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Undici

Minnie doveva aver deciso di rendere il bagno dell'Università la sua nuova aula personale. Erano passati ormai venti minuti e lei ancora non aveva fatto ritorno al suo posto, Flora stava iniziando a pensare che si fosse addormentata sul gabinetto. Era incredibile come anche una ragazza ligia agli orari come Minnie potesse perdersi in un contesto tanto banale, di solito l'unico motivo he spingeva le ragazze a fare tardi dai servizi igienici era per truccarsi e prepararsi per una serata. Ma alle dieci e mezzo del mattino era difficile che qualcuno l'avesse invitata ad uscire.

“Eccomi qui, lo sciacquone non funzionava più” disse l'amico dopo aver dato un ulteriore stacco di dieci minuti dai pensieri di Flora, distraendola dalla spiegazione del professore di legge.

“Di tutti i gabinetti che potevi scegliere, proprio in quello smonco sei andata?” chiese roteando la penna tra le dita, muovendola con piccoli scatti e movimenti sinuosi tra l'indice e il medio.

“Quando sono tutti occupati non hai grandi scelte”.

Come se in quel momento ogni singola cabina dei servizi igienici potesse essere occupata, non ci avrebbe creduto nemmeno Minnie anche se aveva pronunciato lei quella frase; Flora scosse leggermente il capo e tornò ai suoi miseri appunti, uno schemino composto solo da frecce, parole, significati monosillabi, acronimi di cui nemmeno lei era certa del reale significato. Stare attenta a quella noiosa lezione si stava rivelando più difficile del previsto, specie considerando come aveva passato la notte: non aveva dormito, il pensiero di poter sprofondare nel mondo dei sogni l'aveva del tutto abbandonata e lei si era ritrovata a fissare il soffitto per quasi tutta la notte. Eppure non aveva mangiato nulla di così pesante da costringerla a restare in allerta per possibili malori improvvisi, né il colloquio con Giada era stato destabilizzante a tal punto da interrompere anche le più comuni delle abitudini.

Ma restava il fatto che le palpebre sembravano essere due macigni pronti a cadere da una montagna, creando una frana che avrebbe interrotto tutte le strade che avrebbe incontrato.

“E va bene” sussurrò poi Minnie, avvicinando il viso alla spalla di Flora, “Non è stata sol colpa dello sciacquone”.

“Questo lo avevo già capito”.

“Non ti si può nascondere nulla vedo. Comunque il motivo è questo” Minnie avvicinò il telefono al viso dell'amico, facendole leggere alcuni messaggi che aveva inviato. La chat era con un nome a lei sconosciuto: non lo aveva mai sentito né era in grado di associare il viso che vedeva attraverso la foto del profilo. A giudicare però dalle parole usate, Minnie e quel… Eric, dovevano essere intimi.

In effetti stava iniziando a chiedersi quando l'amico si sarebbe decisa a trovare un fidanzato, in tutti gli anni che la conosceva non aveva mai espresso quel desiderio, né aveva mai introdotto un possibile pretendente. Finalmente Flora non sarebbe stata l'unica a lamentarsi del proprio partner, ma dedurlo così, senza uno straccio di prova certa, era prematuro.

“Hai un fidanzato?”

“No, non ancora almeno. Ci siamo conosciuti ieri” confessò Minnie caricando la sua voce di incertezza. Si poteva comunque sentire la speranza che saliva pian piano ad ogni decibel che aumentava. Doveva essere quella la cosa di cui voleva parlare l'altro volta, quando l'aveva cercata. Eppure nel momento in cui Flora si era presentata a casa sua, non le aveva più detto niente, aveva fatto la vaga e si era persa in un intrigo assurdo di frasi che avevano portato l'amico a confondersi, fino a parare nella solita routine che incorniciava le loro uscite in coppia. Adesso però lei era curiosa, voleva sapere tutto e in poco tempo, voleva recuperare tutto quello che si era persa mentre era impegnata ad affogare nelle sue lacrime.

“E dove lo hai conosciuto?”

“Al parco, mi ha aiutato a recuperare la mia gattina. Si era arrampicata su un albero per inseguire uno scoiattolo”.

“Quante volte ti ho detto che portare a spasso un gatto non è una buona idea?”

Minnie le diede un leggero pugno sulla spalla, stando attenta a non farsi vedere dal professore, ma permettendo al corpo di Flora di sussultare per il dolore. Sollevò lo sguardo e le lanciò un'occhiata indignata, ma ottenne solo uno sguardo beffardo da parte dell'amica che riprese a spiegarle come si fossero incontrati e conosciuti. Le disse che Eric si era arrampicato sull'albero aiutando Opal, la gattina, a scendere; poi si erano seduti su una panchina e avevano iniziato a parlare del più e del meno senza che se ne rendessero conto: una battuta aveva tirato l'altra, una risata ne aveva agganciata un'altra e con il passare dei minuti avevano scoperto di avere molte cose in comune.

“E vi siete scambiati il numero solo dopo un pomeriggio al parco?” chiese poi Flora raccogliendo le penne e i fogli, ringraziando dentro di sé che la lezione fosse finalmente finita. Le sue gambe avevano iniziato a gridare talmente erano scomode quelle sedie.

Minnie alzò le spalle: “E che cosa avrebbe dovuto fare, la corte? Non è un soldato difensore della patria come Ivan”.

