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Capitolo XXIX

"E quindi bisogna abbracciare il dionisiaco e dire sì alla vita" spiegava il professor Eraclito leggendo di tanto in tanto sul libro.

L'intera classe era sprofondata in un'atmosfera abbioccante e silenziosa, interrotta solo dal continuo blaterare del loro insegnante. Virgilio ci provava a stare attento, ci provava davvero, ma continuava a perdersi in tutto quel casino e aveva preso a comporre una bucolica. Orazio, invece, aveva un gran bel problema: il tizio seccante lo stava inondando di messaggi per sapere quando si sarebbero rivisti di nuovo. Per quanto si fosse divertito con lui nel bagno, non aveva la minima intenzione di rivederlo, né tantomeno di diventare il suo ragazzo o cose del genere!

"Mecenate, potresti andare a fare delle fotocopie, almeno la smettiamo di guardare fuori dalla finestra?" disse Eraclito infastidito.

Il ragazzo si alzò svogliatamente e, preso il volumone, uscì dall'aula. Nemmeno lo sapeva perché ci era andato a scuola: nessun compito, nessuna interrogazione, sarebbe potuto rimanere tranquillamente sotto alle coperte nella speranza di recuperare qualche ora di sonno, anche se ormai l'insonnia lo assillava da giorni. Si era deciso a venire solo perché aveva lui le copie de Il Circolo e non vedeva l'ora di sapere come avrebbero reagito i suoi compagni di scuola.

"Sora Ade', devo fare delle fotocopie" spiegò alla vecchia bidella, che stava riorganizzando chissà quali documenti.

"La fotocopiatrice nostra è rotta. Vai di sotto" gli rispose lapidaria senza smettere di lavorare.

Mecenate sbuffò e scese a due a due i gradini delle scale. Odiava il seminterrato, come tutti del resto: la vicinanza col locale della caldaia rendeva quel piano insopportabilmente caldo in inverno - figuriamoci in primavera! - e non c'era verso di trovare uno spicchio di sole, visto che non c'erano finestre. In bidelleria non c'era nessuno.

"Ma nun ce sta 'n'anima ecco? Va be' che stamo nell'Ade, però almeno 'na Benevola" si chiese un po' infastidito, ma d'altronde l'alternativa era ascoltare le filippiche filosofiche del prof, quindi non poteva lamentarsi più di tanto.

Rimase in attesa stringendo forte tra le mani il libro, non sapendo bene che cosa fare. Una delle porte si aprì sul corridoio e ne sbucò un ragazzino con un mucchio di fogli che gli cadevano dalle braccia. Cercando di recuperarli al volo, si diresse a passo incerto verso la bidelleria, lanciando a Mecenate uno sguardo perplesso. Assomigliava ad un furetto, ma in senso buono, con quegli occhietti neri e vispi e quella bocca piccola e rosa, e la grazia con cui si muoveva affascinò il ragazzo.

"Non c'è nessuno?" gli domandò timidamente.

"A quanto pare no, se staranno a piglia' er caffè" gli rispose l'altro ostentando una sicurezza che non aveva.

Era piuttosto alto per essere uno del primo - doveva esserlo, solo i primi erano così sfigati da dover passare sei ore sottoterra - e quelle iridi nere così luminose non stavano mai ferme, ma si spostavano da un punto all'altro.

"Mecenate, giusto?" provò ad attaccare bottone il ragazzino dopo un breve silenzio.

"Sì, so' io, l'unico e er solo" commentò sarcastico, sorprendendosi lui stesso di tutta quella sfacciataggine.

"Non so se ti ricordi di me, probabilmente no. Sono Batillo, vado in classe con Marziale e Giovenale" si presentò con un voce flebile.

"Sì, sì, me ricordo" mentì cortesemente l'altro per non ferirlo.

Seguì un'altra pausa imbarazzante, pochi minuti passati a squadrarsi di nascosto. C'era qualcosa in quel primino che lo incantava e non gli permetteva di levargli gli occhi di dosso.

"Mi dispiace molto che quel coglione di Ovidio abbia preso la redazione del giornalino, ormai è diventato il suo palchetto per declamare le Metamorfosi e non lascia pubblicare nessun altro".

"Ehm, grazie". Mecenate strinse le labbra, tradendo il disagio che provava in quel momento. "Nun fa' pubblica' manco te?".

Sapeva benissimo che quel ragazzino non scriveva affatto, altrimenti avrebbe letto qualcosa di suo mentre era ancora a capo del giornalino, ma non voleva assolutamente far cadere il discorso, tanto gli stava piacendo parlare con lui.

"Oh no. Preferisco altre arti".

"Disegni?" chiese sinceramente incuriosito.

"Ballo. Faccio danza classica".

Mecenate si lasciò sfuggire un'esclamazione di stupore di cui si pentì subito: Batillo, infatti, distolse improvvisamente lo sguardo con aria offesa.

"Figo er balletto", cominciò a blaterare un po' a caso per salvare la situazione, "Nun so' 'sto grande esperto, però figo. Tocca avecce disciplina e grazia pe' fa' 'na cosa der genere".

"Ma non è niente di che: sono in terza fila, quindi è come se non esistessi" minimizzò l'altro ancora a disagio.

"Nun sarebbe la stessa cosa senza 'a terza fila, no?", provò a rincuorarlo come meglio poteva, "Addo vai?".

"All'Accademia Nazionale".

Il ragazzo fischiò. "Mica canzonette, eh. Pe' entra' là devi esse' bravo pe' forza".

"Faccio quello che posso" ammise il ragazzino guardandolo improvvisamente dritto negli occhi.

Mecenate si sentì come prosciugato da quello sguardo così puro e innocente e trattenne inconsapevolmente il respiro. Stava per dire qualcosa, ma furono bruscamente interrotti dall'arrivo della bidella.

"Che volete, regazzi'?" domandò il donnone sbadigliando.

"Le fotocopie, sora Marce'", rispose sorridendo Mecenate, "Ma fai prima le sue però".

"Ma c'eri prima tu, non mi sembra giusto che...".

"Ma nun te preoccupa': posso aspetta' du' minuti" si giustificò interrompendolo e facendogli cenno di passare avanti.

Il ragazzino arrossì leggermente in maniera a dir poco adorabile e attese in silenzio che la signora Marcella facesse le fotocopie.

"Domani alle sei ho le prove del saggio di primavera: sono aperte al pubblico, se vuoi passare" disse improvvisamente Batillo facendosi avanti.

"Farò un salto se ce riesco", rispose Mecenate con finta nonchalance, "Però damme er numero tuo, così se me perdo me vieni a recoglie'".

Il ragazzino divenne rosso in volto e, sforzandosi di non sembrare più impacciato di quanto già non sembrasse di suo, dettò il suo recapito recitando i numeri a due a due.

"Ah regazzi', io ho fatto" li interruppe di nuovo la bidella allungando un fascicolo di fogli.

"Ehm, grazie". Batillo prese le fotocopie e si voltò per tornare in classe. "Vieni domani, ci conto".

"Contace, contace" confermò Mecenate sorridendo come un ebete.

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