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Capitolo XXXIX

Quel lunedì mattina, mentre procedevano schierati verso le scuole, avrebbero avuto molto da dirsi, ma rimasero in silenzio, camminando a passo svelto, ognuno immerso nei propri pensieri.

Properzio avrebbe potuto dire di quanto fossero state folli le ultime quarantotto ore, di come Cinzia lo avesse chiamato piangendo nel cuore della notte, di quanto sembrasse terrorizzata la sua voce mentre gli diceva: "So' ita dar ginecologo: so' 'ncinta". Avrebbe potuto raccontare di quanti siti aveva scrollato fino all'alba per leggere storie di ragazze-madri e padri così giovani da poter essere i fratelli dei propri figli, pur di avere una qualsiasi rassicurazione riguardo al suo futuro, pur di far tacere quella voce nella testa che gli ripeteva che la sua vita era finita. Ma non disse niente.

Virgilio avrebbe potuto sfogare la sua rabbia, buttare fuori tutto l'odio che suo padre gli aveva sputato in faccia la sera prima, quando era tornato a casa più tardi del solito, con il semplice scopo di trovarlo già a letto, per poi ritrovarlo ubriaco marcio e sveglio. Avrebbe potuto dire come gli avesse ricordato ancora una volta quanto fosse una delusione per lui averlo come figlio, avrebbe potuto raccontare dei ceffoni che gli aveva tirato, della cattiveria con cui lo aveva chiamato rottinculo, della luce demoniaca che gli brillava negli occhi mentre gli intimava di non rivedere mai più la persona che, in quel periodo, gli impediva di affondare. Ma non disse nulla.

Orazio avrebbe potuto condividere l'angoscia e il senso di colpa e vergogna che lo attanagliavano da quell'assurdo venerdì sera, da quando aveva confessato il suo amore e aveva baciato quello che per anni aveva considerato solo il suo migliore amico. Avrebbe potuto chiedere come avrebbe fatto a guardarlo di nuovo in faccia, come sarebbe andato avanti con quei "No!" che rimbombavano nella sua testa da giorni, come sarebbe sopravvissuto sapendo che non avrebbe più baciato quelle labbra che aveva agognato per troppo tempo. Avrebbe potuto scusarsi con lui per la sua avventatezza, per la sua ingordigia, per la sua sfacciataggine un po' patetica, per aver rovinato tutto quanto. Ma non disse niente.

Mecenate più di tutti avrebbe potuto dire molto. Avrebbe potuto lamentarsi di come quel bacio con Batillo lo cullasse nei sogni ogni notte, fino a quando le fragole cedevano il posto alla vodka e si ritrovava a sognare il suo migliore amico. Avrebbe potuto parlare della frustrazione che provava ad avere un cuore diviso in due e del senso di colpa che provava per aver sedotto in quel modo quel ragazzino e poi risvegliarsi eccitato da morire dopo aver incontrato Orazio nel suo inconscio. Avrebbe potuto urlare che non ne poteva più di quella confusione nella sua testa, che voleva scomparire nel nulla, che sperava solo che tutto quanto finisse il prima possibile. Ma non disse nulla.

Non servirono parole per organizzarsi: ognuno conosceva ormai bene il proprio compito e in quale piano dovesse sistemare i fanzine. Neppure servì che si mettessero d'accordo per rivedersi alle macchinette, non appena ebbero portato a termine la loro missione.

"Però così coprimo solo i cessi dei maschi" commentò Properzio un po' assonnato.

"Tanto girano lo stesso pure tra 'e femmone" rispose con aria stanca Virgilio, che aveva smesso di dormire decentemente e aveva iniziato a campare di teina e caffeina.

"Però 'n paio de numeri da 'e ragazze ce li potemo pure mette. Tanto ce tenemo Saffo" fece Orazio tenendo gli occhi fissi sulle macchinette per non incontrare quelli di una certa persona.

"Dopo ce parlemo, mo nun c'ho voglia" concluse Mecenate svogliatamente.

"Ehi, cojoni!" sibilò qualcuno alle loro spalle.

Nel suo strampalato splendore, con quel naso da snob e le guance piene di brufoli, Ovidio li stava osservando con disappunto.

"Cazzo vuoi?" chiese Orazio andando dritto al sodo con le mani che gli prudevano.

"Che nun me rompete li cojoni", rispose l'altro con arroganza, "Ce può sta' solo 'n giornalino 'n 'sta scola ed è er mio".

"Proprio nun puoi aspetta' che me finisca er caffé prima de scassamme er cazzo, ve'?" sbuffò Mecenate alzando gli occhi al cielo.

"Te ce strozzassi co' er caffé, frocio de merda!" ghignazzò Ovidio trasfottente.

"Mo nun sgrava', eh!" cominciò a scaldarsi Orazio, che si era parato istintivamente davanti al suo amato e sosteneva con fierezza lo sguardo di quel coglione.

"Se voi nun me rompete er cazzo, io nun ve rompo li cojoni de prima mattina: nun fa' 'na piega" sorrise con aria minacciosa il ragazzo.

"Noi famo come cazzo ce pare" disse timidamente Virgilio, pentendosi subito dopo di non essere stato zitto.

"Parthenias *, quinni pure te sai parla'? Credevo che l'uniche cose che sapessi fa' fossero scrive' cazzate sulle api e anna' ner panico quanno devi parla' 'n pubblico!" lo schernì divertito Ovidio.

