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Capitolo LXXXIV

Quell'anno l'estate sembrò arrivare, puntuale come un orologio svizzero, la seconda settimana di giugno e la canicola si abbatté crudele su Roma, infiammando l'aria.

Non servivano a nulla i ventilatori, le grattachecche sul Tevere o starsene rinchiusi con le persiane accostate: faceva un caldo bestiale e ci si sarebbe potuti sciogliere sul pavimento da un momento all'altro.

L'unico modo per sopravvivere sarebbe stato fuggire in Sabina e cercare un po' di fresco tra le fratte del torrente, ma non si poteva: ora che la maturità era letteralmente dietro l'angolo, i ragazzi dovevano studiare, notte e giorno, come se non ci fosse stato un domani.

Mecenate si era sostanzialmente trasferito dai Flacco. Si presentava alle otto precise con i cornetti, studiava con Virgilio e Orazio fino alle sette e, nella maggior parte dei casi, restava a dormire lì, accoccolato al suo fidanzato. Uniche eccezioni alla regola erano il martedì e il venerdì pomeriggio, quando aveva appuntamento da La Pizia e se ne andava poco dopo le sei.

Sorprendentemente, parlare con quella donna lo stava aiutando sul serio: gli incubi continuavano a tormentarlo la notte, ma riusciva a concedersi qualche ora di sonno; gli attacchi di pianto si concentravano nel suo studio, ogni volta che si apriva un po' più del previsto e portava alla luce eventi che avrebbe preferito dimenticare per sempre. Ma, tutto sommato, era più tranquillo, quindi sperava che, prima che fossero finiti i soldi che aveva messo da parte, la situazione si sarebbe stabilizzata.

Virgilio avvertiva costantemente la mancanza di Dante, sfruttando ogni minuto di pausa per sentirlo. Lo chiamava ogni sera dopo cena, anche se non era la stessa cosa che averlo intorno, con quei berretti rossi e le sue espressioni buffe. Ma teneva duro, ripetendosi a mo' di mantra che, finiti gli esami, avrebbe chiesto al suo migliore amico le chiavi della villa e sarebbero stati solo loro due per qualche settimana.

Orazio, invece, soffriva il caldo e la vita da recluso. Certo, aveva il suo amato sempre con sé, studiava con i suoi amici e i gemelli spesso passavano per ripetere insieme, ma non ne poteva più. Non faceva altro che chiedere se avessero effettivamente fatto tutta quella roba e la risposta era irrimediabilmente Sì, ma te c'hai 'a memoria de 'n pesce rosso.

"Aoh, io me so' rotto er cazzo!", sbottò dopo dieci giorni, "Io mollo: tanto a sessanta sicuro ce arrivo e vaffanculo a tutti!".

"Nun fa' er demente, vah!", gli disse Virgilio, "Se te ce metti 'n minimo, arrivi a settantacinque e stai pace!".

"Ma nun me ne può frega' de meno der voto!", esclamò l'altro stremato, "Basta che la smetto de tradurre Sofocle, mortacci sua!".

"Amo', nun te esauri' proprio mo: pensa che manca 'na settimana agli scritti e poi dovemo solo spara' 'ca cazzata all'orale" provò ad incoraggiarlo Mecenate.

"Nun te ce vedo a spara' minchiate, biondi'", commentò Saffo, "Tanto te e l'altro Riccioli d'oro farete a gara a chi esce cor voto più alto, secchioni der cazzo".

"Perché loro so' svegli, sore'", sorrise Catullo continuando a sfogliare distrattamente il libro di greco, "Mica so' come a noi che puntamo basso!".

Virgilio fece per ribattere qualcosa, ma venne fermato dalla voce di Claudia, che stava rimproverando qualcuno nell'altra stanza.

"Sparisci di nuovo e giuro che chiamo Chi l'ha visto?. Intesi?" la sentirono urlare con fare non così benevolo.

"Ma stavo a lavora': e daje Cla', nun c'hai 'n po' de pietà?" si giustificò Properzio facendo capolino dal corridoio.

Aveva il volto spento e l'espressione morta di chi non si ricorda nemmeno come sia fatto un letto. Salutò velocemente i suoi amici e si buttò platealmente su una sedia, sospirando con aria stremata, come se avesse appena portato a termine la tredicesima fatica di Eracle.

"Ch'hai fatto?" gli chiese il biondino allungandogli un Estathé.

