Capitolo 16 - Al Burger King.
Quando Giovanni, Laurence e i due bambini arrivarono al locale, l'uomo dai capelli bronzei parcheggiò vicino all'ingresso, porse altre due mascherine ai piccoli e li fece scendere dall'auto. Laurence li seguì, ma appena posò lo sguardo sul menu esposto sulla vetrata, spalancò gli occhi, così come i suoi figli. Il cibo spazzatura li chiamavano, e lo stomaco del demone brontolò solo a sentire l'odore irresistibile di cipolla e carne alla griglia.
Giovanni fu l'ultimo a scendere dal veicolo e, vedendo i tre fermi davanti alla vetrina quasi in adorazione, scoppiò a ridere. Laurence, senza pensarci troppo, gli mollò uno schiaffo sulla nuca.
«Che ridi? Ho una fame demoniaca... Ma hai visto i prezzi? Un menu con bibita e patatine costa tredici euro. Per due sono ventisei, solo per i miei figli!», borbottò, sconvolto.
Scosse la testa, tirò fuori il portafoglio e controllò le banconote, «E poi, con il cambio sterlina-euro, ci sto pure rimettendo. Maledetto tasso di conversione!», sbuffò dopo, «A Londra con questi soldi ci pagavo quasi un pasto completo in un ristorante decente».
Giovanni scrollò le spalle, «Dai, hai detto che la tua fame è demoniaca...».
Laurence sospirò, arrendendosi, «Va bene, farò un'eccezione. Per loro».
Giovanni sogghignò, «Bene. Credo di aver convinto quasi un'intera famiglia, allora. E ora, mascherina su, mi raccomando. Demone o no, devi metterla. Sono le regole... e io non sono mai stato ripreso per averne infranta una. Quindi, come ho già detto, stai a cuccia, bimbo cattivo».
Laurence sbuffò, infastidito, «Come se tu potessi comandarmi...».
Giovanni si limitò a ridere e, senza aggiungere altro, varcò la soglia del locale, seguito dagli altri.
Appena entrarono, furono subito fermati da un cameriere, «Signori, prima di accomodarvi devo controllare la vostra temperatura».
Puntò la pistola-termometro prima contro la fronte di Giovanni, poi su quelle dei due bambini. Infine, toccò a Laurence. Appena lo strumento registrò la sua temperatura, il cameriere lo fissò con sospetto: era troppo alta per essere normale. Dopotutto, Laurence era un demone venuto dall'Inferno, caldo come cento pentole sul fuoco.
Il dipendente del locale aggrottò la fronte e, senza pensarci troppo, lo spinse leggermente all'indietro, sbarrandogli l'ingresso, «Mi dispiace, ma non posso farla entrare».
Laurence strinse i denti, trattenendo un ringhio. Stava per ribattere, ma Giovanni intervenne subito, piazzandoglisi davanti e convincendolo a lasciar perdere con una dialettica impeccabile, assicurandogli che non c'era nulla di cui preoccuparsi.
Alla fine, i quattro riuscirono a entrare e si sedettero al primo tavolo libero.
Laurence incrociò le braccia e fissò Giovanni con un sorrisetto ironico, «Arte delle parole, eh? Mi complimento», accennò poi un inchino teatrale prima di sedersi di fronte a lui, con i figli ai lati.
Non appena si guardò intorno, notò l'assenza del menu cartaceo e sbuffò, «Perdona la mia ignoranza, ma senza menu cartacei come ordiniamo?».
Giovanni scoppiò a ridere, «Il menu cartaceo? Sei matto? Quello passa di mano in mano, è contro le norme del virus. Lorenz, ti sfugge quanto siamo vulnerabili noi poveri esseri umani? Comportati come tale o giuro che la prossima volta non chiuderò più un occhio sulla temperatura infernale del tuo dannato corpo».
Laurence trattenne un ghigno, «Vacci piano, erudito. Con me non si scherza».
Giovanni si sporse leggermente in avanti, «Nemmeno con me, sai... Noi umani potremmo ammalarci di coronavirus, quindi dobbiamo ancora rispettare certe norme: indossare le mascherine, lavarci le mani, mantenere la distanza... fa tutto parte della nostra routine quotidiana».
Laurence sbuffò, poggiando un gomito sul tavolo, «Tutta questa prudenza per uno stupido virus... Quanto siete fragili», fece roteare gli occhi, poi incrociò le braccia al petto, «E ora dovrei ordinare senza nemmeno sfogliare un menu? Assurdo».
Giovanni ridacchiò e scrollò le spalle, «Benvenuto nel mondo degli esseri umani, caro mio. Se vuoi, puoi sempre alzarti e leggere il tabellone dietro al bancone».
Laurence lanciò un'occhiata scettica in quella direzione. Il pannello luminoso mostrava immagini dei panini e delle varie opzioni disponibili, ma la distanza e l'angolazione non gli permettevano di leggerlo chiaramente, «Io devo alzarmi per consultare un menu, è ridicolo».
Giovanni sospirò, «Dai, non fare il difficile. Alla fine i panini sono sempre gli stessi», disse, allungando la mano per prendere il cellulare dalla tasca, «Se vuoi, ti cerco il menu online».
«Lascia stare. Ordinerò a caso», sbottò il demone.
Mentre i due continuavano a discutere, un cameriere si avvicinò al loro tavolo con il taccuino in mano e la mascherina sul viso, «Buonasera, signori. Cosa posso portarvi?».
«Due menu per i miei figli, una birra e un panino per me, uno buono, faccia lei», disse Laurence.
«Per me un menu con il Triplo Burger, una birra e una porzione di nuggets», ordinò Giovanni.
Il cameriere annotò le ordinazioni, poi accennò un leggero inchino in segno di congedo e si allontanò verso la cucina.
Laurence appoggiò il mento sul palmo della mano, sognando a occhi aperti di affondare finalmente i denti in quel panino e placare la sua fame. Quel pensiero lo fece vagare così tanto che non si accorse di Giovanni, il quale, con un sorrisetto divertito, gli sollevò il mento con due dita, pulendogli con il pollice un filo di bava sfuggito dalle labbra.
«La fame ti fa viaggiare in altri mondi, signor Creedi Laurence?», lo provocò.
Laurence raddrizzò subito la testa proprio mentre il cameriere posava le bevande sul tavolo.
«Troppa confidenza. Ho solo fame», borbottò, riempiendo il bicchiere di birra, e bevendo un sorso, poi cambiò espressione, tornando serio, «Dimmi piuttosto di quell'uomo alla reception della vostra agenzia... Come fa a sapere di me e mia moglie? Non mi fido molto di lui. Dice di sapere, proprio come te, ma in realtà, se devo essere sincero, non mi fiderei nemmeno di te».
Giovanni notò lo sguardo scuro del demone e cercò di non fissarlo troppo a lungo. C'era qualcosa di ipnotico in quegli occhi, così diversi da quelli di un comune demone, e questo lo incuriosiva più di quanto volesse ammettere.
«Nerd. Conosci questa parola, demone diffidente?», domandò, stuzzicandolo.
Laurence si limitò a guardarlo con aria scettica, così Giovanni continuò.
«Eravamo amici ai tempi dell'università, io, Franco e Manu. Ciò che ci accomunava era la passione per il soprannaturale. Poteri, creature leggendarie, fumetti un po' meno, ma i videogiochi parecchio. Abbiamo sempre saputo che voi esistete. Beh, forse Franco un po' meno... lui è rimasto in bilico tra il credere e il non credere».
Fece una breve pausa, poi, con un guizzo malizioso nello sguardo, aggiunse, «E ti dirò di più: ho studiato altro sui demoni e angeli per conto mio e saprei anche come far partorire tua moglie. Se non ti sembra un'invasione della privacy, ovviamente. Intendo solo dire che forse sarei capace di metterti al tappeto», disse, ammiccando.
Laurence, però, non sembrava condividere il suo umorismo. Le sue labbra si curvarono in un'espressione pericolosamente contrariata.
Giovanni ignorò la tensione crescente e, dopo aver mandato giù un sorso della sua birra, proseguì con noncuranza, «E non solo. Demoni, angeli, lupi mannari, vampiri... io e Manu sappiamo tutto».
«Manu? È lui che portava le valigie? Giuro che, sentendolo così spedito nel darci il benvenuto e augurarci buona fortuna per il parto, ho quasi perso le staffe», sbottò, cercando di scherzarci su, ma non gli sfuggì un leggero ringhio.
«Io lo chiamo l'effetto-Manu. È fatto così, esuberante, ma non è pericoloso. Anzi, è spiritoso e adora scherzare... A volte vorrei essere anch'io come lui», lamentò, perdendosi per un secondo nei suoi pensieri, poi sospirò, «Devo essere sincero, però: la principale fonte del mio stress è mia moglie. Vuole sempre attenzioni, e quelle che le do non bastano mai. Se poi ci aggiungi mia suocera... sfioriamo la tragedia».
Laurence sorrise appena, «Sembra che entrambi siamo in cerca di un po' di relax e divertimento, Giovanni. Quindi, potremmo uscire più spesso, se ti va. Mi sembri un uomo a posto. E fidati, raramente sono così sincero davanti agli esseri umani».
Giovanni lo osservò con un guizzo divertito negli occhi, «Sorprendente».
Laurence si strofinò il mento e fece scorrere lo sguardo nero attorno a sé, finché non si soffermò sui primi panini che il cameriere portò: i due menù per bambini. Erano enormi, proprio come nelle foto esposte fuori, e dall'odore sembravano anche dannatamente invitanti.
Tim e Vincent esultarono, affondando subito i denti nel pane soffice, mentre il padre li osservava in modo inquietante, perso nell'estasi del peccato di gola. Senza accorgersene, si ritrovò a sbavare di nuovo.
Giovanni lo notò e, per la seconda volta, gli passò il pollice sotto il mento, stavolta così lentamente da percepire ogni dettaglio della sua pelle, sorprendentemente liscia al tatto.
«Che diavolo fai?!», sbottò Laurence, sgranando gli occhi.
«Stavi sbavando di nuovo, creatura famelica...», ridacchiò Giovanni, «Vedo che la tua pazienza è agli sgoccioli, ma i nostri panini dovrebbero arrivare a momenti. Nel frattempo, lascia che i tuoi figli mangino in pace. Almeno così smettono di darti il tormento, no?».
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