Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo LXXXVI

Era passata appena una settimana dagli scritti, eppure gli orali erano già cominciati e qualcuno si era finalmente tolto il pensiero, dando ufficialmente il via alla sua vera estate.

Nessuno sapeva dire con certezza se fosse un caso o se i professori avessero deciso di essere clementi con loro, ma ad ognuno era capitato un tema di cui avrebbe potuto parlare per ore ed ore: Catullo e l'amore, Saffo e la condizione femminile, Properzio e la figura del padre - anche se questa, in effetti, era stata una scelta di pessimo gusto.

Della loro sezione, Orazio era stato il primo e, con la sorpresa di chiunque tranne che del suo ragazzo, era riuscito a tenere un discorso serio sulla satira. Probabilmente era stato Omero a proporla come argomento, visto che non si era mai perso un numero del fanzine, ma, in ogni caso, il ragazzone era più che felice del suo risultato.

Ed era finalmente giunto il momento di Virgilio. Aveva avuto l'ansia per tutta la mattinata, aveva ripetuto ancora e ancora la differenza tra le tragedie antiche e quelle nuove e si era posto più di una volta il problema di come sarebbe riuscito a parlare di fronte a tutti.

"Hakuna Matata, ma che dolce poesia..." aveva intonato Mecenate, solo per venir messo brutalmente a tacere.

"Nun te posso di' dove te lo ficco, l'Hakuna Matata" aveva sbottato Virgilio, camminando su e giù per il corridoio.

"Te nun ce pensa', tanto manco te ascolteranno" lo aveva rassicurato Catullo.

"Ner dubbio, te immagina che stanno 'n mutande" gli aveva consigliato Saffo.

Ma il loro amico si era sentito il cuore risalirgli in gola ed era stato sul punto di vomitare un paio di volte. Si era ripetuto a mo' di mantra che aveva studiato e che sarebbe andato alla grande almeno un milione di volte.

Cosa che accadde sul serio: gli era bastato sapere che avrebbe dovuto parlare della natura per placare i suoi nervi e cominciare a ciarlare con un certo entusiasmo, interrompendosi solo per bere un goccio d'acqua.

"Può andare, Marone", lo liberò alla fine il professor Eraclito, "Anche se credo che ci rivedremo tra dieci minuti per Mecenate, o sbaglio?".

Virgilio guardò istintivamente verso il suo personale team di supporto - quei folli dei suoi migliori amici e i gemelli - e, dopo aver stretto qualche mano, si fiondò fuori dall'aula come un cavallo imbizzarrito.

"Cazzo! Cazzo! Cazzo!", imprecò improvvisamente euforico, "Ce l'ho fatta, cazzo!".

"Ma veramente c'avevi dubbi, mortacci tua?", esclamò Orazio abbracciandolo con un po' troppa forza, "Mo tocca spera' che nun ce svenga quest'altro".

"No che nun svengo, testa de cazzo. Almeno nun credo", commentò Mecenate, che non sembrava poi così agitato, "Tanto sicuro me fanno parla', quinni Hakuna Matata e vaffanculo a  tutti".

Eppure dentro era nervoso come non mai: sebbene avesse ormai perso il vizio di stringere le mani a pugni fino a farsi male, aveva come la sensazione di soffocare in quella camicia e non capiva se era per il caldo o per il panico.

Il suo amato gli strinse delicatamente la mano, accarezzandone il dorso con il pollice. Lo guardò con uno sguardo sì preoccupato, ma che trasmetteva una sicurezza confortante.

"Spaccherai er culo a tutti" gli sussurrò all'orecchio prima di baciarlo.

Virgilio fece per commentare qualcosa, ma venne distratto da dei colpetti sulla spalla, timidamente dati da qualcuno dietro di lui.

"Che cazzo vuoi mo, Catu'?" domandò con fare annoiato mentre si voltava.

Ma non era stato il suo amico a richiamare la sua attenzione in quel modo.

