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Capitolo XVII

Orazio sedeva al tavolo di un vecchio bar che faceva angolo e addentava con una certa voracità il maritozzo che teneva in mano. Aveva creduto che tutta la storia del "quando doni il sangue poi ti senti fiacco" fosse una scusa inventata da suo padre per non fare niente per l'intera giornata, ma doveva ammetterlo: se non fossero andati subito a fare colazione, probabilmente sarebbe svenuto.

Era stato difficile per lui restare pulito e morigerato per quelle settimane - buona alimentazione, niente alcol, niente erba - ma si era fatto coraggio dicendosi che era per una buona causa e che così avrebbe in parte pagato il suo debito con l'universo.

"Bono, eh" commentò suo padre, sorridendo leggermente perché suo figlio si era sporcato mezza faccia di panna e zucchero a velo, come sempre accadeva da quando era piccolo.

Orazio annuì e bevve un sorso di cappuccino. Loro due non passavano molto tempo insieme, visto che entrambi erano sempre occupati o con il lavoro o con le proprie avventure epiche, ma il suo vecchio ci teneva molto a quei momenti padre-figlio e provava a ritagliarne uno ogni volta che poteva, anche se non molto spesso.

"Mo però stasera nun te anna' a ubriaca': okay che 'sto periodo sei stato bravo, però nun recuperemo tutto in 'na sera, eh" gli disse cercando di essere divertente, ma senza nascondere una certa preoccupazione.

Orazio non sapeva bene come avrebbe dovuto rispondere: lo sapeva benissimo che i suoi eccessi non potevano rimanere inosservati agli occhi di quell'uomo, che aveva sempre ogni cosa sotto controllo, ma credeva che avrebbe ricevuto una paternale delle solite, di certo non una battuta di quel genere. Sostenne il suo sguardo, alla ricerca delle parole giuste per non incriminarsi ulteriormente, ma non gli venivano in mente e rimase in silenzio.

"Nun me guarda' co' quella faccia: so' stato giovane pure io".

"'n secolo e mezzo fa" pensò il ragazzo.

"Va be', pa', ma mica sgravo" imboccò la via della minimizzazione Orazio, giudicandola la migliore per il momento.

"Sì, sì, come no!", esclamò suo padre, ma non con il suo solito paternalismo assassino, "Quanto puoi ave' bevuto prima de Natale pe' dove' anna' a dormi' da Virgilio e dimenticatte de avvisa' tu' madre? Nun dico io, ma tu' madre!".

Orazio abbassò lo sguardo e finse di essere particolarmente interessato ad una macchia incrostata del tavolino. Non si vergognava affatto per la sua filosofia del Carpe diem!, ma si sentiva un po' in colpa ad aver fatto preoccupare sua madre, che era sempre stata così buona con lui. Avvertiva gli occhi da falco di suo padre puntati addosso a lui, quella loro fermezza, quella loro severità. Quando era piccolo credeva che fossero terrificanti solo quando tornava a casa dal lavoro con l'uniforme ancora in ordine, ma crescendo si era reso conto che continuavano a spaventarlo anche in borghese: perché suo padre era una guardia e una guardia lo è sempre.

Poi, quasi all'improvviso, suo padre sospirò teatralmente, come se volesse attirare la sua attenzione, ma lui mantenne la testa bassa, credendo che fosse una trappola per costringerlo a guardarlo dritto in faccia mentre partiva con uno dei suoi discorsi sulla morigeratezza.

"Me ricordi me quanno ero pischello e questo me preoccupa, Ora'" esordì con una voce insolitamente tenera.

"Se, va be'" si lasciò sfuggire il ragazzo con tono sarcastico.

"So' serio, Ora'. Guarda che ai tempi mia io ero come te e facevo danna' tu' nonno. Se so' così severo co' te è perché nun voglio che te ripeta gli stessi errori mia".

"Der tipo?" chiese con aria insolente suo figlio.

"Der tipo che 'na volta momenti annavo 'n coma etilico".

