Capitolo VII
Il bollitore cominciò a fischiare e Marzia versò l'acqua calda nelle tazze con i filtri. Con un'eleganza d'altri tempi, aveva apparecchiato il servizio buono per il tè e lanciava di tanto in tanto delle occhiate a quel ragazzo che aveva visto crescere insieme al nipote. Di quel bambino che voleva sempre un biscotto in più non erano rimasti che gli occhi luminosi e quei capelli lunghi che non aveva mai voluto tagliare. Posò delicatamente le tazze sul vecchio tavolo della cucina e si sedette di fronte a lui, in maniera tale da portelo ben vedere in viso.
"Che t'è successo?" andò dritta al punto sorseggiando il suo infuso.
"Niente" le rispose meccanicamente Mecenate zuccherando il suo.
"Ce l'ha un nome 'sto Niente?".
Il ragazzo alzò gli occhi e incontrò quelli di Marzia, gli stessi del suo amico, così rassicuranti e benevoli, ma che sapevano diventare così freddi e inquisitori da costringerti a tirare fuori l'anima. Si era sempre chiesto come fosse possibile che due sensazioni così diverse potessero venire fuori dalle stesse iridi azzurre, ma non era mai riuscito a trovare una risposta.
"Ma', è complicato" sospirò.
"E spiegamello: er core mio farà pure bordello, ma ce sto ancora con la capoccia" lo invitò ad aprirsi l'altra.
Mecenate si trovava in difficoltà: non le aveva ancora detto di essere gay. Tuttavia, aveva davvero bisogno di sfogarsi con qualcuno dopo gli strani eventi di quella mattinata e sapeva che Marzia era persona giusta con cui parlare quando si era in difficoltà: era come un faro in mezzo alla nebbia, un posto sicuro dove fermarsi quando in mare infuriava la tempesta.
"C'è questa persona", cominciò sospirando e stando ben attento a scegliere le parole giuste, "che m'ha friendzonato de brutto. E so' abbastanza sicuro che me odi, in un certo senso. Forse me sta solo a sfrutta' pe' i comodi suoi".
"Perché ti dovrebbe odia'? Sei così caruccio e gentile co' tutti, cerchi sempre de mette pace e sei pure simpatico quando te ce applichi".
Mecenate arrossì leggermente, imbarazzato da quei complimenti, ma la verità era che la maggior parte del tempo l'unica cosa che sembrava importare alla gente non era come si comportasse o quale fosse il suo carattere, bensì il fatto che fosse omosessuale, come se quell'unica cosa lo macchiasse indelebilmente. Una parte di lui gli diceva di non curarsene, ma un'altra lo tormentava, sussurrandogli all'orecchio le cose più crudeli. Ma questo non poteva di certo dirlo a Marzia: non se la sentiva di fare coming out con lei proprio quel giorno, rischiando di caricare il suo cuore di un nuovo dolore nel caso in cui avesse reagito male. Rimase quindi in silenzio, fingendosi particolarmente concentrato nel bere il suo tè, nella speranza che il discorso cadesse, ma non aveva fatto i conti con la nonna del suo migliore amico.
"Prima de sposamme co' Catone", cominciò a raccontare Marzia, "Frequentavo 'n ragazzetto. Nun stavamo 'nsieme, capimose, però discuteva spesso co' mi' marito, quinni ce beccavamo ogni tanto. Stava co' 'sta ragazza egiziana, bellissima, co' gli occhi più enigmatici che io abbia mai visto. Eravamo tutti convinti che se sarebbero sposati, però se mollarono e lui sparì dalla circolazione".
Il ragazzo la guardava confuso, non capendo quale fosse il punto di quella storia.
"Du' anni dopo", continuò, "l'ho rivisto pe' caso 'n giro e se stava a bacia' co' un uomo mai visto prima. So' cose normali e naturali, ragazzo mio: alcuni amano le donne, altri gli uomini, altri ancora entrambi. Nun ce sta niente de male, no?".
