Capitolo XII
Il Circolo si era riunito, come ogni settimana, a casa di Virgilio. Mecenate stava seduto alla scrivania e finiva di correggere la bozza del giornalino: doveva pubblicare il tutto entro quella sera e si sentiva addosso l'ansia del poco tempo a disposizione per riordinare i vari pezzi. Orazio e Virgilio, invece, se ne stavano sul letto a fare i compiti di inglese, che aveva gentilmente deciso di mettere un compito in classe alla prima ora del lunedì.
"In this novel, Jane Austen talks about marriage", cominciò a ripetere Orazio, "and she says that people should marry for love and not for money".
"Nun me risulta, eh" lo interruppe l'altro continuando a sfogliare il libro.
"Come nun te risulta? Eli amava er tizio strano e er tizio strano amava Eli".
"Er tizio strano però c'aveva pure 'n sacco de sordi" puntualizzò Virgilio.
"Hai capito Eli!" commentò Orazio.
"Avete scritto quello che dovevate scrive'?" domandò Mecenate intromettendosi nella conversazione.
"Te l'ho mannato via mail stanotte, oh!" rispose Orazio.
"Sì, eccolo. Virgi', er tuo?".
"'n'attimo, nun so do' l'ho messo" disse Virgilio cominciando a rovistare tra i suoi carteggi.
"Ma scrivello ar cellulare pareva brutto?" lo rimproverò un po' infastidito Mecenate.
"Se devo scrive', scrivo, mica me metto a batte' i tasti sur cellulare", spiegò l'altro continuando a mettere ancora più confusione tra i suoi appunti, "Intanto leggice er coso de Orazio, vah!".
Il ragazzo sbuffò e iniziò a recitare ad alta voce i versi del suo amico.
Chi è il ragazzo snello che tra petali di rosa,
cosparso di profumi raffinati, ti vuol prendere,
Pirra, nella grotta accogliente?
Per chi leghi all'indietro la chioma bionda
con semplice eleganza? Oh quante volte piangerà
la promessa e la mutata volontà divina, ed inesperto
guarderà stupito il mare
gonfio per i venti neri,
lui che ora gode illuso il tuo splendore,
lui che ti spera disponibile sempre e dolce sempre,
e non conosce l'incertezza
del vento. Sono infelici quelli per i quali
sei splendida e intoccabile: io, lo testimonia il voto
appeso alla parete sacra del tempio, ho offerto
ormai le vesti del naufragio
al potente dio del mare. (1)
"Un po' più esplicita nun la potevi fa', eh" ridacchiò Virgilio.
"Dai, su, mica è così esplicita!" si oppose Orazio.
"Questa se lega i capelli ed entra 'n 'na grotta co' un tipo che la vole disponibile: direi che è abbastanza ovvio che vogliono scopa', però nun me sembra tanto esplicita" sentenziò Mecenate.
"Visto che c'ho ragione io!" esultò l'altro.
"Te, piuttosto, l'hai trovato er tuo?".
"Sì, tieni" rispose Virgilio allungandogli un foglio mezzo stropicciato.
Mecenate diede un'occhiata a quella grafia tanto piccola e illeggibile che conosceva bene.
"Nun è 'n'altra delle cose tue che le api so' meglio e l'amore fa schifo, ve'?" domandò Orazio un po' scettico osservando la strana espressione che si era dipinta sul volto di Mecenate.
"Chi cazzo è mo Alessi?" gridò sconvolto il ragazzo.
"Alessi?", gli fece eco l'altro con un sorriso sornione, "Damme qua, da'!".
Il pastore Coridone ardeva per il bell'Alessi,
delizia del padrone; ma non aveva nessuna speranza.
Soltanto tra i densi faggi, vertici ombrosi,
veniva assiduamente: lì questi rozzi lamenti
solitario lanciava ai monti e alle selve con inane passione:
"O crudele Alessi, non ti curi dei miei canti?
Non hai compassione di me? Alla fine mi farai morire.
