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Capitolo XVI

Mecenate fece un respiro profondo ed entrò in classe. Si era stampato in faccia uno dei suoi soliti sorrisini falsi e cercava di apparire il più tranquillo possibile. Virgilio e Orazio lo guardarono con occhi indagatori che dicevano: "Ch'hai fatto?". Il ragazzo si sedette al suo posto e rispose con un gesto silenzioso.

Dopo.

Mentre Omero tentava invano di spiegare per l'ennesima volta come si riconosce un aoristo terzo, non senza nascondere una certa disperazione per quei maturandi incapaci di tradurre decentemente perfino Senofonte, Virgilio e Orazio si scambiavano sguardi preoccupati: il volto del loro amico era sereno, ma nelle tasche dei pantaloni le mani erano strette a pugno, serrate a tal punto che le unghie si conficcavano nella carne viva. Era un vizio che aveva sempre avuto, uno dei piccoli sfoghi che si concedeva per non lasciarsi vincere dalla rabbia o dalla tristezza.

Non appena la campanella decretò finalmente l'inizio del primo intervallo, i due si precipitarono con una certa solerzia da Mecenate.

"Che cazzo è successo, oh?" chiese Orazio con fare un po' brusco.

"Non qui" furono le uniche parole che Mecenate riuscì a dire, la voce spezzata di chi è sul punto di piangere.

I tre si mossero come se fossero stati una cosa sola e sgattaiolarono fuori dalla porta d'emergenza, nascondendosi poi sotto alla scale antincendio: lì nessuno li avrebbe né visti né sentiti.

"Ma ce voi di' ch'è successo? Ma è greve 'a cosa?" domandò impaziente Virgilio, che stava cominciando a preoccuparsi sul serio.

Mecenate raccontò tutto: la predica del Censore, le insinuazioni riguardo alla sua parzialità per Orazio e le critiche omofobe alla poesia di Virgilio. E poi disse della bugia di Ovidio, dello sguardo trionfante che aveva quando il preside gli aveva annunciato che ora era lui al comando della direzione del giornalino, che era riuscito a sottrargli tutto quello a cui aveva lavorato negli ultimi anni, cercando di affermarsi come Mecenate e non come "l'amico frocio de Augusto". Si era talmente sforzato nelle ultime due ore a trattenere le lacrime che queste non ne poterono più di rimanere imprigionate e iniziarono a rigargli le guance. I singhiozzi gli spezzavano il respiro e la voce di tanto in tanto, impedendogli di parlare come voleva. Orazio e Virgilio rimasero ad ascoltarlo a bocca aperta e con gli occhi sgranati, deducendo da sé quello che il loro amico non riusciva a dire chiaramente per il troppo pianto.

"Stavolta lo scrocio! Basta: ho deciso!", esclamò Orazio pieno di rabbia, "Ma chi se crede de esse' 'sto cojone, eh! Er Censore è 'n conservatore e se sapeva, ma Ovidio che gioca così sporco nun se può accetta'! 'ndo sta, che lo corco de così tante botte che...".

"Calmate, tigre: nun sei d'aiuto così", lo interruppe Virgilio fulminandolo con lo sguardo, "Mena' a quer cojone nun risolve niente. Ma te c'hai provato a spiegagliello che quello nun t'ha mannato Militat omnis amans?".

"E c'ho provato sì, ma quello probabilmente stava a cerca' 'na scusa bona pe' cacciamme" rispose Mecenate piangendo.

"Ma perché mo dici così?" domandò Orazio stranito.

"Perché c'ha ragione Catone! Da quanno ho litigato co' Augusto me stanno a fa' terra bruciata 'ntorno: nun me salutano più, nun me mannano i pezzi, manco se degnano de risponnemme quanno chiedo spiegazioni!", scoppiò Mecenate sfogandosi, "Tutto perché nun me so' piegato a li ordini sua, quer cojone! Fa tutto er caruccio, però me 'nsulta dietro! Però me piace lo stesso, mortacci mia! Ma che problemi c'ho?".

