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Sedici

“Non vorrai davvero invitarlo qui spero!” la voce di Giada sovrastò per un momento il rumore della pioggia contro il vetro della finestra.

Quella stagione era davvero impossibile, difficile da comprendere e soprattutto problematica in fatto di vestiti. Al mattino si ergeva un timido sole che illuminava i prati colmi di rugiada e di residui di una pioggerellina sottile, per poi passare ad un acquazzone che faceva tremare le pareti, per poi tornare ad essere parzialmente soleggiato ma con venti che potevano ribaltare anche un camion.

“Certo che sì. Tu puoi portare tutti i tuoi amici disadattati, perché io non posso fare lo stesso?” Flora alzò le spalle, senza preoccuparsi del fatto che potesse offendere la sorellina. In fondo i suoi amici e compagni di scuola non erano certo molto diversi in fatto di disagio, forse Joseph addirittura riusciva a piazzarsi in un gradino talmente alto da avere il beneficio di potersi permettere uno sbaglio, o semplicemente di sembrare un po' maldestro. Da dei ragazzini di tredici anni le veniva solo da rigettare pensieri cattivi e volti a farla sembrare più vecchia di quello che potesse essere realmente.

“I miei amici non sono dei disadattati! E sono molto più fighi e intelligenti di quello!”

“Come no, e quello con i capelli a rasta con i pantaloni che lo inglobavano? Ci entrava tre volte, quattro forse!”

“Guarda che erano davvero belli quei pantaloni! Sei solo invidiosa dei miei amici!”

Flora invidiosa? Di quel gruppo di nani intenti a sembrare dei cartoni animati? No, grazie. Si piaceva così, e preferiva cento volte sembrare una vecchia vissuta dai jeans attillati alla gamba piuttosto che dare l'idea di nascondere noci di cocco e pesci nelle tasche. Non aveva mai capito quelle mode così ridicole, volte solo a rendere i soggetti nettamente più stupidi di quanto già non fossero. Il loro nonno avrebbe detto che quei ragazzini avevano buttato via la loro intelligenza, lanciata da un fosso o persa dentro un pozzo, e non si sentiva di dargli torto. Il gruppo più legato a Giada poi era il peggio del peggio: capelli tinti con colori accesi e pesanti, felpe più grandi persino dei loro stessi genitori, scarpe così pasticciate che potevano averle usate per dipingere casa, solo che non erano più riusciti a fare andare via le vernici. Non era sicura se fosse un bene che Giada ancora non avesse deciso di abbracciare quella religione o essere spaventata perché avrebbe potuto tornare a casa ridotta peggio di un fumetto da un momento all'altro.

“Puoi contestare come vuoi, io lo invito lo stesso, e tu non puoi farci niente”.

“Se poi ti butta per terra tutte le statue di Wonder Woman o e ti ribalta la libreria, io non ne voglio sapere niente”.

“Sei solo gelosa perché a te hanno proibito di portare un'altra volta quegli animali in casa dopo il vaso della zia. Non è colpa mia se ti hanno iscritto nella classe peggiore della scuola”.

Giada sbuffò e fece per lanciarle un cuscino dal divano dove era sdraiata, ma la mamma glielo prese al volo prima che potesse oltrepassare metà sala.

Quando i genitori si intromettevano nei loro bisticci infantili, in alcune occasioni a Flora non andava giù. Quando potevano difenderla o semplicemente prendere posizioni volte a calmare le acque, se ne stavano fermi immobili e ignoravano le urla, mentre quando non era necessario un intervento decidevano di marchiarle con le loro ombre sempre pronte a captare qualsiasi parola di troppo. Quella però era stata una delle poche volte in cui l'intervento aveva avuto la giusta causa.

“Che avete da litigare tanto?”

“Lei vuole invitare il ragazzo sgangherato del paese ed io non posso portare qui i miei amici! Ecco cosa c'è”.

“Guarda che io non voglio invitarlo, io l'ho già invitato” puntualizzò Flora, godendosi lo sguardo incredulo della sorella che rimase a bocca aperta ma senza riuscire a pronunciare mezza parola. Adorava quei momenti in cui la faceva in barba alla sorella e Giada non poteva farci nulla, le dava una tacca di potere che lei non poteva ancora sfiorare. I benefici della maggior'età erano così soddisfacenti quando si potevano usare come carte magia in mezzo ad un campo di realtà aumentata, senza la possibilità che venissero distrutte in alcun modo dagli avversari.

“Ma la senti?!” Giada alzò la voce, in coincidenza con la testa per guardare la madre con fare offeso, “Perché lei può portare a casa cani e porci ed io invece devo stare in punizione?!”

