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Capitolo XLI

"Nun te sopporto quanno fai così, Ora'" si lamentò Mecenate sedendosi scompostamente sugli spalti.

"Io nun te sopporto quanno eviti 'e cose, quinni stamo pari" gli rispose Orazio rimanendo in piedi.

"Io nun le evito, le cose" protestò il biondino.

"Sì, come no!", sbuffò l'altro, "S'è visto 'nfatti come affronti 'e cose de petto!".

"T''o sei già scordato che ho affrontato Ovidio stamattina o sei solo stronzo?".

"Nun te lo ricordi che l'hai evitato pe' mesi o stai a fa' così pe' nun parla' der bacio?".

"Mado', Ora'!". Mecenate alzò gli occhi al cielo per non doverlo guardare. "Solo quello c'hai 'n capoccia?".

"Perché, te no?". Orazio sollevò un sopracciglio. "Co' tutte 'e paranoie che te fai, sicuro nun c'hai dormito 'ste notti".

"Mo nun fa' er tragico!".

"Guarda che sei te che sei scappato via urlando, mica io".

Sugli spalti c'erano solo loro due, tutti gli altri stavano correndo intorno al campo da pallavolo per riscaldarsi. Per quanto Mecenate odiasse l'attività fisica, avrebbe preferito starsene con i suoi compagni di classe a sudare piuttosto che a parlare con quel ragazzo. Si sforzava con tutto se stesso di mantenere una parvenza di autocontrollo, cercando di non far trapelare la sua agitazione.

"Nun ho fatto er tragico" protestò infastidito, pur sapendo che era stato davvero una drama queen.

"'nfatti è normalissimo fa' 'na scenata der genere. Però nun m'ha risposto" disse Orazio piantandosi di fronte a lui e fissandolo intensamente.

"Nun t'ho risposto a che?".

"T'è piaciuto o no?".

"Nun lo so!" mentì il biondino messo alle strette.

"Ma come fai a nun sapello!" esclamò il ragazzone esasperato.

Non era poi così difficile: sì o no. Avrebbe voluto rifarlo o l'idea lo disgustava. Si era eccitato o era rimasto indifferente. Aveva avvertito l'incredibile desiderio di non smettere o no.

"So' confuso, va be'?", ammise alla fine Mecenate, "Nun ce sto a capi' 'n cazzo. Questo te volevi senti' di'?".

"Ma confuso de che, Mecena'?" domandò.

Quello stato d'incertezza lo stava divorando lentamente dall'interno. Sapeva di dover essere comprensivo: lui stesso ci aveva messo del tempo per capire e accettare di essersi innamorato del suo migliore amico, conosceva quale tarlo corrodesse l'anima a sapersi attratti da qualcuno che si considerava alla stregua di un fratello. Sapeva di doverci andare piano con lui, ma non era mai stato paziente, né tantomeno delicato: lui era un uomo d'azione, lui non era in grado di starsene lì ad aspettare che l'altro facesse chiarezza. Smaniava di scoprire se avrebbe mai potuto baciarlo di nuovo, se avrebbe assaggiato il sapore delle sua labbra di nuovo, se avrebbe avvertito il suo calore di nuovo.

"Senti, so' confuso: che cazzo ne so?".

Quella risposta lo fece imbestialire: stava evitando di affrontare la realtà perché la risposta avrebbe cambiato ogni cosa.

"Vieni co' me" gli ordinò afferrandolo per un braccio e costringendolo ad alzarsi.

"Che cazzo vuoi mo?" chiese l'altro provando ad opporgli resistenza.

"Te schiarisco le idee" rispose strattonandolo.

Mecenate non riuscì a resistergli a lungo, visto che Orazio aveva molta più forza fisica di lui, e si lasciò guidare giù per gli spalti, lungo il corridoio verso i bagni. Il suo cuore batteva all'impazzata e cominciò a sudare freddo. Era spaventato da quell'improvvisa aggressività, anche se non gli avrebbe mai fatto del male, e cercava di non incontrare il suo sguardo fiammante. Lentamente, la mano di Orazio scivolò lungo il braccio dell'altro e si intrecciò nella sua, tenendola ben salda mentre lo spingeva nel primo bagno libero.