"Aria, Naso', che oggi sto scoglionato e me prudono 'e mani" gli intimò Orazio facendo un passo in avanti.

"Che vuoi fa'? Me vuoi mena'?", lo stuzzicò spalancando le braccia, "Viecce! So' tutto tuo!".

Il ragazzone fece un altro passo in avanti, pronto a tirargli un bel pugno proprio su quel naso da snob.

"Ora', placate: manco se la merita tutta 'sta rabbia" cercò di calmarlo Mecenate posandogli istintivamente una mano sulla spalla.

Orazio guardò prima le dita candide del suo amato sulla felpa viola, poi quegli occhioni meravigliosamente tristi che lo fissavano un po' spaesati e un po' spaventati, essendosi resi conto di cosa avesse appena fatto colui che li sfoggiava.

"Ovidio, vatte a fa' scopa' da Corinna e stamo pace, no?" intervenne Properzio.

"Armeno io nun la metto 'ncinta" sorrise con cattiveria Ovidio.

Seguì un silenzio glaciale. Mecenate si voltò ad osservare con aria interrogativa il suo amico.

"Me l'ha detto 'sto weekend: è 'ncinta pe' davvero" ammise il ragazzo abbassando lo sguardo.

"E nun ce dici 'n cazzo?" domandò quasi rimproverandolo Orazio.

Properzio non osava staccare gli occhi dal pavimento. Non aveva nulla di cui vergognarsi o di cui pentirsi: lui aveva preso tutte le precauzioni del caso e si era sempre rifiutato di fare sesso non protetto, ma aveva paura di cogliere nel volto dei suoi amici quel pensiero che lo assillava da due interminabili giorni: si era rovinato la vita.

"Mo nun cambiamo discorso: ne parlemo dopo, se vuoi", disse Mecenate per salvarlo, "Ovi', nun te attacca' a 'ste cose pe' paratte er culo".

Il biondino buttò il bicchiere vuoto nel cestino e si avvicinò al suo rivale con aria feroce. Orazio si fece da parte, sorpreso e un po' intimorito dall'espressione di puro odio che si era dipinta sul viso angelico della persona più amorevole che avesse mai conosciuto. Mecenate si parò di fronte all'altro e gli piantò gli occhi in faccia.

"Sei 'n pezzo de merda", cominciò con voce bassa e agghiacciante, "So' anni che me rompi er cazzo perché vuoi pubblica' sur giornalino evitanno 'e regole. T'ho dato er contentino co' 'a rubrica sur sesso e ho rischiato de veni' cacciato. T'ho pure fatto pubblica' quer cazzo de articolo 'n cui sfanculavi er migliore amico mio pe' esse' 'mparziale e tutto er resto. Poi te ne esci co' du' versetti scritti co' i pedi 'n cui sfanculi tutto er genere femminile e altre robe che er Medioevo 'n confronto è progressista: io te  spiego perché nun te li posso pubblica'. E te che fai? Vai dar Censore a piagne' e a famme sembra' 'n cojone moralmente sfasciato, perché nun c'hai le palle de accetta' che sei 'n misogino der cazzo".

Ovidio strinse forte le labbra e i pugni, sforzandosi di non dare a vedere quanto gli fosse difficile andare giù la verità.

"Te sei preso er giornalino giocanno sporco, sapendo pure che Augusto me stava a getta' merda addosso perché nun gl'ho leccato er culo come tutti", riprese il ragazzo con una calma terrificante, "Trasformi er giornalino ner palchetto tuo pe' fa' er figo, perdendo de vista er compito principale de 'n redattore. E mo, che hai capito che hai fatto 'na marea de cazzate e che stai ancora a capo d''a redazione solo perché er Censore c'ha troppi cazzi a cui pensa' pe' calcolatte, me vieni a rompe' li cojoni cor fanzine, che va pure meglio de li foglietti tua? E tutto questo prima che ce semo bevuti er caffé? Sei proprio 'n encefalico".

I suoi amici lo fissavano tra il soddisfatto e lo stupito: per quanto sapessero bene che Mecenate fosse perfettamente in grado di rispondere a tono all'occorrenza, era sempre strano vederlo così duro con qualcuno, lui che era sempre così gentile con chiunque. 

"Sei patetico. Ora vattene d''a vista mia che, se nun te corca de botte Orazio, ce penso io" concluse con fare minaccioso.

Arretrando lentamente come il coniglio che era, Ovidio lanciò ai quattro un ghigno infastidito e si incamminò verso la sua classe, fischiettando con falsa nonchalance una canzonetta sconcia.

"Sei stato fantastico" commentò Virgilio, che era rimasto a bocca aperta.

Mecenate sorrise: sfogarsi in quel modo gli aveva fatto incredibilmente bene. Si sentiva un po' più leggero dopo aver scagliato fuori tutto il rancore e il veleno che aveva covato dentro per troppi mesi. Non si era reso conto di quanto ne avesse bisogno fino a quando non lo aveva fatto e, per un istante, si sentì di nuovo padrone della sua vita.

Ma la sensazione durò un attimo, rotta dallo sguardo perplesso di colui che lo tormentava da giorni col suo silenzio e dal suono squillante della campanella della prima ora.


* letteralmente "verginella", soprannome storicamente accurato affibbiato a Virgilio da qualche simpaticone per il suo carattere schivo e candido, considerato troppo poco virile.

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