“Per un semplice motivo” Diana assunse un tono freddo e fermo, in modo che la figlia si ammutolisse e si facesse piccola piccola, “Di sicuro da Flora non rischio di trovarmi figli dei fiori o sospetti spacciatori minorenni che nel tempo libero fumano cose di dubbia provenienza”.

“Mamma… i miei amici non fumano!”

“Ah non si può mai sapere dalle generazioni di oggi. Ecco perché hai ancora il controllo genitori sul telefono” non era chiaro se per Diana e Valerio, Giada avesse ancora dieci anni o se semplicemente non si fidassero della figlia. Era vero che tra Flora e Giada correvano differenze notevoli in campi multipli: la prima aveva sempre rimediato poche amicizie ma buone - Minnie era diventata quasi di famiglia, non aveva mai dato troppi problemi a scuola e le poche punizioni erano sempre state per colpa di qualche marachella che valesse la pena estinguere; Giada si era rivelata più impegnativa: aveva imparato a camminare prima dell'anno e in un lasso di tempo che per i genitori era parso infinito aveva collezionato soste dal pediatra o in pronto soccorso per le molteplici cadute che le provocavano abrasioni e sbucciature degne di un film Horror, oltre che qualche osso rotto all'inizio delle elementari. Col tempo la situazione non era affatto migliorata, solo che ora la sua iperattività la usava in ambito del tutto improbabili.

“Questa è in assoluto una cosa del tutto ingiusta! Anche Flora ha fatto dei danni in questi giorni!”

“Lei non ha quasi incendiato la taverna solo per fare uno stupido esperimento” ribatté la madre posizionando le mani sui fianchi con un movimento stizzito e brusco.

E Flora avrebbe voluto prendere parte a quella scena comica di discussione madre e figlia, ma la sagoma di Joseph le apparve nella finestra facendosi sempre più grande. Quella camminata ondeggiante l'avrebbe riconosciuta ovunque ormai, pian piano aveva imparato a collegare le movenze ai soggetti che incontrava, e in particolare al ragazzo con il cappello Steampunk sempre sulla testa, leggermente storto. Iniziava a piacerle quel cappello, aveva un che di simpatico e particolare, un qualcosa che non si vede tutti i giorni e che si può trovare vanto nell'averlo scoperto.

“È arrivato! Io lo faccio entrare, voi siete pregate di sparire finché non lo avrò portato in camera mia”.

“In camera tua?” echeggiò Giada alzando le sopracciglia con lo stesso tempismo della madre.

“Non devo fare niente di che, anche se avrei l'età. Vi ricordo che sono fidanzata!”

“Sì…” borbottò la madre, “Ormai solo sulla carta”.

Flora si precipitò alla porta, sbloccando tutte le serrature che suo padre era solito mettere - o chiedere di mettere - per paura che entrassero i ladri. Quando l'ultimo clack si fece sentire, la ragazza spalancò la grossa lastra di legno salutando il suo amico con un sorriso smagliante.

“Spero di non aver fatto un ritardo imbarazzante. La strada oggi non voleva svuotarsi”.

“Quel tratto soprattutto detiene con gelosia il nomignolo di Fiume di Caronte. È pessimo e almeno una volta al mese ci lascia qualcuno” Joseph non era affatto in ritardo, anzi, ma Flora aveva pensato che tenere corda della sua giustificazione potesse essere un buon modo per sciogliere l'atmosfera. Era una prima volta per tutti e due: Joseph a casa di qualcuno e Flora che portava in casa un ragazzo che non fosse Ivan o Annibal. Era come se, dover affrontare quel passo, fosse un nuovo modo per sancire un passaggio d'età diverso, come gli anni scolastici che segnano per sempre il termine dell'infanzia e l'inizio dell'adolescenza, e dopo l'età adulta.

Ma sarebbe stato maleducato lasciarlo davanti alla soglia, e Flora sentiva ancora le presenze scomode di mamma e sorella: “Vieni dentro, fuori potrebbe peggiorare da un momento all'altro. Attento a questo piccolo saltello. Le porte blindate… non so se hai presente”.

“Le uniche che mi vengono in mente sì trovano nelle banche. Tipo la cassaforte di Zio Paperone” dapprima Joseph strisciò i piedi, individuando il piccolo stipite, e lo scavalcò portando il suo corpo dentro l'abitazione. Si lasciò guidare dalla padrona di casa, salutando con un cenno della mano le altre donne che lo stavano fissando con fare da scienziate. Come se fosse stato così strano vedere un soggetto di sesso maschile in casa, ormai dovevano essere abituate al papà, al cugino, al fidanzato della primogenita… eppure quel giorno sembrava che avessero resettato i loro ricordi e le loro conoscenze.