Marzia gli lanciò uno sguardo complice e riprese a sorseggiare il suo infuso. Mecenate spalancò gli occhi per la sorpresa: lei sapeva, lo aveva sempre saputo, e gli voleva bene comunque.
"Ma come...".
"Ah regazzi', te conosco da quanno eri abbastanza piccolo pe' corre' sotto a 'sto tavolo senza sbatte 'a capoccia e sei sempre stato molto alto pe' l'età tua: nun te n'è mai fregato niente delle ragazze. Sarò pure vecchia, ma nun so' mica rimbambita", si spiegò Marzia sorridendo, "Quinni, chi è 'sto cojone che nun te apprezza?".
Mecenate si sentì il cuore esplodere nel petto per la gioia e il senso di pace che provava in quel momento: aveva avuto così tanta paura di poter perdere lei, quella donna che lo aveva cresciuto e trattato come se fosse stato suo nipote, era stato così terrorizzato dalla sola idea di poterla perdere dopo il suo coming out che il saperla lì davanti a lui, pronta ad insultare il ragazzo che lo stava straziando da settimane, lo fece sentire così tanto amato che fu quasi sul punto di piangere.
"Se chiama Augusto" le rispose.
"Com'è, è figo?".
"Ma', c'ha dei capelli che sembrano strappati a qualche divinità!", esclamò il ragazzo sfogandosi, "Te giuro, quando lo guardo me sento anna' a foco! Però quello 'sta co' 'sta tizia che se fa chiama' Dru come 'na deficiente e dietro me chiama finocchio de merda. Quinni è...".
"Quinni è 'n cojone patentato d''a peggio specie, ecco che è", sentenziò la vecchietta con aria seria e consolatoria al tempo stesso, "Poi che nome è Dru? Che è, 'n uccelletto?".
Il ragazzo scoppiò a ridere e per poco non sputò tutto il tè su di lei. Una risata di pancia, di quelle che ti prendono tutto il corpo e ti fanno sentire incredibilmente bene: era proprio quello che gli serviva in quel momento. A casa non poteva assolutamente parlare di queste cose: i genitori già facevano fatica ad accettare la sua sessualità, figuriamoci dargli una mano con i problemi di cuore! E poi erano sempre in ufficio e, probabilmente, lui era l'ultimo dei loro pensieri.
"Er mare è pieno de pesci che cercano altri pesci: vedrai che ce ne sta uno che te sta ad aspetta'", finì di parlare Marzia, "Mo finiscite 'sta tazza che se te se fredda diventa 'no schifo".
"Tranquilla, a me 'sta roba piace pure fredda", la rassicurò il ragazzo, "Ma poi che fine ha fatto quer tizio?".
"S'è messo contro i tipi sbagliati e l'hanno ammazzato a cortellate: 'na tragedia" rispose lei per soddisfare la sua curiosità.
"E chi era?" domandò Mecenate, a cui la storia non suonava poi così nuova.
"Se chiamava Giulio".
"Giulio Cesare?".
I due si guardarono, l'uno con occhi che bramavano una risposta e l'altra cercando di comprendere il perché di tanto interesse.
"Sì, perché?".
"Perché era tipo er prozio de Augusto, so' pure annato ar funerale suo! Erano tanto legati, c'è stato una merda!" esclamò il ragazzo.
"Strana gente quella, co' strane idee: fossi 'n te, starei lontano er più possibile", lo ammonì Marzia preoccupata facendosi scura in volto, "Ce semo capiti?".
Mecenate annuì e finì il suo tè.
"Te come te senti?" le domandò cambiando discorso.
"Bene, bene, nun te preoccupa'" gli rispose con leggerezza.
"Le prendi le medicine, sì?" insistette l'altro.
"Le prendo, le prendo. E nun te preoccupa': c'ho già 'n nipote assillante. M'ha chiamato già tre volte ed è partito ieri!" esclamò la vecchietta scuotendo la testa.
"Te vole be': sei tutto quello che gl'è rimasto d''a famiglia".
"C'ha ancora 'n padre, fino a prova contraria".
