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Capitolo 20 - Il parto di Amber.

«Ho infranto la mia promessa, vero?» sussurrò Giovanni.

Laurence sorrise appena, i suoi occhi brillavano di malizia, «Te lo avevo detto».

Il demone lentamente cominciò a giocare con i bottoni della giacca nera di Giovanni, facendoli roteare tra il pollice e l'indice, slacciandoli a uno a uno fino ad aprirla e sfilarla giù dalle sue spalle. Il tessuto scivolò via, confondendosi tra le lenzuola aggrovigliate.

Giovanni, senza esitare, afferrò la cravatta del demone e la sfilò con un colpo secco, gettandola via senza preoccuparsi di dove sarebbe atterrata. Poi piegò le gambe, accogliendolo tra esse.

Laurence rise, «Se fai così mi offendo...».

Giovanni gli rivolse un ghigno provocatorio, «Che permaloso».

Lasciò scorrere le dita lungo l'orlo della camicia bianca del demone, tirandola fuori dai pantaloni. Poi, senza preavviso, afferrò il tessuto e lo strappò, facendone saltare i bottoni con un leggero schiocco nell'aria.

Laurence si irrigidì appena, sorpreso, ma il piacere si insinuò rapidamente nel suo sguardo. Giovanni abbassò la testa e posò le labbra sul suo petto scolpito, sentendo sotto di sé il calore e la tensione dei suoi muscoli e assaggiando un sapore indefinito della sua pelle.

Laurence gemette, e il rossore gli salì sulle guance in un modo che Giovanni trovò irresistibile.

Giovanni si liberò della propria camicia, lasciando che anche la sua pelle nuda si rivelasse alla luce soffusa della stanza.

Laurence non perse tempo. Sfiorò quello spettacolo, tracciando baci ardenti lungo la sua pelle, lasciando segni visibili del loro passaggio. Poi, un morso fu depositato sul lato sinistro del suo collo e lui trattenere il fiato, qualcosa tra piacere e dolore che gli annebbiò la mente.

Giovanni gemette, affondando il corpo nel materasso consunto di quel letto troppo piccolo per contenere il fuoco che li stava divorando.

Improvvisamente, Giovanni raccolse tutta la forza che gli restava e si sollevò dal letto, intrappolando Laurence contro la finestra sul lato destro della stanza. Il suo respiro era affannoso, e con la mano ferita lo bloccò saldamente per la spalla.

«Togliti i pantaloni, demone», ordinò.

Laurence lo fissò, confuso e divertito, «Perdono?».

All'improvviso, il cellulare del demone interruppe l'atmosfera, facendo risuonare nell'aria le note di 'In the Closet' di Michael Jackson: "Because there's something about you baby, that makes me want to give it to you. I swear there's something about you baby. Just promise me, whatever we say, whatever we do to each other, for now we take a vow to just keep it in the closet...".

Laurence scattò per rispondere. Giovanni, invece, si staccò dalla parete e si passò una mano tra i capelli bronzei, tirandoli indietro. Quel movimento disordinato rese la sua chioma ancora più affascinante, catturando l'attenzione del demone che, nonostante l'urgenza della chiamata, non poté fare a meno di notarlo.

Laurence portò il telefono all'orecchio, «Amber?».

«Laurence, devi venire subito. Nostra figlia sta per nascere!».

Un rumore assordante interruppe la chiamata, seguito da scariche elettriche e un sibilo metallico. Poi, il silenzio.

Laurence strinse il telefono con più forza. «Amber? Amber!».

Nessuna risposta. La chiamata si era interrotta.

Giovanni si avvicinò, percependo la tensione nell'aria. «Che succede?».

«Amber deve partorire! Che faccio?!», urlò il demone, in preda al panico.

Giovanni sospirò, «Ti avevo detto che sarebbe successo. Andiamoci insieme, io so cosa fare, respira e sta tranquillo...».

«Va bene, andiamo».

Laurence schioccò le dita per raggiungere casa in meno di un minuto, vista l'emergenza.

L'angelo giaceva sul letto, incapace di muoversi a causa del dolore lancinante alla schiena provocato dalla bambina che portava in grembo.

Era riuscita con uno sforzo immane a comporre il numero del marito, ma il telefono le scivolò dalle mani non appena diede la notizia, rotolando a terra. Sentiva le forze abbandonarla, il respiro farsi affannoso mentre attendeva, minuti interminabili.

Poi, finalmente, la figura del demone apparve davanti a lei seguita da una seconda: erano Laurence e Giovanni, entrambi coi capelli scompigliati.

L'angelo non aveva bisogno di chiedere nulla. Le bastò un solo sguardo per capire cosa fosse successo, ma non era quello il momento per rimproverarlo. Non quando un'ondata di dolore le attraversò il ventre, strappandole un gemito soffocato.

Laurence le si avvicinò immediatamente, inginocchiandosi accanto a lei, «Amore, sono qui».

Il demone prese subito il controllo della situazione, aiutando Amber a spogliarsi di vestiti superflui mentre i dolori continuavano a stringerla in una morsa insopportabile.

Amber urlò, il corpo fu scosso da un nuovo spasmo violento, e riuscì a malapena a divaricare le gambe, preparandosi all'arrivo della loro bambina.

«Lascia fare a me».

Giovanni si avvicinò all'angelo, ma istintivamente si coprì la bocca con una mano. Nei suoi studi aveva visto molti video su parti divino-demoniaci, ma trovarsi lì, in quel momento, di fronte alla moglie dell'uomo con cui aveva appena condiviso un'intimità travolgente, lo metteva profondamente a disagio.