"Ho accompagnato Cinzia a fa' l'ecografia", rispose con un tono strano, "E ieri sera nun ho dormito perché ce stava 'n diciottesimo ar ristorante, quinni 'sto 'n piedi da boh, venti ore?".

"Ma vattene a casa a dormi', no?" gli propose il ragazzone con una premura per lui insolita.

"Seh, va be', e come cazzo lo pijo er diploma?".

"Com'è andata? L'ecografia dico" domandò la ragazza sinceramente interessata.

"Bene, credo", incominciò a raccontare il ragazzo, "Avemo beccato 'n ecografo cojone che ce guardava malissimo, però è andata be'. Che poi, che cazzo se guardava? Io boh!".

"Prope', te nun c'hai manco vent'anni e Cinzia è ancora minorenne: 'a gente è bigotta, che cazzo te posso di'?", disse Catullo, "Tocca che te ce abitui, perché andrà avanti così pe' 'n bel po'".

"Grazie eh, molto rassicurante" fece Properzio sarcastico.

"Aoh, mica è colpa mia se er monno fa schifo e te giudica pure pe' come caghi!" borbottò l'altro.

"Seh seh, er monno è 'na vera merda", lo interruppe sua sorella infastidita, "Ma er pupo?".

"Er pupo è sano e sta be', tutto n''a norma. E c'ha fatto senti' er core" aggiunse sorridendo con le labbra e con gli occhi, assumendo un'espressione a metà tra la commozione e la gioia.

"Che ve siete messi a piagne come quelli dei film?" sghignazzò Orazio, guadagnandosi un'occhiataccia dal suo amato.

"Peggio, Ora', peggio", lo corresse Properzio, "Credo de essemme 'nnamorato de 'n embrione".

I suoi amici lo osservarono basiti, ma i loro cuori si sciolsero nei petti.

"Nun lo so' spiega'", continuò a ruota libera, come se stesse parlando da solo, "Ma me s'è appicciato 'ca cosa. 'sta creatura esiste sur serio e c'avrà bisogno de me pe' cresce. E 'sta cosa me terrorizza da mori' e vorrei scappa via, perché c'ho diciott'anni e nun c'ho manco er diploma - cazzo! - come cazzo 'o cresco 'n figlio? Ma voglio staglie accanto perché quer cosetto è figlio mio e...".

"Basta, Prope', che me fai piagne 'sto demente ecco" lo interruppe Saffo allungando un fazzoletto al suo gemello, sforzandosi di non apparire commossa a sua volta.

Catullo glielo strappò di mano e brontolò qualche imprecazione mentre si soffiava il naso, maledicendola con ogni epiteto poco edificante che gli venisse in mente.

"Te la caverai, nun te preoccupa'", lo rassicurò Virgilio dandogli una pacca sulla spalla, "Se so' venuto su bene io co' quer cojone che me ritrovo come padre, te sarai 'n successone!",

"Farò der mio meglio", sospirò Properzio, "Però mo qualcuno me deve spiega' come stracazzo funziona l'oltreuomo, che nun c'ho capito 'na sega tra cammelli, leoni e regazzini".

"Nietzsche stava proprio fori de capoccia" commentò Mecenate annuendo con la testa.

"Poi c'aveva quei baffoni der cazzo!", esclamò Orazio divertito, "Dar barbiere cor cazzo che che annava, peggio de Virgilio!".

"Aoh, ma che cazzo vuoi?" domandò infastidito il diretto interessato.

"Virgi', co' tutto l'amore der monno", intervenne Saffo, "Pare che c'hai 'n nido 'n capoccia".

"E quinni?".

"E quinni o te li tagli o te li leghi, 'sti cazzo de capelli!", rispose il biondino esasperato, "E nun ce prova' manco a dimme che so' pratici o cazzate der genere, che c''o so che te fanno calore!".

La loro apetta li mandò a quel paese e tirò fuori da quel caos di appunti i riassunti che servivano al suo amico. Eppure, alla fine, dopo qualche altra battutina insopportabile, cedette per sfinimento e si fece prestare un elastico da Mecenate per legarsi i capelli, con grande approvazione generale e un Ma sai che così stai proprio figo?  di Catullo.

E, anche se non lo avrebbe mai confessato ad alta voce per non dare loro soddisfazione, aveva dovuto ammettere che stava molto più comodo e fresco così.

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