Capitolo XXIII
"E quindi Giovanni ha detto alla prof: "Non è mica colpa mia se Fiammetta si distrae a fissarmi i capelli!". Credo che Fra abbia imprecato qualcosa, ma non ne sono molto sicuro, visto che Niccolò non ha smesso un attimo di parlarmi di Tito Livio! Io come fo con questi?", finì di raccontare Dante dall'altra parte della linea, "Comunque devo andare che domani mattina accompagno mia sorella non ho capito dove".
"Artri cinque minuti?" lo tentò Virgilio con un sorrisetto che il suo amato non poteva vedere, ma che lo avrebbe di sicuro convinto.
"No, amore, devo decisamente andare. Attacca tu".
"No, daje. Attaca te!".
"Attacca tu ho detto!".
"Guarda che te tengo veramente altre du' ore così, eh" commentò sarcastico il romano.
"E va bene. Notte, amore".
"Notte, babe" riuscì a malapena a dire Virgilio prima che il fiorentino chiudesse la chiamata.
Buttò il cellulare alla cieca sul comodino e rimase a fissare il soffitto con le mani sotto alla nuca a mo' di cuscino. Doveva essere una cosa veloce e invece erano stati al telefono per più di un'ora! Era così bello sentire la sua voce, il modo in cui aspirava le c, come imprecava quando era particolarmente emozionato o come rideva nel raccontare le sue strane avventure con i suoi amici. Era logorroico, questo era vero, e quando cominciava sembrava non volerla finire più, ma non gli importava perché quel cicaleccio continuo era per lui la più celestiale tra tutte le sinfonie. Non vedeva l'ora che venisse domenica. Stringerlo forte a sé. Accarezzargli le guance leggermente ispide per quella peluria che si ostinava a voler chiamare barba, ma che non ne aveva proprio l'aspetto. Baciare quelle labbra così soffici.
Tali vagheggiamenti amorosi furono bruscamente interrotti dalle note di Neverending story: Mecenate lo stava chiamando.
"Bro, ma che cazzo vuoi alle undici de venerdì sera?" esordì Virgilio ancora un po' perso nei suoi film mentali, ma con il suo solito sarcasmo.
"Sto sotto casa tua. Apri er portone" sussurrò il suo amico col fiatone.
"Citofona' pareva brutto, eh" commentò l'altro.
"Nun sveglia' tu' nonna. Ce sta tu' padre?" chiese Mecenate.
La sua voce tradiva una certa agitazione e sembrava come mancargli di tanto in tanto. Virgilio cominciò a preoccuparsi, visto che presentarsi a quell'ora e senza preavviso, per di più senza voler essere notato, non era proprio da lui.
"Nun ce sta, tranquillo. Ma che c'hai, oh?".
"Aprime 'sto cazzo de portone!" gli intimò con fare passivo-aggressivo.
"Okay, okay. Bono che te apro!".
Virgilio sentì il rumore sordo della serratura che si chiudeva di sotto e il suono dell'ascensore che si fermava al suo piano. Aprì la porta, pronto a fare qualche battuta squallida su quella situazione, ma ogni suo intento venne cestinato immediatamente non appena vide Mecenate.
"Che cazzo t'è successo?" esclamò alzando un po' troppo la voce e correndo da lui.
Il ragazzo camminava rasente al muro, appoggiandosi con una mano e tenendosi lo stomaco con l'altra. Era tutto chinato in avanti e incedeva con passo incerto, come se facesse fatica a compiere ogni singolo centimetro. Aveva un occhio nero e dei segni bluastri attorno al collo, dal naso e dall'angolo della bocca colavano sottili rivoli di sangue.
Virgilio gli mise un braccio attorno alla vita e lo aiutò ad entrare in casa.
"Nun chiama' Marzia, te prego. Nun chiama' nessuno" farfugliò Mecenate a fatica.
"Che cazzo t'è successo?" domandò di nuovo l'altro accendendosi in volto.
"M'hanno corcato de botte, che me può esse' successo?".
