tua testa”.
“E se la mia testa fosse solo un casino di pensieri?” la ragazza abbassò lo sguardo verso il suo caffè, ormai tutto tranne che caldo. Doveva riconoscere che un po' se ne vergognava, di avere dei pensieri tanto contrastanti. Lei che era sempre stata calma e pronta ad ogni possibile evenienza, ora si ritrovava a dover fare i conti con l'imprevedibile.
“Allora lasciati andare al sano e vecchio caso. Con tuo padre ho fatto così” la madre mostrò un sorriso sognante, anche se l'espressione prese più un aspetto di una donna in preda ai deliri. Diana non era mai stata brava a mostrare facce dolci e innocenti, aveva ereditato dei lineamenti duri e dei colori particolari, tanto che ad ogni sorriso troppo largo, la sua faccia assomigliava a quella di un Joker appena resuscitato dai morti. In effetti le figlie si erano sempre chieste cosa avesse, di fatto, attratto Valerio.
“Dovrei lasciare che corra tutto, anche se dovesse andare malissimo?” quella previsione iniziò a inquietarla, non era abituata ad uscire dagli schemi, non era abituata ad accettare che le cose potessero prendere strade del tutto inesplorate. Lo sbaglio la spaventava, l'ignoto le montava addosso un'ansia che la spingeva a nascondersi dietro i pochi rituali portafortuna che conosceva e praticava da sempre.
“Flora, so che per te questo è un territorio del tutto ostile” Diana addolcì il più possibile il tono, senza nascondere comunque l'ovvio che voleva trasmettere, “Ma la vita per quanto ci provi, non la puoi programmare dall'inizio alla fine. Ha delle regole che noi non conosciamo e che non possiamo contrastare, non segue schemi che progettiamo perché tutto fili liscio. E che a te piaccia o meno, dovrai sempre accettare quello che ti offrirà”.
Effettivamente Flora si era sempre impegnata a corrompere la propria vita, esonerandola da quelle che erano alla fine le regole ancestrali che ogni essere presente su quel pianeta era costretto a subire. Le aveva provate tutte, e non sapeva dire se fosse perché non era mai stata in grado di accettare che le cose non andassero come pensava o se fosse stata una sua caratteristica preimpostata. Da sempre aveva cercato di sottrarsi a quelle che erano le leggi vitali e da sempre aveva lottato con tutte le sue forze perché andasse tutto come voleva lei. Ma a vent'anni era ormai costretta a fare i conti con quelle che erano le linee guida che nessuno poteva corrompere o modificare.
“È solo che…” prese la tazza con due mani, fissando un punto vuoto della cucina, “Non voglio che le cose vadano male. Non con lui”.
“Parli di Ivan, o di Joseph?”
“Di Joseph ovviamente. Ormai con Ivan… tutto quello che poteva andare storto…”
“Be', è lui che ha deciso che doveva andare così” Diana si voltò verso il lavandino, posò la tazza dentro la piccola vasca, “Quanto all'altro, se ci tieni tanto che le cose vadano bene, inizia con l'essere gentile e carina. Goditi il momento e cerca la sua felicità. Se pensi di esserti innamorata di nuovo, rincorri questo sentimento”.
E non avrebbe potuto prenderla più alla lettera di così. Flora, nel momento in cui aveva sentito la madre pronunciare quelle parole, aveva già pensato alla prossima mossa per il ragazzo. Prima del lavoro, prima di un stadio di vita davvero autonomo, una cosa che le premeva era poterlo aiutare in un gradino molto più importante.
Aspettò l'autobus molleggiando sul posto, in piedi alla fermata del mezzo, guardandosi intorno per vedere che stesse arrivando. Di solito la si trovava più tranquilla, ma quel giorno avrebbe desiderato si materializzasse davanti ai suoi occhi.
“Che fai qui Flora?” Minnie le andò incontro con uno sguardo perplesso, era strano vedere l'amica in una fermata diversa da quella per andare a scuola e tutta trepidante.
“Devo fare una cosa importante, e ho solo quest'occasione” Flora nemmeno si sprecò di dire ciao, aveva deciso di giocare nella stessa maniera di tutti gli altri. Il rapporto con Minnie non si era ancora risanato del tutto, e lei era ancora arrabbiata per essere stata presa in giro. Riflettendoci su, si era resa conto che non era stato l'abbandono degli studi a mandarla su tutte le furie, ma più il fatto che lei avesse fatto tutto di nascosto tirando su un teatro che non avrebbe fatto sospettare nulla.
