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22

Ventidue

Joseph doveva essersi svegliato con la voglia di eliminare tutti i sassolini presenti sul lungolago. Erano seduti sulla riva da almeno mezz'ora e aveva preso a lanciare ogni singolo ciottolino sullo specchio d'acqua, agitando quella lastra liquida e perfetta con dei cerchi a distanze regolari. Non c'entrava mai lo stesso punto, ogni sassolino che tirava finiva in una zona totalmente diversa dando l'impressione che piovesse con il povero sole che stava cercando disperatamente di scaldare il paese.

“Quante volte vai a trovare i tuoi nonni?” gli chiese Flora, fissando l'ennesimo proiettile naturale che colpì l'acqua.

“Non molto spesso in realtà. Ma li chiamo tutti i giorni. O loro chiamano me”.

Flora non spostò lo sguardo, per qualche strana ragione sentiva che fissare un punto preciso senza distrarsi potesse offrirle un riparo sicuro da tutto ciò che poteva rivelarsi instabile. Non si stava rivelando una grande settimana quella, troppe cose irrisolte e troppe insoddisfazioni che le stavano lasciando l'amaro in bocca, fino a farla sentire in colpa anche per il più piccolo sfizio. Non aveva avuto voglia di tornare in aula per seguire le lezioni, aveva anche la scusa del volontariato, nonostante quella posizione stesse iniziando a vacillare. Non le stava importando più così tanto, aveva riesumato la piccola scuderia dalla soffitta e aveva spolverato i vari pezzi, osservandoli come se fosse stata la prima volta. Per un secondo avrebbe giurato di essere tornata indietro nel tempo, a quando si divertiva a gestire un ranch immaginario, con la sua piccola veterinaria preferita che faceva sempre il giro dei box.

“Tu invece vai mai a trovare i tuoi di nonni?”

“Ogni membro della mia famiglia è sempre in giro. Per lavoro, per divertimento, per qualsiasi cosa”.

“Sembra eccitante”.

“Sì…” bofonchiò la ragazza con un tono sarcastico. E lo era, eccitante, fintanto che tutti quei viaggi fossero volti a rendersi migliori davanti ai pochi nipoti che potevano godere di avere. Quando tornavano con dei regali esotici e particolari, era molto divertente ed emozionante, mentre nei casi diversi risultavano solo degli spendaccioni. Non lo nascondeva, non era mai stata entusiasta della sua famiglia, ma non per le ragioni che erano sempre state elencate: il fatto era che, per essere numerosi, non avevano evidentemente mai appreso il reale significato dell'unione di sangue, né tantomeno cosa volesse dire esserci per chi si amava. Non erano una famiglia modello e lo scarso numero di nuove generazioni ne era la prova.

“Era un molto convinto il tuo”.

Flora riservò un verso sarcastico, senza muovere la bocca, per poi fissare la mano di lui che razziava il terreno come fosse stato una ruspa: “Puoi smetterla di lanciare i sassi? Rischi di lasciare questo posto con solo sabbia e polvere”.

“E capirai che danno” rise il ragazzo lanciando l'ultimo sassolino che incontrarono le sue dita, “Il mondo non era composto da altro prima. Troverà un altro modo per ricoprire questa zona profanata”.

“Dimmi un po': sei sempre così spiritoso?”

“Solo quando i problemi sfiorano la soglia del ridicolo” Joseph doveva essere cresciuto in un ambiente che dava poca importanza a certi livelli di problemi, per dire una cosa del genere; ma da un nipote che sentiva i nonni solo per telefono, unico mezzo per saperli ancora vivi e sani, ci si poteva aspettare di tutto. Joseph in effetti non dava l'idea di amante delle trasferte, e i suoi parenti non davano l'idea di essere amanti delle visite costanti. Se lo aveva dichiarato con così tanta naturalezza, doveva esserci certamente del giusto.

“Cosa intendi per soglia del ridicolo?” chiese, dando finalmente lo sguardo al giovane, che lasciò in pace il resto della popolazione rocciosa presente sullo spiazzo.

“Intendo quelle classiche situazioni dove qualcuno si inventa determinati fastidi volti solo a mettere pace sulla sua mente disordinata”.

“Interessante. Puoi tradurre, adesso?”

“Intendo quei momenti in cui la gente si aggrappa a tutto pur di sentirsi forti. Tu mi hai chiesto dei miei nonni e poi mi hai sgridato perché lancio i sassi. Come se al mondo fregasse di quanti ce ne siano. Mica li contano”.

Flora lo guardò perplessa e interrogativa, una nota confusa attraversò i suoi occhi: “Era solo per fare conversazione”.

