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Capitolo XXI

"Volete 'n altro po' de gelato?" chiese Marzia cominciando a rassettare la cucina.

I ragazzi risposero quasi in coro di no e continuarono a guardare le vecchie fotografie sparse sul tavolo della cucina. Un silenzio sepolcrale regnava in quella stanza che, di solito, risuonava del romanaccio e delle risate dei suoi abitanti. 

"Ma che è mi' madre essa?" domandò Mecenate aggrottando la fronte e agitando una polaroid.

"E che c'hai dubbi? C'avete pure li stessi capelli!", commentò sarcastico Orazio, "Ammazza però quanto era bona!".

"Statte bono che è sempre mi' madre, deficie'" lo fulminò l'altro infastidito.

"E c'avrò er complesso de Edipo, che ce posso fa'!".

Dante stava per correggerlo, spiegandogli che Freud aveva coniato quell'espressione per indicare un'attaccamento di natura sessuale alla propria madre, ma cambiò idea all'ultimo e rimase fermo con la bocca aperta, considerando che fare subito la figura del bacchettone con gli amici del suo ragazzo non era decisamente una buona idea.

"Ne ha avuti de morosi tu' madre ai tempi, eh" disse la nonna con una certa nostalgia nella voce.

"Però poi s'è messa co' mi' padre. Bono se l'è scelto!" ci scherzò su Mecenate iniziando a sfogliare un album fotografico piuttosto spesso e rilegato in cuoio.

Virgilio sorrise divertito: complici il gelato, le battute sceme dei suoi amici e la presenza del suo amato, che gli teneva stretta la mano sotto al tavolo, si sentiva un po' meno triste e riusciva a guardare le cose di sua madre senza doversi sforzare per non piangere.

"Questa è de quanno Magia stava 'n ospedale" fece Marzia indicando una foto in cui Orazio, Mecenate e Virgilio, ancora bambini, dormivano appiccicati sul divanetto blu del salone, con una coperta di Ben 10 che li copriva lasciando fuori solo le testoline.

"Quindi voi vi conoscete da una vita" commentò Dante, emozionandosi un po' nel vedere come fosse adorabile il suo Virgilio da piccolo.

"'e madri nostre so' sempre state amiche, quinni semo praticamente cresciuti 'nsieme" gli spiegò quasi sussurrando il suo amato.

"L'ho tirate su tutte io, visto che nun lavoravo e le famiglie nostre stavano tutte n''o stesso palazzo", raccontò la vecchietta, "L'ho cresciute come se fossero state tutte figlie mie. Poi, quanno se so' sposate e hanno messo su famiglia, ho allevato 'sti tre".

"Tre?" chiese il fiorentino, visto che davanti a sé ne aveva quattro di romani.

"Io so' arrivato dopo. Ce semo beccati che eravamo regazzini" rispose Properzio senza però guardarlo in faccia.

"Perché, mo che siete?" domandò la donna ridacchiando.

"Mo semo ommini, me pare logico" disse Orazio gonfiando il petto per sembrare più grosso di quanto già non lo fosse di suo.

"Va be', va be'", li assecondò l'altra scuotendo il capo e senza smettere di sorridere, "Ommini, cominciate a sistema' tutto che s'è fatta 'na certa e le madri vostre ve aspettano pe' cena a 'n orario da cristiani".

I ragazzi presero a riporre attentamente gli oggetti di Magia nella vecchia scatola, assicurandosi che nulla rischiasse di rovinarsi.

"Aoh, Virgi'", chiese sottovoce Properzio avvicinandosi al suo amico, "Ma da quanno sei gay?".

"Ce so' nato, cojone. Stamo 'nsieme da poche settimate" rispose l'altro leggermente seccato.

"Hai capito Mr-Che-schifo-amore-so-meglio-le-api!".

"Ma statte bono, vah!".

"E quanno c'avevi 'ntenzione de dillo a Properzio tuo?".

"L'avresti già saputo da 'n pezzo, se nun fossi scomparso pe' anna' dietro a Cinzia".

"Ma che è 'sta roba?" domandò Orazio prendendo in mano una cartellina contenente dei fogli stampati che gli impediva di sistemare dritta la bibliografia di Esiodo.

Erano estremamente colorati e pieni di ritagli di giornale, adesivi e frasi scritte a mano con una grafia formosa e raffinata.

"So' dei fanzine" rispose Marzia continuando a lavare i piatti, riconoscendoli con una sola occhiata fugace.

"Mo che è 'n fanzine?" domandò Mecenate incuriosito.

"Diciamo che è come 'n magazine, ma casareccio", spiegò l'altra, "Questi li facevano 'e madri vostre all'università. Nun m'hanno mai dato er permesso de leggelli, però c'hanno avuto 'n certo successo, tanto che Magia ha trovato er lavoro ar giornale pe' 'sti cosi ecco".