“Stai… aspettando Ivan?”
“Che? No, certo che no. Che resti nel suo esercito se vuole” non si rese conto nemmeno lei di aver pronunciato quelle parole, ma sentì una leggera sensazione di sollievo, come se qualcuno l'avesse appena liberata da una palla di piombo con cui era costretta a camminare. Era incredibile come quell'anno stesse modificando radicalmente la sua vita: tre mesi fa non lo avrebbe mai detto, ma quell'incontro con il ragazzo più maldestro e disastrato di tutto il paese le aveva cambiato ogni possibile pronostico.
“Allora cosa devi fare di tanto urgente?”
“Una cosa per Joseph”.
Il discorso cadde lì, e a Flora andò benissimo. Non sentiva il bisogno di esporre l'idea, tanto meglio farla e sarebbe andata come avrebbe deciso di andare. Succeda quel che succeda, le aleggiava in mente, considerando che in tutti i casi non avrebbe potuto modificare il corso degli eventi né prevedere l'imprevedibile.
“E tu invece perché sei qui? Aspetti Eric?”
“Sì… dobbiamo vederci oggi”.
“Come va tra voi?”
Minnie le riservò un'occhiata confusa, ancora più perplessa di prima, “Molto bene… tu sei sicura di sentirti bene?”
Era un chiaro segno del fatto che aveva speso troppo tempo dietro a schemi su schemi, piani su piani. Nessuno l'aveva mai vista così in fibrillazione: “La verità? Non mi sono mai sentita meglio. Sento di aver solo buttato via tempo prezioso, di aver posto dei paletti inutili alla mia stessa vita. Sono felice per te e per Eric”.
Il pullman arrivò strombazzando, e appena le porte si aprirono, Flora lasciò scendere un ragazzo e si fiondò dentro. Realizzò un secondo dopo essere Eric, ma non ebbe il tempo di potersi approcciare, aveva solo bisogno di arrivare in fretta da Joseph. Salutò con la mano i due alla fermata e chiese al conducente di andare il più veloce possibile a casa del ragazzo.
Era incredibile come il tempo pareva andare troppo lento quando si aspettava trepidante una cosa in particolare. Flora non si sedette nemmeno, non ne aveva la forza, non sarebbe riuscita a stare tranquilla. Si immaginava tutto quello che sarebbe potuto accadere in poco tempo, anche se avrebbe preso pieghe molto diverse. Era meglio lasciar perdere i piani, sarebbe andata come sarebbe andata. Guardò fuori dal finestrino scrutando le case in vecchio stile passarle davanti come tanti razzi, una massa informe di oggetti che non parevano avere nemmeno un elemento identificativo.
“Dove vai con tanta fretta?” chiese il conducente, guardandola dallo specchietto.
“Devo compiere una missione. Pre una persona a cui tengo”.
“Avverto un bel sentimento. Spero tu ci riesca”.
“Non lo dica a me…” forse lei lo stava sperando più di tutti, di poter riuscire in quel l'intento. Avrebbe voluto poter dare una percentuale di fallimento e una di successo, ma non sarebbe cambiato niente. Il suo pensiero, per distrarsi, andò a Minnie e a Eric: non si era accorta subito di quanto stessero bene insieme, anche se non rispecchiava l'ideale di ragazzo che aveva sempre immaginato per l'amica. Ma in effetti, era giusto così. Non spettava a lei programmare la vita altrui, e se Minnie si sentiva meglio senza libri e senza ragazzi popolari, allora Flora doveva accettarlo.
“É quella la casa che stai raggiungendo?” chiese l'uomo fermandosi poco distante dalla piccola cascina di Joseph. Flora nemmeno rispose: appena le porte si aprirono lei corse fuori, dando la spiegazione a gesti. Era a pochissimi passi dal risultato della sua idea, ora doveva solo coinvolgere il diretto interessato.
Bussò energicamente, una, due, tre volte, continuando a molleggiare. Si toccò la tasca per sapere se i biglietti del treno fossero ancora lì a riposare.
“Chi è?”
“Una ragazza che ti deve assolutamente parlare!”
Joseph aprì la porta, non aveva il cappello in testa e per un secondo Flora contemplò la sua chioma scura e mossa: “Che succede?”
“Preparati, dobbiamo andare in un posto e tu non puoi sottrarti”.
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