Cercando di non fare troppo rumore, Virgilio lo portò in camera sua e lo sistemò sul letto provando a non fargli più male di quanto non stesse già soffrendo.
"Io sveglio nonna, statte bono 'n attimo" disse affettato e sforzandosi di mantenere il sangue freddo.
"Nun ce prova', mortacci tua!".
"Te stai a svalvola'!".
"No, Virgi'. Te prego, no" lo supplicò trattenendolo per la manica del pigiama.
L'altro lo fissò e si fermò un istante a ragionare: doveva essere razionale per non aggravare la situazione. Doveva prendere i pani del ghiaccio per l'occhio e l'acqua ossigenata per ripulirgli la faccia. Qualcosa per il dolore, probabilmente aveva del paracetamolo in casa. Doveva chiedere aiuto ad un adulto, qualcuno che sapesse gestire meglio di lui una cosa del genere. Ma se Mecenate non voleva ci doveva essere un motivo, doveva esserci una ragione perfettamente logica per essere così sconsiderati. Gli occhi del suo amico lo scrutavano: sapeva bene quello che gli stesse passando per la testa e lo stava pregando di fidarsi di lui. E Virgilio, per quanto ogni suo ragionamento lo spingesse a fare il contrario, decise di dargli retta.
Senza dire una parola, scomparve per qualche minuto e tornò con tutto ciò che gli serviva per aiutarlo come meglio poteva.
"Mettitelo sull'occhio" gli ordinò passandogli un sacchetto di piselli surgelati - di meglio in frigo non aveva trovato. Cominciò poi a pulirgli con delicatezza il sangue dal viso con dell'ovatta imbevuta d'acqua ossigenata, sforzandosi di non lasciar trapelare i suoi sentimenti e la sua preoccupazione per non farlo agitare ancora di più.
Chi lo aveva ridotto in quel modo? Chi aveva avuto il coraggio di prendere a pugni un efebo come lui? Un nome, questo gli serviva, e la sua vendetta sarebbe stata feroce.
Eppure non gli domandò niente e rimasero entrambi in silenzio, con Mecenate che sibilava per il dolore non appena la carne viva veniva pizzicata dal disinfettante. Teneva lo sguardo basso come un cane bastonato e piangeva sommessamente, anche se odiava farsi vedere in quelle condizioni.
Virgilio finì il suo lavoro e si sedette sull'orlo del letto in attesa di spiegazioni.
"Grazie" mormorò il suo amico mettendosi a sedere un po' a fatica.
"Nun me devi ringrazia'. Me devi di' che cazzo t'è successo".
"Giura de nun dillo a nessuno" gli ordinò.
"Ma cor cazzo! Guarda come stai messo! Questa è roba da denuncia!" si oppose fermamente l'altro infiammandosi.
"Allora nun te dico 'n cazzo" si impuntò il ragazzo con una certa ostinazione.
Virgilio sospirò esasperato: era proprio una testa dura quando ci si metteva e, se voleva cavargli fuori qualcosa, l'unica opzione era dargli retta, altrimenti sarebbe rimasto muto come una tomba. Lo sapeva fin troppo bene, lo conosceva da una vita.
"Va be', giuro" lo lasciò vincere, seppur a malincuore.
"Manco ad Orazio, Virgi'" specificò l'altro lapidario.
"Manco ad Orazio" gli fece eco l'altro agitandosi ancora di più.
Se voleva tutti all'oscuro della faccenda, se voleva che nemmeno Orazio lo venisse a sapere, allora doveva essere di sicuro qualcosa di veramente grave.
"So' ito a fa' 'e fotocopie 'n copisteria e tutto okay", iniziò a raccontare alla fine Mecenate, "C'ho messo 'na vita, però tutto okay pe' davvero. Solo che s'era fatto 'n po' tardi e quinni, visto che i miei nun ce stanno - sai che novità -, me so' preso er kebab da Anu. Poi me so' fatto 'n giro - tanto che c'avevo da fa' - e me so' fatto a piedi fino alle scole. Poi a torna' su...".
