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Capitolo XL

"E te continui a nun vole' fa' niente" commentò Mecenate scuotendo il capo con disappunto.

"E che ce vuoi fa': sarà pure 'n cojone, ma è sempre mi' padre" sospirò rassegnato Virgilio affondando le mani nelle tasche dei pantaloni.

Aveva raccontato ogni cosa, tenendo gli occhi bassi per non incontrare gli sguardi di pietà e rimprovero dei suoi amici. Aveva passato la notte precedente a ripetersi ancora e ancora che non avrebbe detto un bel niente di quanto accaduto per non farli preoccupare, ma aveva avvertito il bisogno di parlarne, di sfogarsi, di non sentirsi da solo nel sopportare sulle sue spalle il peso del mondo.

"E quinni vuoi sopporta' tutta 'sta merda in eterno? C''o sai che tu' padre nun se vole fa' aiuta': rischi sur serio de dovecce combatte a vita" chiese Orazio con la sua solita schiettezza un po' brutale.

"Raga, io che ce posso fa'?", esclamò l'altro esasperato, "Nun posso mica lassallo a mori' ner vomito suo! Nun è che posso daglielle! Pe' quanto lo odi, sempre mi' padre è!".

Si fermò di colpo per riprendere fiato: aveva urlato senza nemmeno rendersene conto e il suo petto si alzava e si abbassava velocemente. Orazio e Mecenate misero per un momento da parte quello che era successo tra loro due e si scambiarono un'occhiata complice e allarmata: il loro amico sembrava non rendersi conto di quanto stress e di quanta sofferenza si stesse caricando, nascondendosi dietro alla sua razionalità e alla sua costante calma apparente. Lo abbracciarono, assestandogli qualche pacca sulla spalla, e attuarono quello che, in preda ai fumi dell'alcol, avevano definito PAT: il Piano Ape Triste.

"Hakuna Matata! Ma che dolce poesia!" cominciò Mecenate.

"Hakuna Matata! Tutta frenesia!" lo seguì subito Orazio.

"Senza pensieri la tua vita sarà! Chi vorrà, vivrà in libertà! Hakuna Matata!".

Era una cosa stupida che risaliva alla loro infanzia, ma era ancora efficace. Quando Magia era prossima alla fine e Figulo impediva al figlio di vederla spesso per non farlo assistere alla sua morte, Virgilio era costantemente malinconico e l'unico modo che Marzia aveva trovato per farlo sorridere un po' era stato piazzarlo davanti alla televisione con i suoi amici, i suoi biscotti preferiti e la videocassetta del Re Leone. Gli era sempre piaciuto quel film, anche perché aveva sempre associato Mecenate a Timon e Orazio a Pumbaa, mentre lui, nella sua testa, era Simba.

Era una fantasia infantile che gli era rimasta col crescere e che veniva puntualmente sfruttata dai suoi amici nei momenti in cui il peso della vita ritornava a schiacciarlo. Erano così scemi e buffi mentre cantavano quella canzone, imitando nel volto e nei gesti quelli dei personaggi, il tutto per farlo ridere un po' di più.

"Cominciavo a scor...".

"No, Ora', nun davanti alla nostra apetta innocente!" lo rimproverò Mecenate bonario, cambiando il testo come al solito.

"L'apetta innocente ha quasi cagliato, eh!", si difese Orazio con aria maliziosa, "Quinni tanto innocente nun è!".

"E daje raga: nun me fate rosica'!" esclamò Virgilio senza smettere di sorridere.

"Ma tanto 'n Sabina te rifai ampiamente: nun te ce danna' troppo che 'a frustrazione sessuale nun  te dona" disse il biondino.

"No, 'nfatti!", fece ironico Orazio, "Poi t'hanno solo 'nterotto mentre stavi pe' scopa', mica t'ha detto de no!".

"E daje, Ora': così gliel'aumenti, la frustrazione sessuale!".

"E basta co' 'sto sesso: nun ce sta solo quello, porca puttana! So' contento pure se 'o limono e basta!".

