1. Come una favola
"A volte quando chiudo gli occhi
faccio finta di stare bene
ma non è mai abbastanza
perché il mio eco
è l'unica voce che ritorna ..."
I timidi raggi di un sole ancora invernale coloravano le pareti della piccola palestra.
Gli specchi riflettevano una figura leggiadra che si muoveva fluttuando nello spazio; le mani accompagnavano eleganti le note che risuonavano nella sala attraverso le casse dello stereo, le gambe si muovevano agili e scattanti, ma mantenendo sempre la dolcezza tipica di Sofia.
I capelli biondi legati da uno chignon di fortuna, mettevano in evidenza il viso di porcellana e labbra rosse e carnose, simili ad una fragola matura d'estate.
Come ogni mattina si trovava nella palestra dove si allenava da quando era solamente una bambina. Ricordi indelebili affollarono la sua mente; le sue prime punte regalo della mamma, il suo primo saggio, gli applausi, il provino... Quel maledetto provino
Lasciò che le lacrime scendessero libere lungo la sua guancia fino a sentirne il sapore salato sulle labbra. La sala era l'unico luogo dove poter dare sfogo a tutti quei sentimenti che si dibattevano nel suo cuore; rabbia e disperazione erano liberi di emergere a discapito della felicità e della dolcezza che indossava nella vita di tutti i giorni.
Un sorriso messo come scudo per proteggersi dal mondo crudele che le aveva portato via il suo tesoro più prezioso... La sua mamma.
Amava vedere l'alba dalle finestre di quel vecchio palazzo, il calore dei raggi solari sembravano riscaldare la stanza dandole l'impressione di poter scaldare anche il suo cuore.
Da quando aveva perso sua madre, si era rifugiata nei libri che tanto amava leggere insieme a lei; quelle che preferiva erano favole dove il principe azzurro salvava la principessa dal grande drago cattivo.
Chissà se mai ci sarà un principe che affronti mille difficoltà solo per liberarmi dalla mia gabbia dorata.
Se Elettra avesse sentito questi discorsi l'avrebbe presa in giro a vita per poi ricordarle che nessuno fa niente per niente e che l'unica in grado di poter spezzare le sue catene era unicamente lei stessa.
Scosse la testa energicamente cercando di eliminare la parole della sua migliore amica e concentrandosi di nuovo sulla voce calda e malinconica del cantante. Ogni volta che ascoltava quella canzone, che ballava su quella melodia il cuore batteva frenetico sul suo petto, i brividi percorrevano la sua schiena ed il respiro diventava corto, quasi spezzato.
Ancora non riusciva a capire come una semplice canzone potesse comprendere i suoi reali sentimenti.
« La magia della musica» sussurrò tra le labbra, ricordandosi quella frase che la rossa le ripeteva da quando erano piccole.
La musica aveva sempre fatto parte della sua vita, prima con sua madre, poi con quell'uragano che aveva per migliore amica.
Si può essere così diverse, ma allo stesso tempo così simili da non riuscire più a sciogliere quelle mani intrecciate da un giuramento fatto con delle pietre appuntite e una lacrima scesa dai loro occhi così puri e chiari. « sorelle per la vita» si osservò la piccola cicatrice sul palmo destro della mano e un piccolo sorriso nacque dalla sua labbra.
Come un richiamo naturale la bionda volse il capo verso le grandi vetrate che davano sulla strada incontrando uno sguardo profondo e glaciale al di là della strada.
Un ragazzo avrà avuto più o meno la sua età forse di qualche anno più grande la stava osservando mentre faceva passare la lingua sulla cartina della sigaretta appena fatta.
Non lo aveva mai visto da quelle parti e soprattutto non c'era mai nessuno a quell'ora a parte lei e il custode del palazzo; chissà da dove veniva. Non poteva negarlo quegli occhi, quel colore così simile al suo, ma così profondamente diverso le stavano dando alla testa non era mai stata guardata in quel modo e quel ghigno sul suo volto non migliorarono di certo la situazione ma anzi la fecero arrossire come una scolaretta. Sentiva le sue guance scottare come tizzoni ardenti, ma non riusciva a distogliere lo sguardo dal suo, come una calamita la attirava a sé, pretendendo la sua totale attenzione.
Improvvisamente quel gioco di sguardi si interruppe a causa del fumo della sigaretta appena accesa dal ragazzo, Sofia ancora intrappolata in quel mare in tempesta fece un passo avanti appoggiando la mano sul vetro, mentre il moro distoglieva lo sguardo dai quei due pezzi di cielo rispondendo al cellulare con un imprecazione poco velata, sbuffando si diresse verso il luogo da dove era venuto, lasciando la bionda con un grande punto interrogativo nella testa... Chi sei?