A Flora quel paragone non fece molto piacere, ebbe più l'idea che la sua amica avesse voluto tirarle una frecciatina per ricordarle quanto conquistare Ivan fosse stato difficile. Nonostante fossero una coppia felice e semplice, lei no negava che avrebbe potuto, col senno di poi, puntare anche più in basso per poter sorridere lo stesso, ma avere un fidanzato - e poi marito - arruolato con tanto di medaglie aveva sempre reso un certo prestigio. Era molto più dignitoso, secondo la ragazza, affermare che il proprio compagno di vita avesse combattuto per la pace, salvato vite innocenti che si trovavano sotto l'ostaggio dei bombardamenti; dava un senso di eroismo anche da parte della famiglia che non lo aveva fermato davanti a quella difficile decisione, anche se nel caso specifico di Ivan: o faceva il medico iscrivendosi a una facoltà con sede molto lontana dal paese portuale, oppure andava a lavorare per farsi un'esperienza adeguata, e lui aveva optato per la seconda scelta.

“Grazie mille per la precisazione. Ma almeno è carino?”

“Non rispecchia proprio i miei gusti ideali, ma diciamo che posso accontentarmi” era incredibile come nella bocca di Minnie esistesse sempre quel termine: accontentarsi. Aveva molte più possibilità dell'amica, le strade per il successo non le mancavano e con la testa era un portento: abile nei calcoli e nei ragionamenti logici. Ma perché tendeva sempre a nascondere quelle che erano le sue abilità più utili e tendeva ad eclissarsi in quel circolo pericoloso di mediocrità come lo erano tutte le loro coetanee? Flora odiava quella massa informe di nullità che colpiva indisturbata tutta la generazione vicina a loro, fino a colpire anche quelle successive. La ridicola consapevolezza di essere tutti identici dell'aspetto fisico alla mentalità, senza provare minimamente a chiedersi cosa andasse meglio per sé stessi. Oppure tutte quelle ideologie campate per aria che qualcuno seguiva solo per fare numero, lo trovava insensato.

“Non ti devi per forza accontentare, lo sai vero?”

“Lo so Flora, ma ne abbiamo già parlato…”

“Bene! Allora riparliamone” Flora si mise davanti a Minnie, ignorando il suo sospiro contrario. Voleva almeno dire alla sua amica di non sottovalutarsi, darle un minimo di conforto e di coraggio a dispetto di quello che la loro piccola città offriva. In fondo era sempre stata pro alla positività e non era giusto che proprio la sua migliore amica soffrisse per questo. Non era lei a dover scendere a compromessi.

“Lo so cosa mi stai per dire” Minnie la intercettò prima che potesse parlare, “Ma potrà essere un mio diritto decidere se puntare più in alto o dire anche se poco, va bene così? Questa cosa sembra dare più fastidio a te che a me”.

“Ma perché devi restare nei livelli bassi quando possono esistere cento possibilità più alte che ti danno molta più soddisfazione? Rifletti un attimo, Minnie!”

Vedere la sua amica roteare gli occhi scocciata le diede un brutto pizzicotto nel cuore. Ma era possibile che Minnie non volesse capire che lei diceva quelle cose per lei, perché sapeva che nel mondo avrebbe potuto avere molto di più di quello che cercava? Almeno lei che aveva le strade già spianate, tanto valeva percorrerle. Invece Minnie le ignorava: piuttosto deviava una via in un piccolo sentiero sterrato che la conduceva molto più lontano di quello che pensava dall'obbiettivo primario.

“Ascoltami, Flora” la ragazza alzò le mani per focalizzare l'attenzione su di sé, “Hai mai pensato che queste cose fossero più nel tuo essere che in quello degli altri? Hai mai pensato che questo tuo discorso fosse adatto solo a te stessa e non ad altri? Io non me la sto vivendo male, anzi”.

“Ma stai scherzando, spero” Flora quasi rispose con un tono offeso. Minnie aveva forse detto che lei ragionava solo secondo le sue idee senza contare quelle altrui? Ma per favore! Da sempre, attraverso tutto, corsi di ripasso e volontariato, lei si preoccupava per gli altri più di sé stessa; motivo per il quale diventava paranoica sul proprio futuro.

“Non era per offenderti” Minnie corresse il colpo, “Sto solo dicendo che a volte sei un po' troppo dura, anche dove non serve”.

“Io voglio solo che la mia migliore amica sia felice, è così strano?”

“E chi ti ha detto che non sono felice?” il tono dell'amica, dapprima divertito e con una nota sarcastica, quasi sdrammatizzante, e il suo sguardo dopo quella domanda si spensero totalmente, un secondo dietro l'altro. Il sorriso imbarazzato si trasformò in un'espressione del tutto passiva, quasi delusa con gli occhi tendenti all'oro che fissavano Flora in modo accusatorio. Lei non aveva mai visto quel tipo di viso per così tante volte di fila, ma riconobbe che quella era stata una volta di troppo nel giro di pochissimo tempo rispetto al solito.

Per una volta speravo che TU fossi felice per me.

Quelle parole le arrivarono addosso come una freccia avvelenata, azzerando totalmente il pensiero che l'aveva smossa a parlare dai meandri del suo cervello. Era una cosa che non riconosceva in sé stessa, una condizione che non aveva mai sentito propria; il non essere felice per Minnie era sempre stato fuori dai suoi piani vitali. Ma evidentemente quel giorno lo aveva dimostrato male, perché subito dopo quelle parole di fuoco, vide nel volto dell'amico l'amara e sincera delusione di avere voluto confidare una cosa intima. Eppure non le era sembrato di essere così brutale, di aver pensato solo a sé stessa e non al benessere degli altri; era sicura di aver detto solo cose a fin di bene, solo per dare a Minnie la spinta che le serviva per poter essere più ambiziosa.

Non ebbe però modo di dirglielo, di giustificarsi e di affermare che quello che pensava Minnie fosse sbagliato, perché l'amica la oltrepassò e rigò dritta per la sua strada, senza nemmeno salutarla.

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