La voce gli rimase in gola, bloccata da un singhiozzo, e le lacrime tornarono ad inumidirgli gli occhi. Virgilio rimase immobile come congelato, sapendo che il suo amico non era amante del contatto umano in quei casi, e attese pazientemente, anche se il suo animo era acceso di rabbia.
"A torna' su ho beccato Varo co' degli amici sua. Nun so chi erano, conosco solo lui. All'inizio manco l'ho riconosciuto, però poi me s'è avvicinato ed era strano, Virgi'. Me so' messo paura e l'ho ignorato. Ho tirato dritto e nun me so' voltato. Lui e gli amici sua me urlavano delle cose orribili e che quelli come me...".
Il racconto si interruppe di nuovo, non riusciva a continuare tra i singhiozzi che gli squassavano il petto.
"Che quelli come me so' animali e che devono esse' trattati come animali. Erano ubriachi, Virgi', e me so' cagato sotto. Poi hanno cominciato a seguimme e a corremme dietro. Ho corso, te giuro. Ho corso più che potevo! M'ha m'hanno raggiunto e m'hanno pigliato pe' i capelli e...".
"Nun c'era nessuno 'n giro? Nessuno che...".
"Chi cazzo ce va sotto 'e scole de venerdì sera, Virgi'? Nessuno! Me so' messo a grida', ma m'hanno tappato 'a bocca e m'hanno preso a calci e a pugni. Io c'ho provato a para' li colpi, ma nun so' bono - c'ho sai - e me li so' presi tutti. E poi Varo me s'è messo sopra e...".
Il ragazzo si portò le mani al collo e a Virgilio non servì altro per comprendere quello che era accaduto.
Lo abbracciò forte, sempre cercando di non fargli ancora più male, anche se probabilmente il suo amico lo avrebbe detestato. Mecenate scoppiò a piangere sulla sua spalla: odiava piangere, lo odiava davvero, ma non riusciva a tenersi tutto dentro e sapeva che tra quelle quattro mura era protetto come in una fortezza.
"Poi uno l'ha tirato via e so' scappati. A casa nun ce sta nessuno. Orazio sta giù. Nun sapevo dove anna'. Nun voglio rompette li cojoni, però nun voglio sta' da solo e...".
"Ehi, nun te preoccupa', dormi ecco stanotte. Nun te fa' 'sti problemi, okay?" lo rassicurò Virgilio.
Varo, quel coglione. Avrebbe dovuto immaginarselo: chi altro avrebbe potuto essere così vile da fare una cosa del genere?
Mecenate, povero Mecenate! Quell'amicizia con Augusto avrebbe dovuto portargli gloria e onore, ma al contrario lo aveva solo fatto soffrire.
Varo, quell'essere immondo, l'avrebbe pagata cara, in un modo o nell'altro. Ma adesso doveva prendersi cura del suo amico.
"Nun vuoi..." provò a proporgli timidamente, ma non fece nemmeno in tempo a finire la sua domanda.
"No, nun voglio denuncia' 'n cazzo. Almeno pe' ora. Voglio solo che vada tutto be', capisci?" lo interruppe l'altro.
"Okay, okay", concesse Virgilio anche se non era d'accordo, ma avrebbe riprovato più avanti, "Lo vuoi er gelato? Me sa' che è rimasto 'n po' de pistacchio. Te lo porto?".
"Sì" fece Mecenate tirando su col naso.
Virgilio annuì e, raccolte le cose che aveva portato per fingersi infermiere, si avviò verso la cucina.
"Virgi'" lo bloccò sulla porta chiamandolo.
Il ragazzo si voltò e osservò il suo amico, seduto a gambe incrociate sul suo letto, il volto tumefatto e la disperazione negli occhi. Varo l'avrebbe pagata molto cara.
"Dimme" gli disse tenendo aperta la porta con un piede.
"Grazie" mormorò Mecenate.
"Mecena', sei praticamente mi' fratello: quanno te servo, io sto sempre ecco" gli sorrise prima di sparire in corridoio.
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