****
Il sole entrava prepotentemente dalle imposte andando a finire sugli occhi chiusi del ragazzo che dormiva beatamente avvolto tra calde e candide lenzuola. Nella camera risuonò la sveglia impostata sul suo cellulare e subito il suono assordante e preciso svegliò il moro. Una mano sbucò cercando di spegnere quell'aggeggio infernale tra le prime imprecazioni della giornata.
Diego sbuffando peggio della caffettiera sul fuoco si alzò scostando le pesanti coperte e dirigendosi successivamente verso la doccia. L'acqua calda scorreva lungo il suo corpo mentre pensieri contrastanti affollavano la sua mente.
Doveva controllare che gli affari andassero bene, dimostrando al padre di Emanuele che era in gamba e che poteva assegnargli un ruolo maggiore,
ma in cuor suo sapeva che quella strada non lo avrebbe portato da nessuna parte, perché purtroppo difficilmente si poteva tornare indietro; ormai faceva parte del Sistema.
«Buongiorno! Come stanno andando gli affari qui?» Diego era appena arrivato nella sua piazza, si tolse il casco integrale e ancora in sella alla sua moto richiamò uno dei suoi scagnozzi.
«Diego purtroppo per ora abbiamo guadagnato solamente 20 mila euro» quello scattò in piedi come una molla sentendo la voce roca del suo capo. Si avvicinò lentamente schiarendosi la voce preoccupato e spaventato dalla possibile reazione dell'erede di una delle famiglie più importanti di Napoli.
«Solo 20 mila?!, Ragazzi ma stiamo giocando per caso?! A me non me ne frega un cazzo delle vostre patetiche scuse!» inchiodò tutti i suoi sottoposti con i suoi occhi freddi e cinici come il mare d'inverno, freddo e letale. « Vedete di sistemare questo problema, altrimenti sono cazzi vostri!» ghignò in modo sinistro facendo brillare la scintilla di pazzia nelle sue iridi mentre i suoi fedelissimi facevano un passo indietro spaventati dalla vena ingrossata sul suo collo, segno che si stava innervosendo e anche parecchio.
Diego era preoccupato che gli affari andassero a rotoli e che don Salvatore e suo padre potessero dargli una delle loro famose "lezioni di vita" .
Dopo quella piccola sfuriata decise di andare a farsi una bella passeggiata, giusto per distrarsi un pò da tutti quei brutti pensieri che vagavano per la sua mente. Camminando sul grande viale costellato di alberi senza foglie notò all'improvviso una grande vetrata e all'interno di quella sala i suoi occhi si incatenarono a quelli di una ragazza bellissima che stava ballando. I suoi occhi azzurri erano così diversi dai suoi, poteva notare la purezza e la trasparenza come il cielo azzurro d'estate, i capelli biondi la facevano assomigliare ad un angelo sceso in terra.
Il moro rimase davvero scioccato dalla sua figura lasciandosi trasportare dalle sue movenze leggiadre.
Ma quanto è bella...
Occhi chiari e capelli biondi... Davvero la ragazza perfetta...
Come sarebbe bello averla al mio fianco, ma la farei solamente soffrire per colpa di questa vita che faccio ...
I due ragazzi si fissarono entrambi per qualche secondo, ma Diego subito si riprese da quel pensiero e andando via. Quello sguardo tra loro due durò per un istante, ma per loro quell'attimo sembrava essere eterno.
****
La città scorreva frenetica attraverso i vetri del bus e la musica unica compagna degna di nota risuonava attraverso le sue cuffie.
Gli occhi verdi si soffermavano pigri sulle persone che iniziavano la giornata, i commercianti alzavano le serrande, l'odore di caffè e brioches calde profumavano le strade facendola sorridere spontaneamente.
Amava quell'odore forte e deciso capace di risvegliarle l'animo e stava già pregustando la sua colazione assieme ad uno dei suoi amati libri.
A risvegliarla dai suoi sogni culinari ci pensò il suono acuto della sua fermata. Di fretta raccolse la sua borsa e scese; davanti a lei il solito viale si estendeva imperioso conducendola ad uno dei più belli spettacoli che la sua amata Napoli offriva.
Piazza del Plebiscito comparve davanti a sè facendole brillare gli occhi e togliere il fiato come ogni volta; quanti ricordi felici che le corsero nella mente, ma li scacciò prepotentemente quando spostò il suo sguardo verso l'edificio della prefettura.
Gli iridi di un verde così chiaro divennero scuri quasi rispecchiassero il suo stato d'animo, ma durò solo pochissimi secondi perché il suono della campane le ricordò ancora una volta il suo ritardo facendole aumentare il passo verso la biblioteca più antica della sua città.
Elettra varcò il portone della biblioteca, cercando di ricomporsi, ma i lunghi capelli rossi non volevano saperne, i boccoli ricadevano ribelli lungo la sua schiena, incorniciando il viso accaldato per la corsa.