Orazio non riuscì più ad assistere a quello spettacolo pietoso e lo abbracciò stretto un po' goffamente, vista la differenza di statura tra i due. Mecenate si lasciò completamente andare al pianto e ai singhiozzi che aveva tenuti nascosti per settimane nel suo petto, affondando la testa nel cappuccio del suo amico.

"Manco du' ceffoni?" mimò con le labbra il ragazzo a Virgilio.

L'altro scosse la testa sospirando e si unì a quell'abbraccio di conforto. Non era abituato a quelle dimostrazioni d'emotività: Mecenate aveva sempre preferito affrontare da sé le sue emozioni e i suoi problemi. Anche Virgilio faceva lo stesso, ma lui sapeva di poter sempre contare su Marzia e i suoi amici, mentre Mecenate aveva costantemente paura di aprirsi con loro, come se questo li avrebbe feriti.

"Sfogate, nun te preoccupa': te fa be' piagne'" lo consolò come meglio poteva Virgilio.

"Me sento 'na merda così però" ridacchio Mecenate tra le lacrime.

"E perché mo?".

"Perché te c'hai da combatte co' tu' padre e co' tu nonna, 'st'altro momenti ce finisce ar fresco pe' Pirra e io 'sto a piagne' come 'n cojone pe' du' stronzi!".

"Gli stronzi so' sempre stronzi: mica conta quanti ne tenemo! Che nun te pare er caso de scarica' er cesso 'na volta tanto?", lo rimproverò Orazio dolcemente accarezzandogli la testa bionda, "Nun te devi fa' 'sti complessi der cazzo co' noi, Mecena': semo amici tua, stamo ecco pure pe' questo!".

Mecenate tirò su col naso un paio di volte e sciolse l'abbraccio di gruppo. Aveva gli occhi rossi e un po' gonfi, ma nulla di così tanto eclatante da attirare l'attenzione. Si asciugò le lacrime che erano rimaste sulle guance con la manica della felpa, un po' a disagio per quella situazione. Quelle scenate non gli piacevano: gli facevano bene, questo sì, però lo facevano sentire uno schifo. Sapeva perfettamente che i suoi amici non lo avrebbero giudicato, né tantomeno gli avrebbero dato dietro della femminuccia, ma certe ferite erano lente a guarire e le sue sembravano proprio non volersi cicatrizzare.

"Qual è la fine più triste che può fa' 'n ravanello?" domandò sarcastico Orazio, che aveva sempre una battuta oscena da sfoderare in questi casi.

"Cazzo ne so?" rispose Mecenate intuendo dove volesse andare a parare.

"Fini' ner culo de Ovidio e Augusto! 'na finaccia, eh, ma quei due se lo meritano" concluse l'altro scoppiando a ridere.

"Mo nun ricomincemo co' le liste de proscrizione, eh" commentò Virgilio, che ricordava fin troppo bene come fosse andata a finire l'ultima volta che il suo amico aveva provato a farsi giustizia da solo.

La campanella suonò.

"T'ha sarvato 'a campana, se no cor cazzo che te scampavi 'na bella spiegazione su come se sistemano 'e cose" disse Orazio con aria inquietantemente seria.

"Se, se, va be. 'namo tigre, che mo ce' 'sta Eraclito che riattacca co' i fiumi" concluse con tono canzonatorio Virgilio mentre si facevano strada verso la loro classe.

Mecenate sorrise nell'assistere alla loro ennesima scaramuccia da vecchia coppia sposata e, senza aspettarselo, si ritrovò stretto per le spalle da un braccio di Virgilio.

"Scherzi a parte, facce 'n segno e noi gliela famo paga' a quei du' stronzi, 'n qualche modo" gli assicurò Virgilio senza farsi sentire da Orazio.

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