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Capitolo XXXI

"So' tornato!" urlò Virgilio buttando lo zaino accanto alla porta.

"Semo 'n cucina" gli gridò di rimando sua nonna.

"Mo chi cazzo ce sta?" si chiese il ragazzo attraversando il salone.

Non appena mise piede nella stanza e vide suo padre perfettamente sobrio, il suo istinto gli suggerì che aveva fatto qualcosa che non avrebbe dovuto fare. I muscoli delle spalle e del collo gli si irrigidirono e la mascella si serrò da sola, tradendo il nervosismo che provava in tutti i modi di nascondere dietro ad un sorriso accennato.

"Publio, siediti: dobbiamo parlare" disse con il suo solito tono freddo e distaccato suo padre.

"Ma è successo qualcosa?" domandò cercando un briciolo di rassicurazione negli occhi di sua nonna.

Ma Marzia teneva lo sguardo basso, seduta al tavolo della cucina con le dita intrecciate sulla tovaglia a fiori, muta come una tomba.

"Stamattina tua nonna è svenuta: il cuore ha fatto di nuovo le bizze".

Virgilio impallidì e si protese subito verso di lei con fare premuroso.

"Cristo Santo! Stai bene adesso?" le chiese senza neanche tentare di celare la sua agitazione.

"Piccole', è stato solo un mancamento: nun te preoccupa'" lo rassicurò sua nonna, ma nella sua voce c'era qualcosa che non convinse del tutto il nipote.

"Ma perché non mi avete chiamato?" domandò come per rimproverarla.

"Publio, stavi a scuola: che senso avrebbe avuto? Fortunatamente stava con la signora Cicerone, altrimenti chissà cosa le sarebbe successo! Il medico ha detto che il suo cuore...".

"Figulo, basta: nun vedi che sta già preoccupato così?" lo interruppe la suocera indicando con una mano il volto sconvolto del ragazzo, pallido come un cencio.

"Marzia, Publio ormai è un uomo e deve imparare ad affrontare la vita", la mise a tacere bruscamente, "Il tuo cuore non reggerà a lungo e ho promesso a Magia che avrei fatto tutto il possibile per farti stare bene".

Seguì una pausa raggelante. Sua nonna stava male, questo l'aveva sempre saputo: erano anni che controllava che prendesse le medicine e che andasse regolarmente ai controlli. Ma stavolta era diverso: il suo cuore stava cedendo definitivamente. C'era da aspettarselo, nessuno sopravvive a due infarti senza conseguenze, ma, ora che la possibilità diventava sempre più realtà, l'inquietudine che provava quando doveva lasciarla da sola per molto tempo riaffiorò a galla e gli morse l'animo, togliendogli il respiro.

"Per questo andrà a stare in una clinica sulla Cassia, dove potrà ricevere tutte le cure e le attenzioni che necessita" aggiunse suo padre con un tono che non ammetteva repliche.

"Ma stai a scherza'?" chiese Virgilio esterrefatto.

"No, sono serio".

"Te la vuoi toglie' de mezzo?".

"Non essere sciocco, Publio", gli rispose l'altro con durezza, "Tua nonna ha bisogno di riposo e di assistenza, cose che qui non potrà mai avere. Non possiamo permetterci un'infermiera a domicilio, né tantomeno mi pare il caso di rischiare che succeda di nuovo un episodio del genere".

"Ma le cliniche fanno schifo! So' luoghi tristi 'ndo mannano i vecchi a mori'!" si oppose suo figlio cominciando a scaldarsi.

"Prima di tutto, modera il linguaggio. Secondo, è una clinica ottima con varie attività ricreative e un programma di sostegno psicologico che...".

"Ma lei non ci vuole andare, no? Non puoi costringerla ad andare!". Il ragazzo guardò dritto in faccia sua nonna. "Tu non ci vuoi andare, vero?".

Marzia sospirò e, prese le mani del nipote tra le sue, le portò alle labbra per baciarle.

"Tengo quasi novant'anni, 'a nonna: nun voglio da' fastidio a nessuno".