"Tu genero è 'n cojone e lo sapemo tutti: nun serve che lo difendi" disse con una certa amarezza Mecenate.
"Voi giovani!", sospirò Marzia, "Credete de sape' tutto, ma nun sapete nulla. Avete le vostre idee e nun le mollate proprio, pure a costo de moricce o de sfascia' er mondo che noi vecchi avemo costruito co' tanta fatica".
"Anche voi vecchi eravate come noi 'na volta, me pare" obiettò il ragazzo scherzandoci su.
"E c'ho perso un marito" concluse amaramente l'altra guardando un punto perso nel vuoto.
L'orologio della cucina segnava ormai mezzogiorno, così Mecenate, decisamente confortato da quella chiacchierata, decise di togliere il disturbo.
"Ma sicuro che nun vuoi resta' a pranzo? Te faccio du' spaghetti aglio e olio" cercò di trattenerlo Marzia.
"Tranquilla Ma', c'ho delle cose da fa'" declinò l'invito il ragazzo.
"Quanno stai da solo, passa ecco: tanto nun me 'mpicci, lo sai, no?", lo salutò dandogli un bacio sulla fronte, "Nun va bene che te ne stai da solo".
"Ah Ma', nun te preoccupa'!" esclamò cominciando a scendere le scale del condominio a due a due, osservando con la coda dell'occhio la porta che si chiudeva.
Era sempre bello parlare con Marzia: era come parlare con Virgilio, ma sua nonna sapeva decisamente meglio come gestire le faccende di cuore. Non che Virgilio fosse cattivo, questo Mecenate non lo pensava minimamente, solo che la razionalità del suo amico, sommata alla riservatezza che gli era propria, non erano un'accoppiata vincente per parlare apertamente dei propri sentimenti. Decise di chiamarlo, giusto per rassicurarlo che Marzia stava bene e per sentire come se la stesse cavando con tutti quei parenti che non vedeva da mesi: per una persona che soffriva di ansia sociale come lui, il Natale era un inferno.
"Aoh, so' passato da tu' nonna: sta bene, stasera va 'n parrocchia e le medicine le ha prese tutte" disse Mecenate dopo aver salutato velocemente il suo amico.
"Le hai contate?" gli chiese Virgilio con una certa ansia.
"No, ma er portapillole era vuoto", gli rispose alzando gli occhi al cielo, stupendosi ogni volta di quanto fosse paranoico, "Te come te la passi?".
"Ma lassa perde'!", esclamò l'altro esasperato, "C'ho Stazio alle calcagna da stamattina, momenti viene ar cesso co' me! Stanotte nun ho dormito manco cor cazzo che me s'è messo in un orecchio a parlamme de 'sta storia che sta a scrive', tipo Eneide!".
"E come c'è arrivata l'Eneide a Mantova?" domandò Mecenate intuendo che il suo amico ne fosse turbato e non poco.
"Marzia ha mannato er pezzo der giornalino a mi' nonna, mortacci sua!" imprecò Virgilio.
"Io amo tu' nonna" sorrise il suo amico.
"E sposatella, tanto peggio de mi' nonno nun puoi esse'!".
"Nipote, abbasta 'a cresta, eh!" ci scherzò su Mecenate.
"Nun zurla' tanto, eh! Comunque grazie che sei passato e m'hai chiamato. Mo devo anna'" lo salutò con il rumore dello sciacquone in sottofondo.
"Ma che t'ho beccato ar cesso?".
"No, me ce so' rinchiuso pe' ave' 'n po' de privacy: semo in trenta 'n 'sto buco, mortacci loro!" imprecò di nuovo Virgilio.
"I mortacci loro so' pure mortacci tua" puntualizzò Mecenate per indispettirlo ancora di più.
"Te c'ho già mandato a fanculo?" gli chiese ironico l'altro.
"No, oggi no".
"Allora vaffanculo, Mecena'! E buon Natale!" lo salutò Virgilio prima di attaccare.
"Buon Natale, scemo" non riuscì a dirgli in tempo Mecenate, finalmente arrivato a casa sua.
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