“Non ho una camera molto grande, e solo pochi anni fa ho ottenuto il premio di averne una solo mia” Flora si chiuse la porta alle spalle, appoggiandosi per qualche secondo e osservando l'ospite che spostava lo sguardo in giro per esplorare lo spazio circostante.

“Resta sempre più grande del buco dove dormo. I miei nonni avevano investito tutto in salotti, e quel che era rimasto aveva permesso un incastro perfetto dei letti” Joseph mosse le mani con delicatezza, prendendo lo schienale della sedia e chiedendo se potesse accomodarsi, “Hai delle statuette di Wonder Woman?”

“L'unico supereroe che abbia mai conquistato la mia ammirazione. Sono sempre tutti uomini palestrati convinti di poter spaccare il mondo… a te piace?”

“Ho sempre preferito Spider-Man. Un giovincello dimenticato pure da Dio che improvvisamente diventa l'idolo dei suoi coetanei. Peccato non potesse mai vantarsene davvero”.

In effetti Peter Parker somigliava un po' a Joseph: un ragazzo solo, senza familiari, e invisibile a tutti tranne che per i bulli. Flora non sentiva di assomigliare a Wonder Woman, anche se sentiva molto affine la sua avversità per le ingiustizie, le piaceva credere di poter fare grandi cose una volta superata la prova più importante del suo mondo natale, le piaceva pensare di confondersi perfettamente con la gente circostante per poi entrare in azione in modo silenzioso e mimetico per non destare sospetti.

“Comunque, se mi parlano di te… io penso a Wonder Woman”.

“Davvero?” la ragazza prese il pouf vicino al letto e si sedette di fronte a lui, “E in base a che cosa ti vengo in mente?”

“Diciamo che, come lei, non hai paure di dire quello che pensi. E spesso metti da parte il tuo volere per gli altri”.

“Sei il primo che me lo dice…” a dire il vero a Flora, a un certo punto della sua vita, era più parso di mettere troppo avanti il suo sano egoismo a dispetto dei bisogni di chi le stava intorno. Le venne in mente Minnie, che ancora non aveva smaltito l'offesa per il suo commento poco carino nei confronti di Eric. E più volte aveva avuto il pensiero di scriverle, di chiederle scusa e di spiegarle che in realtà era molto felice per lei, ma aveva paura che potesse soffrire qualora non si fosse rivelato il ragazzo giusto.

“Be' non credo si debba indagare molto” continuò Joseph, “Hai portato tua sorella nel Vicolo dei Caduti per la sua ricerca. Sono panche sicuro che negli anni ti abbia fatto tante cose per tenere coinvolte le persone a cui tieni”.

“A me sembra più il contrario: credo di aver escluso il pensiero altrui pur di agevolare me stessa. Come la storia di Minnie”.

“Però tu non lo hai detto con lo scopo di offenderla, giusto?”

“No! Le ho solo detto che meritava di meglio. Insomma: non voglio che soffra come…” si bloccò per un attimo, stava per dire una cosa di cui avrebbe potuto pentirsi poco dopo, non era il caso di mostrarsi in quel modo, “… non importa”.

“Come te” completò il ragazzo inaspettatamente, “Per Ivan immagino”.

“Voglio essere chiara: io lo amo alla follia, e so che è molto impegnato. Ma ultimamente… mi sembra che lui non mi consideri con la stessa importanza”.

Joseph non ebbe bisogno di parlare, dal suo sguardo la ragazza capì subito che aveva inteso il significato. In effetti Ivan stava dimostrando ogni giorno di più di non avere più interesse per una relazione, anche se a distanza. A Flora venne anche in mente il giorno in cui si erano salutati: quando gli aveva promesso che lo avrebbe chiamato e che avrebbe aspettato le sue lettere o messaggi, Ivan aveva sorriso, ma non aveva dato risposte che potessero significare un ricambio, un ulteriore impegno per preservare la loro unione, come se improvvisamente fosse stata più importante la carriera militare che la persona che lo aspettava a casa.

“Perché ogni volta che ci incontriamo, riesco a rattristarti?” la domanda del ragazzo ruppe il silenzio.

Ma Flora rise con affetto: “Non sono triste per colpa tua. In realtà non è una vera e propria tristezza: inizio solo a considerare con un altro occhio quello che mi circonda. Per esempio: con te mi viene facile confidarmi e aprirmi. Ti confesso che Minnie molte di queste cose non le sa”.

“Qualcosa di buono allora lo so fare!” l'esaltazione di Joseph la fece scoppiare a ridere, e non si preoccupò nemmeno che di sotto potessero sentirla in un momento di improvviso delirio.

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