“Allora concentriamoci su un argomento alla volta”.

Flora roteò gli occhi, era incredibile come quel ragazzo in certe situazioni fosse in grado di farla sentire una stupida. Ma era anche incredibile come fosse in grado di farle capire quando una cosa diventava davvero stupida, come il saltare da una frase all'altra senza un collegamento effettivo. Va bene: fece il suo gioco. L'argomento parenti era finito, o almeno non lo avrebbe toccato oltre, quindi era ora di aprire un'altra scatola. Voleva conoscere meglio l'interno di quel ragazzo, sotto gli strati di carne e pelle doveva esserci qualcosa che lei ancora non aveva esplorato, qualcosa che lui si era tenuto stretto e che aveva deciso di non condividere con facilità. Era giusto, era un suo diritto, ma era anche un provare qualcuno di dargli possibilità che avrebbero condotto in meglio la sua vita sociale. Flora adesso avrebbe voluto fargli una domanda ben precisa, ma non trovava il coraggio di buttarsi, di violare quel confine segnato da un grande cartello con su scritto vietato l'ingresso. E non capiva se fosse una sua visione o se fosse la realtà.

“Va bene” disse per dare retta alla richiesta del ragazzo, “Allora cambiando argomento… tu cosa fai per vivere?”

“Assolutamente…” Joseph finse di cercare le parole giuste, “… un cazzo di niente”.

“Allora mio cugino non sbagliava!” Se lo lasciò scappare senza volerlo, per poi tapparsi la bocca con una mano temendo di essere stata scortese.

“Ti ha detto queste parole? Io e lui ci intendiamo benissimo. Dovrei conoscerlo” Joseph si abbandonò sullo sterrato, ridendo divertito sapendo che aveva ripetuto le stesse parole di un perfetto sconosciuto. Flora lo guardò interrogativa, lei si sarebbe offesa davanti al fatto che qualcuno avesse messo in chiaro il suo essere fannullona, ma evidentemente tra la sua mentalità e quella del ragazzo, doveva correrci un abisso. Lui era disinvolto e semplice, incurante di tutto quello che gli accadeva intorno; lei forse spendeva troppo tempo a pensare, spesso si perdeva in futili calcoli che le rovinavano solo i piani.

“Come fai?”

“A fare cosa?”

“Ad essere sempre così positivo. Io mi sarei offesa” gli indicò il corpo con due dita, come se così facendo potesse dare la perfetta idea di quello che non riusciva a comprendere a fondo. Cosa che in effetti era reale. Ma Joseph sembrava non vederci nulla di male in quello che aveva detto Annibal in precedenza, anzi si era messo a ridere di gusto.

“Direi che questa potrebbe essere la lezione numero due”.

“Molto bene. E quale sarebbe?”

“Non vedo perché dovrei offendermi per un dato di fatto. È inutile negare l'evidenza: io non faccio nulla tutto il giorno, vivo con la pensione dei miei nonni e del fondo dei miei genitori del quale sono legittimo erede. Quando avrò modo, mi troverò qualcosa da fare”.

Fondo pensione e soldi ottenuti grazie ad anni di contributi, Joseph era un perfetto mantenuto. E sicuramente doveva averne un bel po', di grana, nella sua banca per permettersi l'ozio dalla mattina alla sera. Però perché aspettare? Aveva abbastanza tempo da dedicare sia ad un piccolo impiego che alla sua vita privata, non aveva nessuno a cui stare dietro e non c'era motivo di rimandare.

“Non potresti accelerare i tempi e trovare qualcosa?” chiese avvicinandosi di più con il sedere, cercando di individuare una qualsiasi espressione che potesse tradire la sua tranquillità.

“Io? Io… non posso” la voce di Joseph tramutò in un tono incerto, quasi vergognoso. Questo destabilizzò per un momento l'atmosfera, Flora lo osservò con ancora più confusione negli occhi, adesso la sua risposta era stata del tutto fuori da ogni possibile schema. Praticamente quel ragazzo era imprevedibile nel suo essere semplice.

“Cosa vorrebbe dire che non puoi?”

“Voglio dire esattamente quello che significa la frase. Non posso, non ne ho la possibilità”.

“Non ha senso quello che dici” e non aveva senso per davvero. Come poteva un ragazzo perfettamente autonomo, in grado di svagarsi per tutto il giorno dato che viveva da solo, perfettamente conscio che non stava occupando in modo serio la sua vita, non avere la possibilità di permettersi un lavoro? Era ridicolo, perfino Giada ancora un po' preferiva lavorare che studiare, grazie alle mille punizioni che si era beccata per i brutti voti. Perfino Minnie avrebbe preferito cento volte lavorare che stare dietro alla sua amica e ai suoi discorsi troppo filosofici, perfino Annibal lavorava invece che finire la sua laurea. Che aveva Joseph che gli altri non avevano? Oppure, cosa NON aveva lui che gli altri avevano?