Ora anche le pecore prendono le ombre e il fresco,
ora anche gli spineti nascondono le verdi lucertole;
e Testili per i mietitori affaticati dall'intensa calura
l'aglio e il timo pesta, erbe odorose;
ma mentre le tue orme seguo, sotto il sole ardente
mi risuonano gli arbusti per il canto delle rauche cicale.
Non fu meglio sopportare le tristi ire di Amarilli
e i superbi dispregi? Non fu meglio amare Menalca,
sebbene egli fosse scuro e tu candido?
O bel fanciullo, non fidarti troppo del colore:
i bianchi ligustri cadono, gli scuri giacinti si colgono.
Son da te disprezzato, né vuoi sapere chi sia, o Alessi,
né quanta ricchezza di greggi né di niveo latte io possegga:
mille mie agnelle errano sui monti siculi,
il latte fresco a me non manca né d'estate né d'inverno.
Quei motivi io canto che era solito intonare Anfione dirceo,
quando chiamava gli armenti sull'attico Aracinto.
Tanto sgraziato non sono: mi vidi poco fa riflesso nell'acqua
sulla riva, mentre il mare era calmo dai venti: non Dafni
temerei, te giudice, se l'immagine non inganna.
O soltanto ti piacesse abitare con me le sordide
campagne, le umili case, e trafiggere i cervi,
spingere il gregge dei capretti verso il verde ibisco.
Con me nelle selve imiterai Pan cantando.
Pan per primo insegnò a congiungere più canne
con la cera; Pan si cura del gregge e dei pastori del gregge.
Né ti dispiaccia strofinare il labbro alla canna:
cosa non faceva Aminta per imparare le stesse cose?
Ho una siringa di sette canne disuguali,
che un giorno mi donò Dameta, e morendo
mi disse: "Ha un degno secondo proprietario".
Questo disse Dameta; lo stolto Aminta provò invidia.
Inoltre possiedo due capretti trovati in una valle scoscesa
con la pelle ancora sparsa di macchie bianche;
due mammelle di pecora prosciugano ogni giorno. Prendili.
Già da tempo Testili prega di portarmeli via,
e lo farà, perché tu disprezzi i miei doni.
Vieni qui, o bel fanciullo: ecco che a te le Ninfe recano
canestri pieni di gigli; una candida Naiade,
cogliendo pallide viole e la sommità dei papaveri,
vi congiunge bene il narciso e il fiore odoroso dell'aneto;
poi intrecciando la cassia e altre soavi erbe,
screzia i molli giacinti con la gialla calta.
Io stesso coglierò le cotogne bianche per la tenera lanugine,
e le castagne, che la mia Amarilli amava;
aggiungerò le ceree prugne ( si onorerà anche questo frutto),
e voi, o allori, coglierò, e te, mirto, che cresci vicino,
perché così disposti mescolate profumi soavi".
Sei un villano, Coridone, e Alessi non si cura dei tuoi doni:
se volessi gareggiare con i regali, non ti cederebbe Iolla.
Ahi, che ho fatto, misero! Come un folle ho lanciato
l'Austro tra i fiori e i cinghiali nelle limpide fonti.
Chi fuggi, stolto? Abitarono le selve anche gli dei,
e il dardanio Paride. Abiti pure Pallade le rocche
che lei stessa costruì; a noi piacciono soprattutto le selve.
La torva leonessa insegue il lupo, il lupo la capretta,
la vivace capretta cerca il fiorente citiso;
Coridone cerca te, o Alessi: ciascuno ha
il suo desiderio. Guarda i giovenchi che sospesi al giogo
riportano gli aratri, e il sole calando raddoppia le ombre;
eppure l'amore mi brucia: come conoscere l'amore?
Ahi, Coridone, Coridone, quale follia ti prese?
Le tue viti sono potate a metà sull'olmo frondoso.
Piuttosto perché non ti prepari ad intrecciare qualcosa
di cui vi sia bisogno, con i vimini o con il molle giunco?
Troverai un altro Alessi, se questo ti disprezza. (2)
(1) Orazio, "Odi" I,5 (traduzione non mia)
(2) Virgilio, "Bucoliche" II (traduzione non mia)
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