"Tu qui non dai fastidio, Marzia: ti sia ben chiaro", la interruppe il genero, "Fosse per me, rimarresti qui con noi, ma se resti potresti avere meno tempo e, se ti sentissi male, non sapremmo intervenire subito".

Avere meno tempo. Bastarono quelle tre parole per mandare in confusione tutti i suoi pensieri. La sua razionalità dava ragione a suo padre, per quanto gli costasse ammetterlo: in una clinica sarebbe stata monitorata e accudita, si sarebbe stancata di meno. Ma c'era una voce nella sua testa che urlava, si ribellava a tutto ciò: come sarebbero state quelle mura senza di lei? Come avrebbe fatto a sopravvivere solo con suo padre? Come avrebbe gestito il suo ubriacarsi? Non aveva mai dovuto farlo perché c'era sempre stata lei a tenere tutto sotto controllo, a sistemare ogni cosa. Virgilio sapeva di essere egoista a pensarla in questo modo, ma ricordava fin troppo bene i tempi in cui sua madre viveva in ospedale e quanto fosse difficile e logorante andare in quegli stanzoni bianchi e ritornare a casa come se nulla fosse, come se un pezzo del suo cuore non fosse imprigionato lì dentro.

"Ho vissuto er tempo mio, Figulo: nun me ne serve altro. Quanno sarà l'ora mia, affronterò 'a morte come se...".

Marzia non riuscì a finire la frase, interrotta dai singhiozzi che suo nipote non riusciva più a trattenere. 

Affronterò la morte. Era ancora una prospettiva futura, ma il solo pronunciare quelle parole l'aveva mandato definitivamente in crisi. Provava con tutto se stesso a fare appello alla sua razionalità: tutti quanti sono destinati a morire prima o poi, sua nonna aveva vissuto a lungo, il cuore non avrebbe retto per sempre. La gente moriva ogni giorno, il lutto grava su ciascuno, ma la vita va avanti, gli uomini si adattano alla perdita. Ci provava, ci provava sul serio, ma non ci riusciva e questo lo faceva sentire incredibilmente in difetto.

"Publio, piangere è inutile" commentò suo padre impassibile.

"Figulo, eh lassalo perde'!", lo ammonì Marzia alzandosi in piedi per abbracciare il nipote, "Piccole', senti a me. Nun te devi preoccupa' pe' me: so' vecchia, però so' tosta e nun c'ho 'ntenzione de mori' prima der tempo. Vado a famme 'sta vacanzetta sulla Cassia. Ce sentimo tutti i giorni e me passi a trova' quanno c'hai tempo. Nun piglialla così a male".

Virgilio si sentì un perfetto idiota: era lei che stava morendo, era lei che doveva essere confortata, e invece eccolo lì, a piangere come un bambino e darle una preoccupazione in più. Doveva essere forte, per lei, non per se stesso.

"Quanno vai?" le domandò asciugandosi le lacrime.

"Tra du' giorni entro. Stasera te faccio 'a parmigiana e ce mettemo sur divano a vedecce film brutti, te va?" provò a confortarlo sua nonna.

"Sì, però cucino io".

"Va be', cucini te", gli concesse accarezzandogli le guance, "Amore santo".

"Io vado che devo vedermi con dei colleghi" annunciò suo padre prendendo la giacca posata sulla sedia.

Si sarebbe ubriacato anche quella sera, ne era sicuro: proprio non ci riusciva a restare sobrio per un giorno intero.

"Non mi aspettare in piedi" disse alla suocera prima di sparire in salone.

"Te nun spari' però!" gli urlò con quella voce ferma che solo le madri possiedono.

La porta di casa si aprì e si richiuse e i suoi passi risuonarono sul pianerottolo.

"Te vatte a sede', ce penso io ecco" ordinò dolcemente Virgilio.

"Sicuro? Nun devi studia'?" si preoccupò Marzia.

"Statte carma: nulla che nun se possa fa' 'n 'na sera" la rassicurò indicando con un gesto rapido la via per il divano.

Marzia gli diede un bacio sulla fronte e, anche se non era d'accordo, andò a riposarsi un po' davanti alla tv.

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