«Signora Creedi, spinga più forte!», la incitò, cercando di concentrarsi sulla situazione.

Nel frattempo, Laurence, pallido come un lenzuolo, vacillò e poi crollò a terra, privo di sensi.

«Ma sei serio?!», sbottò Giovanni, riuscendo appena in tempo ad afferrarlo prima che battesse la testa sul pavimento. Con un sospiro lo prese in braccio e lo trasportò nel salone, adagiandolo sul divano, «Svenire mentre tua moglie partorisce... incredibile», borbottò, scuotendo la testa, poi tornò di corsa in camera da letto, il nervosismo gli mordeva lo stomaco.

Amber era scossa da spasmi violenti, le contrazioni la stritolavano con tale forza che sembrava sul punto di perdere i sensi. Giovanni si sentì paralizzato per un istante. Non era pronto, non sapeva cosa fare, allora afferrò il telefono e digitò un numero senza pensarci due volte.

Dall'altro lato della linea, una voce familiare rispose subito, «Dimmi, Giovi».

«Manu, Amber Creedi sta partorendo!», sbraitò Giovanni, «Prendi asciugamani, talco, coperte, tutto quello che serve e vieni subito alla seconda casa di Franco. Muoviti!!».

«Arrivo subito! Intanto fatela calmare, la bimba deve nascere in modo sano, chiaro?!».

«Ma Laurence è svenuto e non so che fare... Manu? Manu?!», chiamò disperato Giovanni, ma dall'altra parte della linea non arrivò risposta.

Emanuele aveva già lasciato il telefono sul tavolino, scappando via per l'emergenza. In pochi secondi aveva raccolto asciugamani, coperte e tutto il necessario, poi si era precipitato in auto diretto alla casa dei Creedi.

Nel frattempo, Amber era sconvolta dalle contrazioni, il dolore la consumava, il sudore le imperlava la fronte e il respiro era spezzato. Il tempo stringeva, bisognava intervenire subito.

Giovanni sudava a sua volta, la sua camicia bianca divenne trasparente, «Signora, la prego, si calmi! Ora arriva il mio amico che se ne intende molto più di me, resista...», disse alla donna-angelo, cercando di tranquillizzarla, nonostante fosse incerto.

Amber strinse i denti e lo fissò con occhi pieni di dolore e rabbia.

«Quindi tu ti porti a letto mio marito, eh?», sibilò tra respiri affannosi.

Giovanni sgranò gli occhi. «Le sembra il momento di parlare di questo?!».

In quel preciso istante, Emanuele arrivò, bussò forte alla porta e Giovanni, senza perdere tempo, corse ad aprire.

Emanuele entrò e si avvicinò ad Amber con la calma di chi sapeva perfettamente cosa fare, «Ora me ne occupo io...», disse e si inginocchiò accanto a lei, poi posò le mani sulle sue ginocchia.

«Allora, Amber, ascoltami bene: spingi più forte che puoi. Quando ti dirò di smettere, dovrai fermarti immediatamente, d'accordo?».

L'angelo annuì, con le lacrime agli occhi.

Emanuele inspirò profondamente, «Adesso! Spingi!».

Amber urlò peggio degli ululati dei lupi con la luna piena, poi chiuse gli occhi, li riaprì e vide la bimba era tra le braccia dell'uomo dal petto peloso.

«Ragazzi la bimba è nata. Guardate che faccina tenera che ha, ciao Olivia», disse Emanuele sorridendo, poi anche la bimba sorrise stringendo gli occhietti e toccando le dita delle grosse mani dell'uomo. Fu quel momento in cui Laurence si svegliò.

«Oh fiamme, che è successo?».

«Tua figlia è nata, Laurence», gli rispose Emanuele.

«Non c'è la faccio».

Laurence svenne di nuovo tra le braccia di Giovanni ed Emanuele li guardò storto, entrambi. 

«Ti piace stare tra le mie braccia, eh?», sussurrò Giovanni nell'orecchio del demone.

«Adesso laviamo la bimba e lasciamo che Amber riposi, i parti degli angeli sono simili a quelli dei supereroi solo per il fatto che dopo il parto chi li mette alla luce ha bisogno di almeno qualche ora di risposo e dormire un po'», spiegò Emanuele, adagiando una coperta sulla ferita dopo averla cucita e sistemata sulla zona addominale della donna-angelo.

Dopodiché si diresse nel bagno e lavò la bimba nella vasca.

Laurence riprese conoscenza e Giovanni gli sorrise, ma poi si scostò rapidamente dal suo abbraccio, mettendo subito distanza tra loro mentre si aggiustava nervosamente i vestiti.

Amber, nel frattempo, si addormentò, esausta dallo sforzo.

«Dov'è mia figlia?», chiese Laurence.

Emanuele uscì dal bagno in quel momento, con un asciugamano poggiato su una spalla e la neonata stretta tra le braccia, avvolta in una coperta morbida. Gli sorrise.

«Eccola qui. La vuoi prendere in braccio?».

Il demone annuì senza pensarci due volte e, con delicatezza prese la piccola tra le mani.

Olivia era un batuffolo di calore e meraviglia. Aveva i capelli rossi del padre, gli occhi chiari e profondi della madre, e un'espressione birichina che già prometteva guai. Quando sorrise, Laurence sentì qualcosa dentro di lui spezzarsi e, senza riuscire a trattenersi, lasciò scendere qualche lacrima sulle guance.

Baciò la fronte della bimba e la strinse a sé, poi sussurrò, «Benvenuta tra noi, Oly».

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