Orazio spalancò gli occhi e li fissò in quelli di suo padre. Non riusciva ad immaginare che, con tutta la sua rigidezza morale e l'impostazione militare, fosse stato uno scapestrato come lui. Per un momento gli venne il dubbio che stesse mentendo e che quella fosse tutta una farsa, ma non sapeva mentire, era più forte di lui.

"Ero mezzo sfasciato e annavo sempre a be'", cominciò a raccontare il suo vecchio leggendogli in volto il suo scetticismo, "Me facevo le canne e tutto er pacchetto. Tu' nonno momenti m'ammazzava, tu' nonna me stava sempre a cazzia'. Tu' madre nun me se filava de striscio perché c'avevo fama de' don Giovanni e Marzietta, quanno me vedeva 'n giro, se faceva er segno d''a croce. Catone l'Uticense quasi me menò 'na volta che me misi a fa' 'a posta a tu' madre fori casa loro, visto che stava sempre d''a madre de Virgilio!".

Suo figlio lo guardò stupito: non avrebbe mai creduto di avere così tanto in comune con suo padre. Lo aveva sempre visto come uno di quegli uomini fedeli ai loro valori e inflessibili, un po' come il nonno di Virgilio, e invece non era sempre stato così. Si sorprese a pensare che, se fossero stati adolescenti negli stessi anni, probabilmente sarebbero andati molto d'accordo.

"E poi?" domandò Orazio.

"E poi so' quasi finito 'n coma etilico e me so' cagato sotto. Me so' 'nfilato 'n accademia er prima possibile, sperando che 'a disciplina militare me desse 'na mano a rimettemme 'n riga: c'è riuscita, alla fine. So' uscito, ho fatto carriera e ho conquistato tu' madre. Però questo nun vor di' che ho messo da parte er divertimento".

"'nfatti te vedo che stai sempre super sciallo" commentò ironico l'altro.

"Certo, er Carpe diem!, come lo chiami te, te fa' diverti' e tutto er resto, ma te può pure porta' quasi a mori' 'n ospedale".

"E quinni che fai, nun te diverti mai pe' nun sgrava'?".

"No, Orazio, no. C'è 'na misura 'n tutte 'e cose, 'n'aurea mediocritas che te gasa senza fatte rischia' grosso: te la devi gesti' bene. Puoi be' e sta' brillo senza ubriacatte. Magari nun fatte 'na canna, così sarvi i neuroni che c'hai. Puoi fa' sesso senza anna' co' tutte. Aurea mediocritas, Ora'".

Orazio dovette ammettere a se stesso che suo padre aveva ragione: ormai la sua filosofia stava cominciando a fare acqua da tutte le parti e finiva puntualmente per ritrovarsi dopo una festa più malinconico di quanto non lo fosse prima, per non parlare poi dei postumi della sbronza e i recenti insuccessi col gentil sesso.

"E come se raggiunge 'sta cosa?" domandò serio.

"Co' l'esperienza: devi 'mpara' a regolatte da solo", gli rispose suo padre, "E spero che la raggiunga presto, piccole', visto che ormai nun te posso più fa' più de tanto. Sei grande ormai".

"Ce proverò, pa'. Sur serio" disse il ragazzo senza ironia.

Lo sguardo del suo vecchio si addolcì, illuminandosi di una luce che gli aveva visto raramente, la stessa che ardeva nei suoi occhi nel filmino del matrimonio che i suoi genitori gli avevano fatto vedere chissà quante volte.

"Lo dico pe' er bene tuo, Ora', perché te voglio be'".

"Lo so, pa'. Te voglio bene pure io".

Suo padre gli diede un buffetto affettuoso e sorrise.

"Mo' finisci de magna' che li cugini tua arrivano a Tiburtina tra mezz'ora e nun me fido a lassa' Paolina da sola co' Antonio" disse dopo aver bevuto il suo espresso.

Orazio si trovò ad essere perfettamente d'accordo con lui e si sbrigò a far fuori il maritozzo, pensando che ogni minuto di ritardo aumentavano la possibilità che suo cugino si perdesse la sorellina in stazione.

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