Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo XXVII

Mecenate si voltò per l'ennesima volta nel letto, lottando con le lenzuola che si ostinavano a lasciargli scoperti i piedi. La sveglia sul comodino segnava le tre di notte, ma lui non riusciva proprio a dormire: troppe voci, troppi pensieri, troppe scene si davano il cambio nella sua testa. Ogni volta che chiudeva gli occhi si ritrovava davanti lo sguardo feroce di Varo e si sentiva ancora la sua presa salda attorno al collo, impedendogli di respirare. Non dormiva da quando era uscito di nascosto da casa di Virgilio due giorni prima, non ci riusciva proprio e la cosa cominciava a ripercuotersi sulla sua stabilità mentale, che già di per sé, ne era sicuro, era compromessa.

Il suo amico lo aveva chiamato sabato sera e domenica mattina, poco prima di andare a prendere Dante in stazione: voleva assicurarsi che stesse decentemente e che fosse sicuro di non voler passare da lui a cena. Era premuroso da parte sua, ma a Mecenate vennero i sensi di colpa solo al pensare di compromettere i piani di quei due, che potevano vedersi molto poco.

Ai suoi genitori non aveva raccontato nulla, ovviamente, e avrebbe nascosto tutto a chiunque: i segni sul collo erano quasi scomparsi e nessuno ci avrebbe fatto caso, per l'occhio nero aveva rimediato un vecchio fondotinta di sua madre. Sarebbe andato a scuola e avrebbe fatto finta di nulla, si sarebbe comportato come se non fosse successo nulla. Però in quelle ore di veglia si sentiva affondare, come quando, da ragazzino, era andato a nuotare al fiume con i suoi cugini in Sabina ed era stato quasi risucchiato da un mulinello.

Esasperato, si mise a sedere e si passò le mani sul volto, sbuffando per quella situazione del cazzo. Non poteva fare a meno di chiedersi se fosse stata in quale modo anche colpa sua. Avrebbe potuto correre più veloce. Sarebbe potuto tornare a casa subito dopo aver preso il kebab. Avrebbe potuto cenare a casa sua direttamente, senza passare da Anu. Avrebbe potuto opporsi di più. Avrebbe potuto difendersi un po' meglio, se solo avesse ascoltato gli sproloqui di Orazio sull'autodifesa.

Ormai rassegnato a non chiudere occhio nemmeno quella notte, si alzò e, senza nemmeno mettersi le pantofole, si diresse a piedi nudi verso il bagno, non curandosi del freddo che gli punzecchiava le piante. In casa non c'era nessuno, come al solito, ma non accese la luce in corridoio e procedette tentoni, trovando con una mano la maniglia della porta. Strizzò forte gli occhi, ormai abituati al buio, mentre accendeva la lampadina dello specchio sopra al lavandino.

Aveva un aspetto veramente orribile. L'occhio nero era ancora lì e spiccava sul suo incarnato troppo pallido, quasi da tisico. Aveva la barba di tre giorni e gli erano spuntati dei brufoli rossastri sulla fronte. Se non fosse stato per quella peluria biondiccia sulle guance e sul mento, avrebbe scambiato il suo volto per quello di una ragazza, con quei lineamenti morbidi e le lunghe ciglia. Aveva sempre avuto un aspetto piuttosto androgino, con quel fisico esile, quelle spalle strette, quei capelli lunghi. Non amava lo sport, l'aveva sempre odiato, e non sopportava l'ora di educazione fisica, col professor Chirone che lo incoraggiava, disperato, a non mollare alla sbarra delle trazioni. Aveva provato di tutto, ma nulla: lui e l'attività fisica erano due cose completamente diverse. Gli piaceva, però, sguazzare al torrente, quando andava in vacanza in Sabina, o al mare, quando Marzia li portava ad Ostia per farli svagare un po'. Il suo corpo non lo poteva cambiare, né poteva plasmarlo in palestra.

E poi c'erano quei capelli lunghi, morbidi, biondi come le spighe mature, come quelli di sua madre, leggermente mossi. Gli erano sempre piaciuti, non li aveva mai voluti tagliare, ma in quel momento gli erano odiosi. Nella sua mente era ancora vivo il ricordo delle grandi mani di Varo che li afferravano con forza, con una violenza tale che Mecenate aveva creduto che gli si sarebbe staccata la pelle dal cranio. Non l'avrebbero mai preso se non fosse stato per quella chioma che si ostinava a voler tenere,  non l'avrebbero preso a calci, non l'avrebbero preso a pugni, non l'avrebbero quasi soffocato e ammazzato come un animale.

Voi froci siete come 'e bestie, siete animali! Anzi, siete pure peggio, perché ite contro 'a natura! Come animali toccherebbe trattavve, raddrizzavve co' 'e botte, toccherebbe!

Le parole di Varo e dei suoi amici riecheggiavano nei meandri della sua mente e la martellavano ancora e ancora, la infestavano con i più terribili dei fantasmi. Non c'era nulla di male nell'essere gay, questo lo sapeva benissimo, ma ogni sillaba pesava come un macigno sul suo petto bloccandogli il respiro.

Quei capelli, quei fottutissimi capelli. Non l'avrebbero preso se non fosse stato per quei dannati capelli.

Mecenate aprì lo sportello nascosto dietro lo specchio e prese il rasoio elettrico di suo padre. Non gli aveva mai permesso di usarlo, non poteva lasciarlo nelle mani di quell'imbranato di suo figlio, che l'avrebbe sicuramente rotto. Prese la lama con la trama meno fitta e la sostituì a quella stretta che il suo proprietario usava per farsi la barba.

Suo padre non l'aveva mai trattato come un uomo: avrebbe voluto un figlio diverso, etero, sportivo, un vero duro, non quella checca effemminata che si era ritrovato. Non che avrebbe fatto molto la differenza: tanto i suoi non c'erano mai stati.

Collegò il rasoio elettrico alla presa di corrente e lo accese: un suono metallico risuonò per la stanza.

"Lo volemo fa' davvero?" si chiese fissando la sua immagine riflessa.

Prima che un nuovo dubbio lo fermasse, Mecenate si avvicinò allo specchio.

"Vaffanculo" imprecò mormorando.

La lama scorse veloce sulla sua testa, ostacolata di tanto in tanto da un ciuffo contropelo. Ciocche di capelli biondi cominciarono a cadere lentamente, volteggiando a mezzaria come in una danza prima di cadere a terra, sulle piastrelle azzurre, e sul lavandino. 

Non appena ebbe finito, mise il capo sotto il rubinetto e fece scorrere il getto d'acqua fresca, cercando di levare come meglio poteva i peli che erano rimasti appiccicati sul collo e dietro alle orecchie. Si sentiva così leggero senza tutta quella massa di capelli, che doveva sempre portare legata per non ritrovarsela puntualmente in faccia davanti agli occhi. Prese l'asciugamano e si strofinò per bene la testa, asciugando quanto meglio poteva ciò che era rimasto della sua vecchia chioma.

Alzò lo sguardo verso lo specchio e si spaventò, non riconoscendosi nell'estraneo che aveva di fronte: senza i capelli il volto appariva così diverso, così emaciato, così alieno con quegli occhioni lucidi per le lacrime che stavano ritornando ai loro posti dopo ore di tregua.

"Che cazzo ho fatto?" si chiese osservando il triste spettacolo che si era procurato da solo.

Si passò una mano sulla testa praticamente nuda e, realizzando di aver appena ampuntato una parte di se stesso per quel coglione di Varo, in preda al panico e alla disperazione si accasciò vicino alla vasca da bagno e cominciò a piangere amaramente.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro