Capitolo XLIV
Virgilio aveva pensato a quell'esatto momento un milione di volte e aveva calcolato ogni possibile imprevisto per sapere sempre cosa fare ed essere perfetto. Non aveva, però, fatto i conti con le sue emozioni. Gli era bastato, infatti, chiudersi la porta alle spalle e avere la consapevolezza di essere finalmente da solo col suo Dante per provare quella sensazione che si sforzava di prevenire da una vita: il panico più totale.
Il fiorentino se ne stava seduto a gambe incrociate sul letto a due piazze e teneva lo sguardo fisso sulla coperta con un'aria infantile e pura che ammaliò il romano. Erano nervosi - d'altronde era la prima volta per entrambi - e avevano una paura fottuta di rovinare ogni cosa o di non essere abbastanza veloci, abbastanza bravi, abbastanza perfetti.
Il maggiore si sentiva in dovere di fare qualcosa: era stato lui ad invitarlo lì, era stato lui a fare battute oscene quella mattina, era stato lui a portarlo in camera prima che gli altri andassero a dormire. Si sentiva in dovere di fare qualcosa, ma non sapeva che cosa.
"Te va de balla'?" chiese timidamente, dando voce alla prima opzione venutagli in mente.
"Ma certo!" rispose l'altro entusiasta, il rossore sulle sue guance tradiva un certo imbarazzo.
"Bene, cojone: mo che ve ballate?" pensò Virgilio maledicendosi.
Non era mai stato un grande amante delle canzoni romaniche, né tantomeno conosceva quali lenti si ballassero alle feste: di solito in quei momenti lui si trovava lontano dalla pista da ballo, molto probabilmente prendendo un po' d'aria per non vomitare.
Aprì Spotify e restò qualche istante fermo ad osservare la barra di ricerca, non sapendo bene che cosa cercare. Poi, quasi all'improvviso, nella sua mente risuonò il ritornello di una vecchia canzone che soleva ballare con sua madre quando era piccolo. Digitò velocemente il titolo e ben presto quelle note familiari riecheggiarono nella stanza.
Watchin' every motion in my foolish lover's game, on this endless ocean, finally lovers know no shame
Dante si avvicinò al suo ragazzo e gli cinse il collo con le braccia, mentre le mani dell'altro gli stringevano i fianchi. Iniziarono a dondolare lentamente al suono della musica, guancia a guancia, respirando l'uno l'odore dell'altro.
Watchin' in slow motion as you turn around and say: Take my breath away
I loro nasi si sfiorarono mentre cominciavano a baciarsi con dolcezza, senza fretta, assaporandosi come se fosse stata la prima volta. Il minore si mise sulle punte per poter essere ancora più vicino a quel volto che avrebbe riconosciuto tra mille, che amava più di ogni altro al mondo.
When the mirror crashed, I called you and turned to hear you say: If only for today, I am unafraid, Take my breath away
Le mani del maggiore si fecero più ardite e si insinuarono sotto alla maglietta del suo amato, accarezzandogli la schiena. I loro baci si fecero sempre più voraci, sempre più appassionati, sempre più frenetici ed eccitanti. Le labbra di Virgilio si posarono sul collo di Dante e iniziarono a baciarlo. I loro respiri si fecero sempre più affannati, i loro corpi ricercavano disperatamente di essere ancora più vicini.
Watchin' every motion in this foolish lover's game. Haunted by the notion, somewhere there's a love in flames
"Babe, ti voglio", gli mormorò quasi ansimando il romano, "Cazzo, nun sai quanto ti voglio".
Il fiorentino non se lo fece ripetere due volte e, trattenendolo a sé, indietreggiò verso il letto. Il maggiore lo spinse sulla coperta e lo sovrastò col suo corpo, senza smettere nemmeno per un attimo di baciarlo. Lo sentì gemere flebilmente mentre gli sfilava i pantaloni per strusciarsi meglio sul suo pube. Un brivido gli percorse la schiena mentre il minore gli toglieva la felpa e si aggrappava con desiderio alle sue spalle.
"Ti amo" disse Dante prima di ribaltarlo e mettersi sopra di lui.
"Te amo pure io, babe" sussurrò l'altro piacevolmente stupito da quel risvolto.
Il ragazzino si levò la maglietta con il gesto più rapido e aggraziato che Virgilio avesse mai visto: era così bello, con quei capelli corvini liberi dal berretto e scompigliati, con quegli occhi che brillavano alla luce della lampada sul comodino, con quel fottutissimo sorriso. Era piuttosto mingherlino e per niente muscoloso, ma quel fisico esile era così ammaliante e avrebbe voluto baciarne ogni centimetro.
"Che c'è?" domandò Dante notando la sua espressione.
"Sei bellissimo, cazzo!" rispose l'altro prima di mettersi a sedere per fiondarsi sulle sue labbra.
Take my breath away. My love, take my breath away
Finirono di spogliarsi a vicenda continuando a baciarsi e afferrandosi voluttuosamente. Non appena avvertì la mano del suo amato muoversi attorno al suo pene, Virgilio gli affondò le dita nella carne morbida e accaldata del sedere e cominciò a gemere di piacere. Posò la fronte nell'incavo del suo collo e si maledisse per quegli ansimi che, impedendogli di parlare, non gli permettevano di esprimere quello che provava in quel momento.
Lo amava. Lo amava con tutto il suo corpo, con tutto il suo cuore, con tutta la sua anima. Non avrebbe mai creduto di poter amare così tanto qualcuno senza morirne. Amava il suo odore, amava il suo calore, amava i suoi fianchi stretti, amava la linea delle sue spalle, amava il suo sedere, amava il modo in cui le sue mani lo facessero fremere sotto di lui.
Il romano non ce la faceva più a trattenersi. Sfruttò il suo stesso peso a suo favore e ribaltò le loro posizioni, così da ritrovarsi tra le gambe del ragazzino più dannatamente straordinario che avesse mai conosciuto. Si avventò sul suo collo e lo baciò. Poi scese sul suo petto e poi giù sul suo addome, lasciando una scia di succhiotti a segnare il suo passaggio. I mugolii di piacere del minore non facevano altro che incoraggiarlo ad andare avanti, fino a quando non iniziò a praticargli una fallatio. Lo sentiva tremare ogni volta che muoveva la bocca sopra di lui e gli strinse i boccoli biondi quando aumentò il ritmo per farlo godere di più.
"No... Amore, non così" lo fermò dolcemente il fiorentino mettendosi a sedere.
Per un istante il maggiore credette di aver fatto qualcosa di sbagliato, ma bastò uno sguardo per capire che cosa volesse il suo amato. Allungò un braccio e frugò sotto al letto, alla ricerca del borsone che si era portato dietro.
"Ma 'ndo cazzo sta, mortacci sua?" imprecò infastidito Virgilio facendo ridere Dante.
Alla fine lo trovò - il bastardo era scivolato più in fondo del previsto - e ne tirò fuori il sacchetto della farmacia.
"Ma cosa?" cinguettò il ragazzino.
"Mi' nonna, ecco cosa" rispose sinteticamente l'altro aprendo un preservativo.
I due restarono a guardarsi per un istante, incerti sul da farsi, ma poi il fiorentino gli strappò di mano il profilattico e glielo infilò per bene. Poi ripresero a baciarsi, ma con più tenerezza, eccitati da quello che sarebbe accaduto nel giro di poco. Senza staccargli le labbra di dosso, il maggiore cosparse le mani di lubrificante e inserì lentamente un dito nel più piccolo.
"Oh maremma maiala!" esclamò gemendo.
"Che t'ho fatto male?" chiese preoccupato il suo amato.
"Sì. Cioè no. Continua, ti prego".
Aspettò che Dante si fosse abituato a quella sensazione e poi aggiunse un altro dito, provocandogli la stessa reazione.
"Sei pronto?" gli domandò trepidante di desiderio.
"Sì" gli rispose l'altro quasi sussurrando.
"Te amo, babe".
"Ti amo anche io".
Virgilio si sistemò meglio tra le gambe di Dante e lo penetrò con delicatezza, temendo di fargli troppo male. Le cosce del fiorentino si strinsero attorno ai suoi fianchi, come se volessero impedirgli di andarsene via. Le loro bocche si cercarono e si trovarono in quel tripudio di sensazioni nuove e totalizzanti. Le loro mani si intrecciarono mentre il romano si muoveva dentro di lui. I loro respiri si fecero sempre più affannati, interrotti solo dai gemiti di piacere sempre più frequenti.
Se prima aveva creduto di amarlo, in quel momento il maggiore realizzò che cosa significasse davvero amare qualcuno. In quel preciso istante, lui non era più il Virgilio con i drammi familiari e l'altro non era più il Dante insicuro che viveva ancora nell'armadio: erano solo due anime affini che si amavano alla follia e volevano fondersi in una sola.
Mentre osservava il viso estasiato dell'amore della sua vita, capì per quale motivo la gente fosse pronta a dare tutto, a rovinarsi, a morire per amore.
Mentre raggiungevano l'orgasmo quasi contemporaneamente, realizzò veramente per la prima volta che, per quanto quel ragazzino sapesse essere infantile, vagamente egocentrico e assillante, si sarebbe strappato il cuore dal petto piuttosto che saperlo infelice.
Stremato ma incredibilmente felice, posò il capo sul petto del fiorentino e riprese fiato. I loro corpi erano sudati e accaldati, ogni fibra dei loro muscoli chiedeva supplicante un time-out.
"Maremma bucaiola, è stato..." mormorò Dante sorridendo come mai aveva fatto in vita sua.
"Meraviglioso", finì per lui la frase l'altro alzando la testa per guardarlo negli occhi, "Ma me la puoi spiega' 'na cosa?".
"Certo, dimmi" disse preoccupandosi.
"Te sei bellissimo, okay? Ma come cazzo fai ad esserlo ancora de più dopo che avemo scopato? Che c'è, c'hai tipo 'a scorta de figaggine nascosta da qualche parte?".
"Mi stai solo leccando il culo perché te l'ho dato" commentò ridendo il minore.
"Nun damme strane idee, che sarò pure sfinito, ma 'e trovo 'e forze pe' ricomincia'!".
"Ed io non avrei nulla in contrario".
"Mortacci tua!", imprecò bonario Virgilio, "Io cerco de damme 'na regolata e te me fomenti?".
Ricominciarono a baciarsi. Il minore gli accarezzò le guance ispide e gli passò una mano tra i riccioli spettinati. Osservò incantato quegli occhi azzurri e glaciali, ma che gli stavano trasmettendo così tanto calore e amore, come non ne aveva mai provato prima.
"Ti amo, Virgilio" disse con aria sognate.
"Te amo pure io, Dante" gli fece eco l'altro.
Si abbracciarono sotto alle coperte, tenendosi ben stretti, pelle contro pelle. Il romano chiuse gli occhi per godersi meglio la pace che provava a starsene così, con l'altra metà della sua anima avvinghiata a sé.
"Restamo così pe' sempre" mormorò iniziando ad addormentarsi sfinito.
"Morissi adesso, morirei felice" sussurrò il fiorentino giocando con i suoi capelli.
"Cazzo te mori, che poi faccio come Achille ed è finita?".
"Non ti preoccupare", rise affettuosamente, "Prima andiamo vivere insieme e poi, forse, potrei anche...".
"Potresti anche un cazzo", lo interruppe l'altro, "Te stai co' me a vita, punto e basta. Capace che me te sposo, pure se i matrimoni me fanno schifo. Mo so' cazzi tua fino a quanno nun ce moremo. Però mo basta co' 'sti discorsi e baciame, scemo".
Dante sorrise compiaciuto e divertito dall'espressione imbronciata e infantile con cui il suo amato gli aveva detto quelle ultime parole. Di una sola cosa era sicuro: qualsiasi cosa sarebbe accaduta, nulla gli avrebbe impedito di essere suo per sempre.
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