17
Diciassette
Più ci pensava, più la cosa sembrava calzargli a pennello. Non poteva essere possibile, eppure tutto faceva pensare che il disegnatore di quel personaggio, di quel supereroe tanto vicino al mondo adolescenziale fosse stato proprio ispirato a Joseph. Certo: forse non avrebbe avuto l'istinto di un raggio o la capacità di arrampicarsi sui muri come se fossero stati una strada in pianura, ma tutto il resto sì: le ricordava particolarmente quel povero ragazzo cresciuto dal nonno e ignorato da tutta la popolazione scolastica.
Era incredibile come tanti modelli o idoli di vita fossero usciti fuori da un'esistenza insula e volta solo a renderti più depresso di un riccio in mezzo al deserto, dove l'unica goccia d'acqua in grado di dissetarti è proprio il tuo stesso sudore. Sembrava una bizzarra legge della vita: dovevi essere nel gradino più basso dei tuoi simili per spiccare il volo quando meno se lo aspettano tutti, o semplicemente trovarti nel posto sbagliato al momento sbagliato. Che poi sbagliato o giusto dipendeva molto dai punti di vista.
“Spero che il destinatario di questo splendore abbia più di quattordici anni. Odio quando i genitori sbolognano queste meraviglie del creato a poppanti incapaci di tenere in mano pure un cucchiaio di legno” bofonchiò il commesso della fumetteria dove Flora aveva deciso di recarsi quel pomeriggio.
Era l'unica fumetteria che avesse avuto la fortuna di resistere ad un periodo nero per l'economia del paese portuale: molti negozietti e piccole attività si erano ritrovati a chiudere i battenti a quasi un anno di permanenza, il perché non era mai stato chiaro a nessuno. Qualcuno aveva buttato il fatto che le tasse fossero aumentate troppo in poco tempo, o che qualche commerciante avesse cercato di fare il furbo rivelandosi invece sprovveduto. Flora non si era mai documentata per davvero, non ne aveva mai avuto interesse considerando che tutti i negozi chiusi non avevano mai catturato il suo occhio critico. Ma quel posto in particolare aveva tanti colori, tanti prodotti, tante cose che parevano non collegarsi l'una con l'altra ma che tenevano sempre quell'unico elemento in grado di farti tornare a casa con una collezione degna di un magnate.
“Non ti preoccupare” rassicurò il povero ragazzo prendendo con cura la scatola, “Da come lo vedo, dovrebbe essere più grande di me”.
“Ti confesso che solo il fatto che adori il buon e figo Spider-Man, ha tutta la mia stima. Ormai la gente simpatizza solo per Iron Man, Superman… meravigliosi ma vogliamo parlare di un ragazzino a caso che scopre di poter spaccare in due il crimine?”
“Molto più originale di quegli uomini so-fare-tutto-io, sì” in realtà Flora non aveva capito molto di quel discorso, non era mai stata brava a riconoscere i supereroi o a ricordare tutta la loro storia. Aveva sempre assecondato qualche film con Annibal oppure aveva sbirciato pochi fumetti, di fatti l'unica eroina che aveva catturato la sua felicità era proprio la donna indistruttibile. Forse era stato dovuto al fatto che fosse la prima eroina donna, finalmente il potere femminile aveva avuto la meglio. Doveva confessare che nella sua povera vita avrebbe voluto davvero trovare qualcosa che potesse conferirle i poteri di quella favolosa eroina: magari un meteorite in grado di realizzare i propri desideri o una cintura che potesse renderla invincibile; ma purtroppo lei nella vita reale restava la solita Flora.
“Quindi hai detto che è per un regalo di compleanno?” riprese il commesso guardandola con fare interrogativo.
“Diciamo di sì. Anche se non so esattamente quando cade. Glielo volevo chiedere e così non mi sarei trovata impreparata”.
“Io sono del parere che non serva un motivo per fare un regalo del genere, ogni giorno è buono. Se solo non fossi costretto ad accettare ogni singolo lavoro che mi viene proposto di vendere, terrei tutto il negozio solo di Spider-Man: magliette, fumetti, tazze…”
“Tu e Joseph andreste molto d'accordo. Sono sicura che se avesse l'opportunità, si riempirebbe la casa di rosso e nero con tanto di ragnetti”.
Uscì dalla fumetteria e guardò dentro il sacchetto, come se avesse dovuto assicurarsi che la statuetta fosse ancora integra e senza aver riportato danni nello spostamento bancone-sacchetto. In quella posizione a mezz'aria, salvato solo da una plastica sottile che gli permetteva di volare a una manciata di centimetri dal terreno, chiunque lo avrebbe trattato come fosse stato cristallo. E se non fosse stato per il puro scopo di riportarla a casa esattamente come l'aveva trovata, in modo da poterla dare al diretto interessato nel massimo della sua forma, Flora avrebbe lasciato che il sacchetto ondeggiasse allo stesso ritmo della sua andatura. Non aveva mai fatto dei regali ai suoi amici in singolo, di solito si aggregava al gruppo per fare un regalo unico spartendosi il prezzo, ma quella volta era diverso. Preferiva far vedere a Joseph quanto lei stesse iniziando a vederlo come una presenza importante, oltre che fargli sentire la vicina presenza di un'amica che fosse diversa dai suoi parenti, anche se si trovavano in una città un po' più lontana.
