Capitolo XXXIV
Nessuno sapeva bene come, ma marzo era ormai finito da un pezzo e le vacanze di Pasqua erano sempre più vicine e, con loro, l'esame di maturità. Il ventidue giugno gravava come una spada di Damocle sulle loro teste, aggiungendo una nuova lama alle mille che li accerchiavano.
Virgilio era semplicemente stremato: faceva avanti e indietro continuamente da casa a scuola, da scuola alla clinica, da casa a Firenze nei fine settimana, trovando il tempo di fare tutto quello che doveva fare, dimenandosi tra compiti, faccende domestiche, bucoliche e incontri galanti che, ormai, si stavano facendo sempre più radi. La verità era che non riusciva a gestire più la sua vita: non aveva più Marzia a pensare a tutto, a controllare suo padre. Si stava abituando alla sua nuova triste routine: Figulo che tornava a casa ubriaco, lui che cercava di portarlo a letto, gli insulti, le grida di rimprovero, la sensazione costante di essere perso. Dante ci provava ad essere di supporto, ma non ci riusciva: nonostante fosse così premuroso con lui, sapeva bene che i sorrisi e le risate che il romano gli concedeva erano destinati a vivere solo nell'attimo.
Mecenate, invece, si sentiva l'uomo più fortunato del mondo: lui e Batillo si frequentavano ormai da un po', anche se nessuno dei due aveva osato esprimere apertamente i propri sentimenti, e Il Circolo stava andando talmente bene che chiunque si chiedeva come facesse Ovidio ad essere ancora il redattore del giornalino scolastico. I capelli stavano ricrescendo più in fretta del previsto e, sebbene le botte di Varo lo tormentassero ancora nel sonno, la valeriana gli permetteva di dormire almeno decentemente. Certo, avrebbe preferito non avere ancora paura di tornare a casa da solo di notte, ma le cose sembravano mettersi sulla strada giusta, finalmente.
Orazio assisteva alla gioia del suo amato con sentimenti contrastanti: da un lato era felice che lui fosse tornato quello di sempre, che avesse qualcuno che lo amasse davvero, ma dall'altro voleva essere lui stesso a stampargli un bacio sulla guancia per salutarlo e a passare le domeniche pomeriggio a passeggiare mano nella mano con lui. Si struggeva in silenzio, mandando giù ogni parola, ogni gesto, ogni momento che invidiava e preferiva concentrarsi piuttosto sull'alleviare le fatiche del suo migliore amico. Aveva chiesto a suo padre di parlare con Figulo, ma ogni sforzo sembrava vano: non era intenzionato a smettere di bere e, anzi, la sola idea che qualcuno lo considerasse un alcolizzato lo faceva arrabbiare così tanto che aveva finito per rompere un bicchiere lanciandolo contro la parete. Mecenate e Orazio erano costantemente in ansia per Virgilio e temevano che, prima o poi, il bicchiere si sarebbe schiantato sulla sua testa. Ma d'altronde il loro amico non aveva intenzione di fare nulla: per quanto odiasse suo padre, non se la sentiva proprio di chiamare la polizia o qualcosa del genere, perciò fingeva che fosse tutto okay, anche se dentro voleva urlare.
Orazio, poi, aveva anche un altro problema a cui pensare: doveva passare l'esame d'ammissione per entrare in accademia. Il programma era considerevole, soprattutto calcolando che non era un asso in matematica, e le prestazioni fisiche richieste erano notevoli, ma non si diede per vinto: studiò giorno e notte, smise di fumare e prese ad allenarsi tutti i giorni al parchetto sotto casa. E alla fine, dopo notti insonni e tanti crampi, era riuscito a farsi ammettere.
Per motivi organizzativi le riunioni del Circolo si erano trasferite a casa di Mecenate, sia perché casa Marone era triste senza la voce di Marzia sia perché, nei giorni di stesura del fanzine, si veniva a creare un capannello di adolescenti che non sarebbe mai entrato in quel buco che era l'appartamento di Virgilio. Catullo e Saffo, ormai, erano scrittori fissi e inviavano sempre qualche poesia più o meno melensa; Lucano e Seneca si alternavano, visto che i loro articoli semifilosofici avevano bisogno di più tempo per essere stesi con ottimi risultati; Marziale e Giovenale, invece, erano stati fatti brutalmente fuori. Mecenate, infatti, non poteva tollerare che un misogino omofobo come Giovenale potesse pubblicare sul suo lavoro e, togliendo l'uno, anche l'altro si era defilato per restare accanto al suo amico.
"Che poi quello è pure gay: come fa ad esse' amico de Giovenale?" aveva osato chiedere Catullo, anche se tutti quanti la pensavano come lui. Non erano riusciti a trovare una risposta.
In ogni caso, le loro vite avevano preso una piega decisamente caotica e speravano con tutto il cuore che le vacanze di Pasqua concedessero loro un po' di respiro.
"Perché nun imo a casa giù 'n Sabina?" propose Mecenate non appena furono soli.