Correndo fece la solita rampa di scale per poi entrare con la sua solita "eleganza" all'interno dell'aula studio facendo voltare i pochi studenti che la occupavano, mentre la sua collega già ridacchiava quando il loro supervisore scosse la testa rassegnato ai suoi ritardi.
« Russo! Mi faccia indovinare...La sveglia non è suonata nemmeno stavolta? Oppure è stata rapita dagli alieni questa volta?» si tolse gli occhiali da vista e si portò l'indice e pollice a stringersi il naso, cercando di alleviare il mal di testa che stava sopraggiungendo. Quella benedetta ragazza l'avrebbe mandato al manicomio un giorno di questi, ne era sicuro.
« Veramente...» cercò una scusa plausibile, ma la sua testa era piena di versi di Eminem e non le sembrava proprio il caso mettersi a rappare in mezzo a secoli di storia e libri polverosi.
« Ma mi sta ascoltando?! Ma santa ragazza, lei deve ringraziare suo padre se può lavorare ancora qui dentro!» un toro inferocito non era niente in confronto al suo supervisore; non le era mai piaciuta questo era palese, dalla prima volta che aveva messo piede li dentro combinando catastrofi una dietro l'altra. Ah quanto gli costava questo favore, ma non poteva dire di no ad uno dei suoi migliori amici anche se la figlia era il diavolo in persona.
«Non devo essere io a ricordarle Signore, che in biblioteca è vietato urlare...» un ghigno degno del miglior Joker si delineò sul suo viso angelico. I suoi occhi glaciali lo trafissero facendolo sobbalzare sul posto.
Odiava venir accostata a quell'uomo, sempre e solo lui... La sua ombra, il suo modo autoritario le comparvero davanti al volto provocandole la solita sensazione di soffocamento; solo una cosa sarebbe stata in grado di farla tornare a respirare, ma al momento non era possibile raggiungerla. « se ha finito il suo monologo, io andrei a lavorare.» lo sorpassò appoggiando il suo giaccone nell' attaccapanni mentre il ghigno si allargava ascoltando le varie imprecazioni che fuoriuscivano dalla bocca dell'uomo.
« Non devo ricordarle io che in biblioteca non si urla...» Vanessa la scimmiottò scoppiando subito dopo a ridere, aveva trattenuto il riso fino a farsi venire le lacrime agli occhi. « se non hai l'ultima parola non sei contenta Ele!» le allungò una tazzina di caffè fumante, nascosta all'arrivo del tiranno.
« Ah senza di me, la sua vita sarebbe così monotona! Almeno gli diamo qualche brio prima di tornare a casa dalla madre!» socchiuse gli occhi, soffiando delicatamente sul caffè, riscoprendo quell'aroma che amava, mentre la risata argentina della sua collega si espandeva tra le mure della biblioteca facendo girare i primi studenti che affollavano quel luogo.
« Attenta a non rovesciarti il caffè, se no chi lo sente poi quello!....Che abbiamo da fare collega?» sorrise sedendosi sulla sedia girevole appoggiando la tazzina sulla scrivania in noce e alzando gli occhi al cielo già stanca di quel posto e di quei libri, immaginando muri bianchi come tele e bombolette per colorare il grigiore di una vita già decisa.
***
Uno splendido raggio di sole penetrava nella camera del ragazzo svegliandolo di botto; un'altra giornata drammatica stava iniziando.
Emanuele era nato in una delle più forti famiglie camorriste di Napoli, ma a lui questa cosa non piaceva affatto.
Voleva essere diverso dalla sua famiglia, non si sentiva per parte di quel Sistema, quella vita non gli piaceva affatto, ma suo padre insieme ai suoi scagnozzi erano sempre pronti a dargli fastidio.
Ogni giorno lo portavano con sé in una campagna abbandonata dove nessuno poteva sentirli perché cercavano di insegnargli come maneggiare una pistola, ma quella mattina il moro aveva una voglia matta di ribellarsi a quelle insulse leggi di sangue che vigevano all'interno del loro territorio.
«Basta! Non ce la faccio più! Mi fate schifo!» lasciò cadere a terra la pistola voltandosi con gli occhi inorriditi dalle parole appena pronunciate dai quelli uomini. Come potevano baciare la propria moglie e abbracciare i loro figli con quelle mani sporche del sangue di tante, troppe persone. « Io non appartengo a questa vita, io non sono come voi! Ma soprattutto non sono come mio padre! » si era voltato fronteggiandolo, occhi neri come la pece contro quelli verdi, nonostante tutto con una luce di speranza che li rendeva brillanti. « Io voglio essere qualcuno di importante nella mia vita. Lavorare onestamente e questo non mi permetterà mai di farlo» con un peso enorme dentro di sé e con le tante lacrime agli occhi che scendevano sul suo viso. Sognava da tanto di dire queste parole, ma suo padre non la prese per niente bene, voleva a tutti i costi che suo figlio intraprendesse la stessa strada che caratterizzava la sua famiglia da generazioni.