Lo sguardo di Orazio incontrò quello di Mecenate ed entrambi si volsero dall'altra parte. Quell'armonia che avevano costruito per rallegrare Virgilio crollò come un castello di carte e l'imbarazzo ritornò a fare da padrone. Non avevano più parlato sul serio di quei baci smaniosi e affamati scambiati nel bagno di Catullo e Saffo, non avevano ancora provato a discutere di quanto accaduto con lucidità e sincerità.

"Tutto be', raga?", chiese Virgilio insospettito dall'improvviso silenzio calato tra loro, "Che è successo?".

"Ma niente" rispose il biondino liquidando il discorso, ma la sua bugia venne svelata dall'espressione ferita dell'altro.

Il loro amico notò ogni cosa e si domandò che cosa mai avessero combinato stavolta quei due. In ogni caso, era palese che avessero bisogno di chiarirsi e lui, in tale frangente, era decisamente di troppo.

"Io vado ar cesso: voi discuttete der niente" disse infilandosi nella porta antincendio e scomparendo nel corridoio.

I due lo videro andare via un po' perplessi, poi i loro occhi si incontrarono di nuovo: erano costretti a parlarne ora.

All'inizio rimasero in silenzio, non sapendo bene né chi dovesse né come si dovesse cominciare il discorso. Si studiarono a vicenda, cercando di capire chi dovesse fare cosa, che cosa dovessero fare per salvare quel rapporto che, lo vedevano chiaramente, stava rischiando sempre di più di naufragare.

"Perché sei ito via?" esordì Orazio con voce distaccata e fredda, ma i suoi occhi trasmettevano un calore di fiamma.

"Nun lo saccio" rispose Mecenate sospirando.

"Che c'è? Nun t'è piaciuto?" insistette il ragazzone sentendo l'angoscia insinuarsi nel suo petto e stringergli il cuore.

Il biondino affondò le mani nelle tasche e prese a tirare qualche lieve calcio ai sassolini di ghiaia.

"No", ammise facendo sussultare quello che aveva sempre considerato il suo migliore amico, "Cioè sì. Ner senso". Emise un verso gutturale pieno di frustrazione. "'n un certo senso m'è piaciuto".

Orazio non seppe proprio come interpretare quella parole.

"Ma 'n che senso?".

"Ner senso che io sto con Batillo, Ora'", incominciò l'altro con foga, "Lui me piace sur serio e pe' 'na volta me pare de potecce ave' 'na relazione normale! L'ho baciato venerdì, Ora'...".

"Lo so: v'ho visto", lo interruppe, "V'ho visto mentre ve strusciavate addosso e ve magnavate l'anima". Deglutì a fatica e trattenne l'impulso di sputare a terra. "M'avete fatto sali' er vomito".

"Nun me di' così però" sospirò Mecenate sentendosi in colpa per avergli procurato quella sofferenza.

"Ma t''o devo di', invece!", si oppose Orazio impuntandosi, "Te me piaci: è 'n dato de fatto. Appurato. Sicuro ar cento per cento. E pure io 'n po' te piaccio, artrimenti nun avresti risposto ar bacio mio".

Aveva passato i giorni precedenti ripetendosi quella constatazione: l'aveva baciato e lui non l'aveva spinto via subito, anzi. Le sue mani che gli percorrevano la schiena provocandogli dei piccoli brividi e la loro presa salda sul sedere lo tormentavano, non lo lasciavano in pace nemmeno per un istante.

Mecenate tacque, non sapendo che cosa avrebbe dovuto rispondere, soppesando bene le parole da usare per non ferirlo.

La campanella annunciò la fine dell'intervallo, liberandolo da quella situazione scomoda.

"Nun crede che 'sto discorso finisca ecco", disse seccato Orazio con un tono che non ammetteva repliche, "Tanto mo ce sta motoria: ce giustifichemo e parlemo. E nun ce prova' manco a lamentatte: potrai pure fuggi' da Augusto, da Varo, dai tuoi e da tutti i problemi der cazzo che te ritrovi, ma nun te lasserò mai scappa' via da me".

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