Si fermò alla solita fermata del bus per potersi collocare davanti alla porta di casa del ragazzo, quando dalla sua tasca il telefono iniziò a vibrare. Due vibrazioni brevi di fila, era una notifica, un messaggio o un gioco in corso. Non aveva molti giochini dentro, il telefono ultimamente lo aveva designato come mezzo per cose strettamente utili ed importanti, che era un modo più elegante per dire che non voleva assomigliare troppo a sua sorella, persa tra un'app e una playlist; tant'era vero che avevano iniziato a limitarle molto il tempo di utilizzo impostando un timer per tutto: un timer per i social, uno per i giochi, uno anche per internet in generale, e l'unica cosa che le permettevano di tenere attivo era il gruppo della classe.
Flora tirò fuori il suo telefono, aspettandosi qualche notizia dai canali di telegiornale a cui si era iscritta, ma leggendo il nome Minnie sullo schermo, la mano le parve che stesse perdendo calore.
Minnie non si era fatta sentire da quel famoso e maledetto giorno in cui le aveva confidato che le piaceva un ragazzo, dal momento in cui Flora aveva pensato bene di recitare la parte della guastafeste e di criticare male le sue decisioni. Erano passate due settimane e lei ormai si era autoconvinta che l'amica non l'avrebbe più cercata, che non avrebbe più voluto avere a che fare con Flora.
Il messaggio in sé per sé non diceva nulla di particolare, era solo un come va? molto piatto e senza intendere toni particolari, ma a Flora fece lo stesso uno strano effetto. Normalmente quel tipo di comportamento voleva dire un pericolo imminente, una tragedia familiare o una qualsivoglia notizia cattiva che poteva ribaltare la settimana da bella a bruttissima. Si schiacciò sul palo che teneva appesi gli orari del pullman e pensò bene a cosa scrivere. Doveva iniziare con un Ciao oppure lasciar perdere? Minnie non aveva salutato, ma era vero che poteva averlo sottinteso.
Tutto bene. Tu?
Poteva andare bene? Sperava di sì, in fondo nella situazione in cui versavano entrambe non esisteva un modo giusto di portare avanti una conversazione. Erano dentro un campo minato e ogni azione doveva essere ben ponderata per evitare di fare esplodere una delle bombe sotterrate con cura. Valeva anche per il discorso delle parole, ogni sillaba sbagliata poteva provocare una catastrofe, non era saggio buttarsi a pesce senza avere ben chiare tutte le conseguenze di ogni strada.
Devo parlarti. Quando puoi venire?
Ecco un'altra strada che poteva portare ad una conclusione bella come ad una bruttissima. Le due parole avevano un brutto significato messe insieme, una sorta di presagio di morte che incombeva irrimediabilmente sopra le teste degli umani come una spada di Damocle, un invito a buttarsi nel vuoto e vedere dopo quanto tempo il proprio corpo si spiaccicava in acqua nel migliore dei casi e sul terreno roccioso nel peggiore. Ma poteva avere anche uno spiraglio di luce: Minnie poteva voler dire che Flora aveva ragione, che Eric non si era comportato bene o che non era adatto a lei; poteva dirle che aveva deciso di continuare a studiare per diventare un'avvocatessa eccellente, il ché avrebbe portato un ottimo futuro a tutte e due.
È una cosa urgente?
Ma come aveva fatto a scrivere una cosa del genere? Appena si rese conto della boiata scritta, decise di cancellare immediatamente il messaggio, prima che il minuscolo orologino in fondo a destra diventasse una spunta.
Quando preferisci che venga?
Molto meglio, non avrebbe fatto la figura della sfacciata a cui non interessava dei bisogni della sua migliore amica, ammesso che fosse stata ancora così.
Il rumore di un clacson la fece sobbalzare sul posto: “Allora? Devi salire oppure no?” l'autista del pullman la stava fissando da diverso tempo con la porta aperta. Flora non si era nemmeno accorta che fosse arrivato il mezzo, aveva creduto di trovarsi in un angolo deserto per un po' di tempo. Diede un rapido sguardo allo schermo del telefono - Minnie non aveva ancora risposto - e saltò su prima che le porte potessero chiuderle la borsa fuori.
“Chiedo scusa. Ero sovrappensiero”.
“I pensieri non vanno d'accordo con la strada, né con il lavoro che ha come guida una tabella di marcia” quello non era lo stesso autista che la conosceva, doveva essere il suo giorno di riposo. Gli mostrò l'abbonamento e prese posto nei primi sedili, non aveva tempo per cercare quello giusto.
“Dove fermi?” chiese il conducente dando una rapida occhiata al vano deserto attraverso lo specchietto retrovisore.
Flora ci pensò per un po', ma considerando quello che le si era appena insinuato negli impegni, decise di cambiare rotta: “Mi porti sulla seconda strada. Vicino al Parco dei Fondatori”.
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