«Che schifo! Sei il disonore di questa famiglia! Finché sei sotto il tetto della mia casa tu devi fare quello che dico io!» si alzò dalla sedia sulla quale era seduto e con passi lenti raggiunse il figlio. «Ragazzi, già sapete cosa fare per farglielo capire» un ghignò malefico comparì sul suo volto facendo deglutire il ragazzo vistosamente.
Quel sorriso non prometteva niente di buono, infatti poco dopo il moro venne scortato all'interno della casetta dagli scagnozzi del padre. Non fece in tempo ad alzare la testa che subito sentì un dolore lanciante che gli mozzò il respiro. Da quel momento fu un susseguirsi di calci e pugni; purtroppo in quella famiglia funzionava così se non rispetti le regole allora vieni riempito di botte.
Passarono diverse ore da quel tragico momento ed Emanuele non tornò a casa. Prese la sua moto e si diresse nell'unico posto dove sapeva di trovare un po' di pace; il quartiere dove comandava il suo migliore amico. Diego si trovava seduto sulla panchina di pietra intento a parlare con il suo braccio destro. Appena lo vide arrivare, si alzò per andargli incontro. Purtroppo il moro lavorava per il padre di suo fratello; don Salvatore e una richiesta d'aiuto sarebbe stata inutile.
«Diego aiutami, io non ce la faccio più» le lacrime non accennavo a fermarsi bagnando i suoi zigomi gonfi e con già qualche livido.
«Ema, ma che cazzo è successo? Calmati però fra!» lo abbracciò stretto per cercare di rincuorarlo; era un fiume in piena e vederlo in quello strato gli strinse il cuore.
«Diego io mi sono rotto il cazzo! Io non appartengo a quella vita! ti prego mi devi aiutare» Emanuele ricambiò la stretta cercando un po' di coraggio tra le braccia del suo migliore amico.
«Emanuele, lo sai, mi dispiace ma non posso aiutarti! Io lavoro per tuo padre e se solo provassi a fare qualcosa sarei un uomo morto in meno di mezzo secondo» disse Diego molto dispiaciuto stringendosi nelle spalle triste per non essere riuscito ad aiutarlo.
«Vabbè Diego sapevo che non mi avresti capito e nemmeno aiutato, ma lo vuoi capire che questa vita non ti porta da nessuna parte? Me ne vado grazie lo stesso» il moro si alzò dalla panchina stizzito dalla sua cocciutaggine, inforcò il casco e si diresse alla sua moto; l'unica in grado di capirlo.
Emanuele ormai voleva cercare un rifugio dove stare più tranquillo, scacciando via tutti i brutti pensieri e decise di andare nella famosa biblioteca del centro storico di Napoli.
Appena arrivato a pizza del Plebiscito, respirò profondamente prima di aprire le grandi porte di legno scuro, ignaro che da li a poco avrebbe incontrato una persona che avrebbe stravolto i suoi piani e colorato la sua vita.
Angolo autori:
Buonasera,
Cercherò di essere breve lo prometto! Chi mi conosce, sa che non lo farò alla fine XD quindi bando alla danze e ciancio alle bande... ok faccio la seria
Iniziamo con la presentazione dei personaggi:
Sofia, dalle sembianze di angelo caduto, una ballerina senza più il fuoco dentro, spento a causa della scomparsa prematura della mamma.
Diego: un ragazzo del Sistema. Lavora per il boss locale, una promessa nel suo "lavoro" ma sarà sempre così?
Elettra: se Sofia è un angelo, direi che la nostra rossa può competere benissimo con Lucifero XD . Abbiamo intravisto il suo carattere forte, deciso e a tratti strafottente... Un muro di cemento, ma qualcosa mi dice che avrà dei begli scossoni ... ad opera chi? E chi lo sa ...
Emanuele: figlio del boss locale, ma diverso da tutta la sua famiglia, non vuole sottostare ad una vita già scritta. Il codice mafioso non fa per lui e le sta provando tutte per uscire da quella realtà.
Come sempre, ringraziamo chi dedicherà una parte di tempo per leggere la nostra storia e vi invitiamo ad esporci le vostre teorie e le vostre sensazioni.
Ps sotto vi mettiamo le foto dei protagonisti 🥰
Al prossimo capitolo.
Gli autori
Mari
FrancescoGranata07
Josefine Frida Pettersen aka Sofia
Alexander Hogh Andersen aka Diego
Matthew Daddario aka Emanuele
Elizabeth Gillies aka Elettra
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