"Anche tu mi sei mancato, idiota!" sorrise il ragazzino.

"Porca puttana! Cristo santo!" imprecò l'altro non appena lo vide, colto completamente alla sprovvista.

Dante gli si gettò al collo e i due si abbracciarono stretti, afferrandosi con un vigore mai visto prima.

"Nun sapevo che venissi!" esclamò il romano, prendendogli il volto tra le mani e perdendosi nei suoi occhi.

"Sorpresa!" gridò il fiorentino un secondo prima che un bacio lo mettesse a tacere.

Restarono così, fermi in mezzo al corridoio, con le labbra che non volevano proprio saperne di staccarsi, per un tempo che non bastò minimamente a recuperare quelle infinite e atroci settimane di distanza. Le loro mani scorrevano lungo i vestiti, attraverso i capelli, ripercorrendo le note vie dei loro corpi.

"Me sei mancato, Cristo!" sussurrò il maggiore tirandolo un po' di più a sé.

"Anche tu!" mormorò il minore prima di fiondarsi di nuovo sulla sua bocca.

"Qualcuno glie dovrebbe ricorda' che nun stanno da soli" scherzò Catullo con una certa malizia.

"Zitto, cojone, che te e Giovenzio 'n pubblico fate de peggio. De molto peggio" lo istigò sua sorella leggermente disgustata.

"Fottiti, sore'".

"Vattela a pija' 'nder culo".

I piccioncini erano sordi ai commenti e ai battibecchi attorno a loro: erano completamente assorbiti l'uno della presenza dell'altro, troppo presi a riassaporarsi dopo quel mese di lontananza forzata. L'incantesimo, però, fu presto spezzato: c'era una cosa che il romano doveva assolutamente fare prima che venisse il turno di Mecenate.

"Nonna! Me senti?" chiese quasi urlando al telefono.

"Ma che te gridi, piccole'? Mica so' sorda!", esclamò Marzia dall'altra parte della linea con la solita voce roca, "Embè'? Com'è andata?".

"Ho spaccato, no'!", le rispose Virgilio entusiasta, la mano libera dal cellulare era occupata a stringere quella di Dante, "Ho attaccato 'a pilotta e ho parlato 'n botto! Nun me so' manco intoppato! M'è salito er panichello prima de entra', ma m'è uscita 'a natura e me so' messo a racconta' de mille robe!".

"Grande, piccole'! C''o sapevo che avresti fatto scintille, secchione!", fece sua nonna tutta contenta, "So' tanto tanto orgogliosa de te, 'a nonna! Ma proprio tanto tanto!".

Suo nipote arrossì leggermente e quasi si commosse: era felice che la sua Marzietta fosse fiera di lui. Era una delle poche cose che voleva davvero fare per ripagarla di tutti i sacrifici e di tutti gli sforzi che aveva fatto per crescerlo. E sentirselo dire chiaro e tondo, dopo il periodo orribilmente difficile che aveva passato, era una gioia che non avrebbe mai potuto spiegare a parole.

La testa canuta di Omero fece capolino dall'aula e disse a Mecenate di entrare.

"Nonna, te devo molla', che mo tocca a Riccioli d'oro", la salutò in fretta e furia Virgilio, "Tanto stasera vengo e te porto pure i pasticcini ar pistacchio, quelli che te piacciono, così festeggiamo. Va be'?".

"Va be', tanto nun c'ho piani p''a serata. Va' a fa' er tifo pe' lo spilungone nostro", disse Marzia con voce sorridente, "Te amo tanto, 'a nonna".

"Te amo tanto pure io" le fece eco suo nipote prima di terminare la chiamata.

Fece una corsetta e raggiunse i suoi amici, trascinandosi dietro il suo Dante.

"Sei pronto?" domandò sottovoce Orazio al suo amato.

Mecenate annuì senza molta convinzione e, dopo essersi preso un bacio di buona fortuna, entrò in classe per liberarsi definitivamente di quella dannata maturità.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro