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2 MAT

Non so perché ho accettato di uscire, di solito il lunedì non lo faccio mai. Devo riprendermi dall'inizio settimana.

Ho lavorato fino all'ora di cena, stasera, e starei volentieri sul divano a bere birra e guardare Top Gear.

Invece quando Botte mi ha mandato l'sms chiedendomi di trovarci a bere un caffè, ho detto sì senza pensare. Non mi piace neanche il caffè. Per lo meno non quello italiano. Lo so che è un vanto nazionale eccetera eccetera, ma per me è troppo forte. Il beverone che bevevo a casa: quello era caffè. Ma qui al massimo puoi mettere un cucchiaino di solubile nella tazza e aggiungere acqua calda. Ho dovuto abituarmi ed è diventato la mia colazione quotidiana, insieme al pane bianco col burro.

La cosa più difficile quando sono arrivato qua, è stata quella di abituarmi al modo di mangiare. Gli italiani hanno regole completamente differenti. La dieta mediterranea è famosa in tutto il mondo, ma è uno stile di vita e se non ci sei abituato, può essere difficile. Sono dimagrito sei chili solo nella mia prima estate italiana. Piano piano mi sono stabilizzato. Quando sono arrivato conoscevo la lingua, perché mamma me l'ha insegnata, ma da quando papà è andato via in casa non la parlavamo più, quindi potevo esercitarmi solo ai corsi pomeridiani che offriva la mia scuola. Non conoscevo nessuno e non m'interessava conoscere nessuno. Passavo il tempo libero dal lavoro facendo jogging ed esercizi al parco. Se mi vedesse mia madre adesso, non mi riconoscerebbe. Sono proprio figo! E non lo dico io, me lo confermano tutte le ragazze che sbavano per me. Sì, ok, forse sono esagerato. Però è vero che non ho difficoltà a fare conquiste. Da quando mi sono trovato la compagnia e ho cominciato a uscire e frequentare locali, non sono mai stato solo. Roba di poca importanza, lo ammetto, non sono un ragazzo serio. Non voglio esserlo, non m'interessa, non ancora. Magari un giorno, forse.

Mi vibra il telefono nella tasca dei pantaloni.

"Sono qui", scrive Botte. Ok, tanto piacere. Che moda è di mandare tremila sms per avvisare la gente di ogni spostamento? Quando ero a casa mia, non c'era neanche bisogno di sentirli i miei amici. C'era un bar, sempre il solito, e se volevi trovarli bastava che andavi lì. Due chiacchiere, un paio di birre, e il gioco era fatto. Invece qua, se non si arriva tutti insieme mano per mano non si muove nessuno.

«Pa' io esco» urlo affacciandomi in salotto. Il vecchio sta già russando con la pancia scoperta e un dito nell'ombelico. Bella posizione, spero sia anche comoda.

M'infilo in macchina e accendo a tutto volume la musica. Ho impostato un impianto da paura e mi piace un sacco girare per il paese facendo vibrare i capelli in testa alle signore scandalizzate che mi chiamano delinquente.

Non sono mai stato in questo locale. Onestamente non credevo neanche esistessero locali in questo buco di paesino sperduto. Insomma, ci sono i bar, ci sono cinque banche, paese ricco di soldi ma povero di vita. Parcheggio nello spiazzo esterno, secondo le indicazioni che mi ha dato Botte, e mi guardo intorno. "La Piuma Blu", cita l'insegna. Sì, ok, è questo.

È una costruzione verdognola, per quanto la poca luce mi consenta di vedere. Ci sono delle lanterne appese fuori alle finestre. Una tettoia frontale, ora deserta, ma che immagino serva per metterci i tavolini d'estate. Non si sente musica, non si vede movimento. Forse perché è lunedì.

Finisco in tutta calma la mia sigaretta. Può aspettare altri cinque minuti. Due veterani di guerra mi passano a fianco, curvi sotto i loro anni, e mi guardano storto. Ma che volete? Andate a prendere il vostro carro armato parcheggiato e sparite! Che ci fanno due come loro qua? Non faccio in tempo a finire di pensarlo che la porta si apre di nuovo ed esce un altro gruppetto di coetanei. Guardo l'orologio: le non sono neanche le dieci e mezza. Forse hanno fatto la riunione degli alpini? Forse in questo posto ci sono sale per le cerimonie o simili.

Quando la porta si apre per la terza volta, sento una risata squillante, limpida. Subito mi si drizzano le orecchie sulla testa e mi si dilatano le pupille. Mi sposto di qualche passo, così da avere la piena visuale del locale dai finestroni e vedo Botte al bancone che chiacchiera beato con una ragazza. E che ragazza! Per un istante mi sento inebetito. Mi sembra di non essere molto stabile sulle gambe. Improvvisamente la sigaretta mi fa schifo e la butto via. Ho la bocca impastata, appiccicata. Chi diavolo è quella? Da dove viene? Spero non dalla mia fantasia.

Rimango non so quanto tempo imbambolato a fissare la scenetta, fino a quando mi rendo conto di essere parte attiva nella situazione e che posso entrare. Varco la soglia e tutto scompare. Non me ne frega più niente se è lunedì sera ed io ho avuto una giornata pessima al lavoro; non me ne frega se il posto è frequentato dagli amici del soldato Ryan; non m'interessa se il caffè italiano mi fa schifo. Quando lei volta la testa e i suoi occhi incontrano i miei, capisco che sono completamente fregato.

«Oh, eccoti qui» esclama Botte, dandomi una pacca sulla spalla. Io non rispondo. Non posso farlo, ho dimenticato come si fa. «Stavamo ammazzando il tempo intanto che arrivavi» continua lui. Taci! Non vedi che non sono in grado di capirti?

«Adesso posso fare i due caffè?» chiede lei. Il modo in cui sorride mi scioglie il sangue. Annuisco in automatico e mi porto vicino al bancone. Mi ci appoggio, quasi mi ci aggrappo. Ancora di salvezza. Lei traffica un po' di spalle e poi ci presenta due tazzine colorate e rimane lì di fronte a noi. Prendo la mia e comincio a soffiare. E continuo a soffiare, guardando un punto indefinito dell'ignoto che mi circonda.

«Allora ci sei venerdì?» credo mi stia chiedendo Botte.

«Dove?»

«Al compleanno di Mirko» ah già, il compleanno.

«Sì, certo» annuisco.

«Molto bene, allora magari ci organizziamo per andarci insieme»

«Mi piace essere autonomo. Credo che ci troveremo direttamente là» rispondo, con ancora la tazzina a mezz'aria. Lui non sembra molto contento, ma non dice niente.

«Non ti piace?». Mi volto e vedo lei che mi fissa. Sta parlando con me? «Il caffè», indica con la testa, «non sei ancora riuscito a berlo». Per tutta risposta lo mando giù in un fiato. Lei ride. Di nuovo quella risata. «Lo so che il caffè non è granché qui. Il problema e che la macchinetta rimane accesa giorno e notte e quindi ha un retrogusto amaro e bruciato. Però di solito non si lamentano»

«Che posto è questo?» chiedo, girando la testa.

«Il centro anziani» mi risponde lei. Guardo Botte come se gli fosse spuntata la seconda testa. Il centro anziani? Ma dove cavolo mi hai trascinato? Ma che diavolo di posti frequenti? Se mi avesse detto "ci troviamo al centro anziani a bere il caffè" gli avrei riso in faccia. Però, che belle bariste che hanno al centro anziani. Hai capito 'sti vecchietti? La guardo di traverso. Lei sta armeggiando con la lavastoviglie e non mi vede.

«Comunque mi chiamo Mat» dico allungando una mano. Lei si volta e mi porge la sua, con lo strofinaccio nell'altra.

«Piacere, Mat. Io sono Ele» non c'è traccia di smalto sulle sue unghie.

Quando usciamo e ci incamminiamo al parcheggio, il mio cuore rallenta i battiti e sento che sto ricominciando a respirare normalmente. Mi accendo una sigaretta e aspiro profondamente.

«Chi è quella?» chiedo, senza tanti giri di parole.

«Si chiama Eleonora, abita qua. La conosco da qualche anno perché tempo fa uscivamo nella stessa compagnia. È una tipa sulla sue. Un po' strana»

«Strana che vuol dire?»

«Come te lo spiego, amico? Non esce mai, è sempre a casa a studiare. Fa l'università ma non chiedermi cosa o dove, perché non ne ho la più pallida idea. Ha sempre una parola gentile per tutti, regala sorrisi, però non parla mai di sé. È una tipa tranquilla, comunque» non rispondo. Forse è per quello che non l'ho mai vista in giro. Anche io abito qua, tutti abitiamo qua. Eppure non l'ho mai vista. Altra gente, altri giri. Di certo i miei non sono i suoi, a quanto ho capito.

«Ma sai dove abita?»

«In fondo alla tua via, la casa all'angolo» sgrano gli occhi. Ci saranno duecento metri tra casa mia e casa sua. Passo da lì almeno due o tre volte al giorno, per andare in paese. Perché non l'ho mai vista?

«Perché tutte queste domande? Ti piace?»

«Non credo sia il mio tipo» minimizzo.

«Non lo credo neanche io. Una come lei con uno come te proprio non ce la vedo. Non per te, per lei. Perché rovinarla?»

«Ti ringrazio»

«Dai amico, ti conosco. La butteresti via dopo due uscite e perché farla soffrire? Non è quel tipo. Le ragazze che frequenti tu sono tutte tette e culo, ma dentro non c'è niente. Ele è diversa: lasciala stare»

Questo mi da un po' fastidio. Mi pizzica. Insomma non sono mica un mostro. Sembra che io sia uno spezza cuori seriale. Non esco mai così tanto con una ragazza da arrivare al cuore, di solito mi fermo sempre un po' più giù, quindi come glielo spezzo? Botte si avvicina alla sua macchina e apre la portiera.

«E comunque è una causa persa in partenza». Perché? La mia faccia probabilmente ha assunto quest'espressione «Ha il ragazzo tipo da una vita, forse dieci anni»

Dieci anni? Ma cos'è, uno scherzo?

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