“Non ha senso quello che dici tu” Joseph dopo un po' parve irritato, “Perché dovresti mettere in dubbio una cosa del genere?”

“Perché, perdonami, ma dal momento che sei sempre in giro, non vedo dove siano i limiti. Ok: sei un po' maldestro, ma questo non implica un divieto” Flora, sentendo gli animi scaldarsi troppo, decise di parlare con calma, di trasmettere tranquillità per non esplodere in un litigio inutile. Come le avevano sempre detto, quello che facevano gli altri non erano affari suoi e lei non doveva infilarsi di prepotenza nelle loro vite. Cercò quindi di sembrare volenterosa di dare consigli, avrebbe potuto aiutarlo se ne avesse avuto l'opportunità.

“Credi davvero che sia solo per maldestria? Sei seria?”

“Non capisco quale sia il problema, prima mi dici che è inutile negare l'evidenza e poi ti irriti se te lo faccio notare?” Flora iniziò a pensare che ci fosse qualcosa sotto, qualcosa che davvero quel ragazzo non voleva dire, ma che stranamente, per come la vedeva lui, era chiara com il sole. Be' no mio caro Joseph, non era chiaro proprio per niente; anzi in quel modo stava solo diventando più difficile interpretare le sue parole e i suoi modi di fare, sembrava diventato una mappa con degli indizi nascosti e visibili solo sotto una luce particolare. Peccato che la ragazza non fosse mai stata brava alla caccia al tesoro o all'interpretare gli indizi scritti su pezzi di carta appallottolati in giro per un giardino.

“Aspetta” decise di adottare un approccio un po' meno aggressivo, per non complicare le cose, “Ricominciamo da capo. Perché non puoi?”

“Non per maldestria, se è quello che stai pensando” Joseph ammorbidì il tono, ma si sentiva lo stesso una certa durezza. Era come se si fosse tirato su un muro intorno che non lo facesse avvicinare a nessuno, e Flora temette di averlo offeso a tal punto da non permetterle più di indagare. Non voleva essere scortese con lui, non le sarebbe mai venuto in mente, ma a quanto pare aveva sbagliato qualcosa come sempre.

“D'accordo. Allora che cosa c'è che non va?”

“Davvero non lo sai?”

Flora rimase destabilizzata da quella domanda. Cosa voleva dire, che esisteva qualcosa di evidente come le montagne ma che lei non era stata capace di vedere? La cosa stava iniziando a sfuggire da ogni logica, si stava sentendo presa in giro e schifata dal ragazzo, che sembrava aver deciso di contorcere la sua mente e strizzarla come uno straccio bagnato.

“Josh” ora anche lei stava iniziando a farsi più dura, “Se parli in questo modo, io non capisco niente”.

“Non fa niente, vuole dire che non è così rilevante”.

“Invece si che lo è” Flora non ne poteva più, non voleva andare avanti a tira e molla per ottenere un discorso decente; perché si ostinava a fare il misterioso?

Joseph rilassò i muscoli del viso, guardo in basso e mormorò un flebile: “… scusami” e lo disse in un modo che, stranamente, alla ragazza toccò particolarmente, come se si stesse dando una colpa ingiustificata.

“Non devi scusarti” lo rassicurò mettendogli una mano sulla spalla, “Se hai bisogno di parlare, puoi farlo tranquillamente. Non sono così stronza da sminuire qualsiasi cosa”.

“Non ho mai pensato che tu lo fossi”.

“Saresti il primo. Forse sono stata vista in ogni modo tranne che per come sono realmente”.

C'era qualcosa, nel modo in cui la guardava, che aveva un che di familiare. Era lo stesso sguardo che, forse un tempo, aveva avuto anche Ivan: uno sguardo pieno d'amore, ma non quello affettivo, fraterno; era un altro tipo: uno di quelli che ti fanno sperare in un messaggio o una chiamata, uno di quelli che ti facevano desiderare di passare ogni sera in compagnia.

“Joseph, posso farti una domanda, un po' più carina?”

“Certo”.

“Ti sei mai innamorato tu?”

Il ragazzo distolse lo sguardo da lei, fissò il lago per qualche istante, e nel suo viso si dipinse il più dolce e imbarazzato dei sorrisi: “Sì. Di recente mi è capitato”.

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