"Nun è male come idea: se famo tre giorni e tornamo er giorno de Pasqua, così staccamo 'n attimo" rifletté Virgilio, anche se era preoccupato di cosa avrebbe potuto trovare al suo ritorno.
"Famo scorta de birra e pizza surgelata e stamo pace. Però, raga, niente donne, eh" commentò Orazio guardando Properzio.
"Tanto Cinzia nun me parla" disse il ragazzo alzando le spalle con aria malinconica.
"E com'è stavolta?" chiese con nonchalance Mecenate, aspettandosi l'ennesimo raccontino sentimentale da soap opera.
"C'ha 'n ritardo" rispose quasi sottovoce.
"L'abbiamo sempre saputo che nun fosse così sveglia" scherzò Virgilio, che era troppo innocente per capire a cosa si riferisse il suo amico.
Orazio lo fulminò con lo sguardo. "Nun quer ritardo, cojone".
"Hai messo 'ncinta Cinzia, Prope'?" domandò quasi in falsetto Mecenate sbarrando gli occhi.
"Ma che ne so!", sbottò il diretto interessato sbracandosi sulla sedia, "Io sto sempre attento a 'ste cose, giuro! Però dice che posso esse' solo io 'n caso e...".
"Prope', nun te offenne', ma sei proprio sicuro che..." insinuò Orazio.
"No che nun so' sicuro, mortacci mia! Ce n'ha pure un altro, ma dice che nun cagliano da settimane! Raga, me sta' a sali' l'ansia!" gridò il ragazzo visibilmente sconvolto.
"De quanto è 'n ritardo?" intervenne serio Virgilio.
"Du' settimane".
"Ma ha fatto er test?" chiese Orazio.
"Ma che ne so!".
"Ma come che ne sai! Potresti diventa' padre e nun sai manco 'ste cose!" esclamò l'altro alzando gli occhi al cielo.
"Ma nun me dite così! Io padre nun ce voglio diventa'! Nun me piacciono li regazzini! E poi c'ho diciott'anni: come cazzo lo campo 'n figlio!".
Properzio era diventato estremamente pallido in volto. Era troppo giovane per avere un figlio - anzi, lui non ne voleva proprio! Cinzia si era sempre detta contro "l'aborto e quelle cose là" e lui non era nessuno per dirle che cosa fare del suo corpo. Non era detto che fosse incinta, ma se lo era davvero? Diceva che, in caso, il padre doveva essere lui, ma come era possibile? Era sempre stato molto attento a queste cose - mica era scemo - e aveva il sospetto che non fosse stato lui a metterla incinta, per quanto lei sostenesse il contrario. La sola idea di dover crescere un bambino lo terrorizzava e gli faceva salire il voltastomaco, ma non avrebbe mai potuto permettere che Cinzia lo allevasse da sola: si sarebbe preso la sua responsabilità, se avesse dovuto, ma pregava costantemente dentro di sé che quello fosse solo uno stupido ritardo e niente di più.
"Mo però nun te fascia' 'a testa: se sei stato attento, devi sta' tranquillo, no?" lo rassicurò Virgilio avendolo visto fin troppo teso.
"'nfatti carmate: andrà tutto be'" si unì Orazio.
"Finché nun fa' er test è inutile che te ce danni" commentò infine Mecenate.
"Grazie rega'", sospirò un po' sollevato Properzio, "Comunque a Pasqua nun ce sto che vado dai parenti in Umbria".
"Allora semo noi tre" concluse Mecenate soddisfatto della prospettiva di quei giorni di pace agreste con i suoi migliori amici.
"Nun è che per caso", cominciò timidamente Virgilio arrossendo, "Nun è che per caso... Ecco... Ultimamente nun riesco a vede' Dante più de tanto e...".
"Basta che cambiate 'e lenzola dopo che scopate" rispose sorridendo il padrone di casa.
"Magari è 'a vorta bona che cagli co' er toscanino tuo!", esclamò Orazio scompigliandogli i capelli, "Ma parlando de robe serie: chi ce viene stasera da Catullo? Io voglio be' e distramme 'n attimo".
"Io nun posso rega'. Dima' c'ho da fa' co' mi nonna e domenica vie' Dante: 'ste notti 'e passerò a cerca' de' capicce ca' cosa co' fisica. Ma Einstein nun se poteva fa' li cazzi sua!" borbottò Virgilio.
"Ma pe' 'na sera! Daje! Se annamo a diverti' 'n po'!" provò a convincerlo Mecenate.
Ma il ragazzo fu irremovibile: aveva troppe cose da fare e ogni ora era preziosa, se voleva riuscire a fare tutto quanto.
"Io nun c'ho er mood: me sa' che me ne vado a consola' Tibullo, che Delia l'ha mollato e Nemesi nun lo caga de striscio" disse Properzio con un'alzata di spalle.
"Quinni stasera semo solo noi due, Ora'" concluse Mecenate finendo di incollare gli ultimi ritagli sulla bozza del fanzine.
"Nun vedo l'ora" si ritrovò a pensare l'altro, nella cui mente erano già cominciate le solite piacevoli immaginazioni.
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