"Orazio" disse con voce rotta dal fiatone, sebbene non avessero poi corso così tanto.

Il sangue gli pulsava con forza nella vene e ogni fibra del suo corpo era in allerta, tesa come una corda di violino. Orazio chiuse la porta alle loro spalle e lo mise con le spalle addosso alle mattonelle fredde della parete. Era perfettamente consapevole di essere violento, ma non gli importava: erano giorni che pensava solo ad una cosa ed era pronto a tutto pur di soddisfare quell'unico desiderio. Voleva prendergli il volto tra le mani e fiondarsi sulla sua bocca, mordergli le labbra mentre lo baciava, sentire le loro pelli accaldate che si sfioravano. Ma non lo fece.

Mecenate lo osservava con occhi lucidi e sbarrati, come quelli di un cerbiatto fermo in mezzo alla strada che vede avvicinarsi all'improvviso i fari di una macchina. Tremava leggermente, anche se era evidente che stesse provando a darsi un contegno, e le unghie delle mani erano conficcate nella carne viva dei palmi.

"Me dispiace. Io...". Orazio lasciò la presa e fece qualche passo indietro, disgustato da se stesso e da quello che stava causando alla persona che amava di più al mondo. "Me dispiace. Nun so che m'è preso".

Era stato troppo brusco, se ne rendeva conto: Mecenate non era mai stato amante del contatto fisico e ancora di più dopo Varo.

"Oh cazzo: Varo! Glie avrò ricordato Varo!" si rimproverò maledicendosi.

La sola idea di aver riportato alla sua mente i ricordi di quella terribile sera lo fecero sentire un verme e gli venne istintivamente da piangere. Davvero aveva potuto fare una cosa del genere? Davvero era stato così tanto concentrato su se stesso e su cosa voleva lui da non considerare che cosa volesse l'altro?

"So' 'n cojone" sospirò prima di uscire a passo svelto dal bagno.

"Ora', aspetta!" lo trattenne per la felpa Mecenate.

Il ragazzo si voltò, anche se non era pronto a percepire su di sé quello sguardo che pareva urlare chissà cosa.

"Senti, me dispiace, okay? Io..." si scusò mangiandosi un po' le parole per la tensione, ma non riuscì a terminare la frase: fu messo presto a tacere dalle labbra del biondino, che si erano fiondate sulle sue con una certa foga.

Sorpreso da quel gesto, all'inizio rimase come paralizzato, ma poi si rilassò e lasciò che le sue mani scorressero tra quei capelli biondi che tanto gli erano mancati, anche se ne avevano ancora di strada da fare per ritornare alla lunghezza originaria.

"Questo me piace", spiegò Mecenate mormorando, "Questo me piace più der previsto. Ma nun ce sto a capi' 'n cazzo su tutto er resto: me piace Batillo, me piaci te, ma nun t'ho mai visto 'n 'sto modo prima de venerdì. Devo capi' che c'ho esattamente 'n capoccia e che cazzo devo fa' pe' esse' felice senza fa' soffri' nessuno. Capisci?".

"Ho capito" annuì l'altro accontentandosi di quelle parole.

"Me serve der tempo pe' capi' bene che devo fa'" aggiunse quasi sospirando.

"Va be', ho capito. Se te serve der tempo, pigliatelo: t'aspetto. Posso aspetta' pure du' secoli e e mezzo pe' te. 'ntanto però te posso bacia'?".

"Te prego, sì" rispose il biondino reclamando di nuovo quelle labbra che l'avevano perseguitato nelle notti precedenti.

Orazio gli afferrò la nuca per tenerlo fermo mentre lo baciava e, stavolta dolcemente, lo spinse nel primo bagno libero, così da poterlo assaggiare senza correre il rischio che qualcuno li notasse.

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