"Ma come funziona esattamente?" riprese il ragazzo sempre più intrigato dalla faccenda.

"Funziona che è come 'n giornale, ma se parla de roba più specifica. Nun saprei come dittelo meglio".

Cominciarono tutti quanti a spulciare tra quei fogli e a leggerne qualcuno. C'era qualsiasi cosa lì sopra: poesie, disegni, foto, articoletti e pezzi in cui Virgilio riconobbe lo stile di sua madre, citazioni, vignette di chiaro intento satirico, anche se il loro messaggio risultava un po' difficile a causa degli anni passati.

"Magia scriveva i pezzi lunghi, ce lavorava tutta 'a notte certe volte, quanno stava impicciata co' gli esami e voleva fa' usci' lo stesso 'ca cosa. Tu' madre, Ora', se occupava de fa' li disegni e gli inserti 'n po' più colti, buttando 'n caciara sempre 'a gente con cui stava 'n fissa, ner bene e ner male. Poi tu' madre, Mecena', co' 'a bella grafia che se ritrova, stenneva e renneva tutto bello leggibile".

Gli occhi di Mecenate si illuminavano sempre di più sfogliando quelle pagine: era sorpreso che sua madre, quella donna che quasi non conosceva, si fosse dedicata in gioventù ad una cosa del genere e la sentì improvvisamente un po' meno estranea. Quei fanzine erano la cosa più bella che avesse mai visto.

"Che stai a macchina' là dentro?" chiese Orazio notandogli una strana luce nello sguardo, la stessa che aveva quando escogitava uno dei suoi complicati piani.

"Famolo" disse guardando i suoi amici.

"Famo cosa?" gli fece l'altro.

"Stocazzo, Ora'! 'n fanzine, no?" esclamò Virgilio prima di arrossire e abbassare la testa maledicendosi, osservando con un certo timore l'occhiataccia di rimprovero che sua nonna gli stava lanciando dall'altra parte della stanza.

"Ovidio m'ha portato via 'a direzione der giornalino scolastico, ma io mica me rassegno così, eh: er redattore è quello che voglio fa' n''a vita mia e nun me farò blocca da quello scemo là! Famolo uno de 'sti fanzine, tanto c'avemo tutto quello che ce serve! Ora', te puoi pensa' alle cose de satira, tanto c''o so che continui a sclera' 'n esametro pure se nun passi manco du' righe ad Ovidio. Virgilio, se ce se mette 'n attimo e nun riattacca co' le api, può benissimo scrive' qualche egloga decente e qualche articoletto de cultura. Properzio pensa alle poesie, tanto co' Cinzia c'ha sempre materiale".

"Ce semo mollati, aridaje!" lo interruppe Properzio alzando gli occhi al cielo.

"Ma tanto tempo 'na settimana e ricominciate a 'nfilavve ovunque pe' caglia'. Io faccio er taglia e cuci e ricopio 'e cose vostre, perché voi raga, nun ve offennete, scrivete propio 'na merda".

"Ma 'n quattro, co' i ritmi lenti che c'avemo, nun lo riempimo 'n foglio, Mecena'" obiettò Orazio facendo una volta tanto la parte di quello realista.

"Ce stanno tutti quelli che odiano Ovidio e che nun pubblicano sur giornalino scolastico pe' protesta", gli rispose Virgilio, "Catullo e Saffo, ad esempio, ma seconno me pure Lucano e Seneca ce possono passa' 'ca cosa".

"E poi, se alla fine avete un buco, ci sono anche io, se serve" si propose timidamente Dante.

Mecenate gli sorrise amabilmente, cominciando a capire perché il suo migliore amico non faceva altro che parlare bene di lui. Si sentiva entusiasta e al settimo cielo: il solo pensiero di tornare alla direzione di un giornalino gli fece ritornare quel buonumore e quell'energia che aveva perso nelle ultime settimane, da quando Catone il Censore aveva deciso per il cambio di redazione.

"Vado a pija' i fogli, così cominciamo a...".

"Cominciate 'n bel niente. So' 'e sette: che volemo fa'? A casa, daje: ar fanzine ce potete pensa' domani!", li rimproverò bonariamente Marzia, ma con un tono che non ammetteva repliche, "Poi Dante dovrà tornacce a casa, no?".

"Non si preoccupi, ho il treno alle otto" la tranquillizzò il fiorentino.

"Appunto: spicciateve a risistema' tutto, così accompagno Dante 'n stazione e ve riporto a casa. Er primo che se lagna se piglia 'na cucchiarella 'n capo. Ce semo capiti?".

"Sì, Sora Capitano!" risposero all'unisono i quattro romani, lasciando il ragazzino con un'espressione confusa: avrebbe voluto chiedere spiegazioni, ma non gli parve proprio il caso. 

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