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Capitolo LXX

"Ce stanno a mette' troppo pe' i gusti mia" borbottò Orazio, guardando per l'ennesima volta in direzione del corridoio.

"So' iti via mo, Ora': statte calmo!" provò a rassicurarlo Virgilio, per poi finire la sua lattina di Sprite.

Il ragazzone emise un mugugno molto poco convinto. Tutta quella situazione, a dire la verità, non lo convinceva molto: perché Augusto era riapparso dal nulla dopo mesi? Perché aveva insistito per parlare con Mecenate in privato? E, soprattutto, perché il biondino non lo aveva mandato a cagare subito?

Non poteva fare a meno di agitarsi, giocando nervosamente con la linguetta della sua birra, mentre la gelosia e la rabbia facevano il nido sul suo cuore.

"Probabilmente staranno parlando del fanzine", intervenne ottimisticamente Dante, "Se è vero che è stato un gran successo, forse si è sparsa la voce anche all'università e Augusto avrà voluto complimentarsi con lui".

"Cocco, nun te chiudi 'n camera co' uno pe' faglie i complimenti" lo smentì sgarbatamente.

"Guarda che è più probabile sur serio che stanno a parla' der fanzine che se stiano a spompina' a vicenda" commentò Virgilio sarcastico.

"Ma vaffanculo!" imprecò Orazio prima di sparire in mezzo alla folla.

"Non credevo che fosse così geloso" disse il fiorentino stupito, alzando lo sguardo per poter incontrare gli occhi tanto amati.

"Eh amen: tanto sicuro stasera riscopano", fece il romano posandogli una mano dietro la schiena, "Te piuttosto va' a prenne 'e cose tue, che tocca annassenne".

"Ma non è nemmeno l'una, Maremma maiala!" protestò allibito con aria interrogativa.

Virgilio sorrise divertito e avvicinò la bocca al suo orecchio, mentre lasciava scivolare la mano fino al suo sedere.

"Se vogliamo elude' 'a regola d''a porta socchiusa, nun potemo dormi' dai Flacco", gli sussurrò con voce suadente, "Quinni ho prenotato 'na stanza, ma tocca sta' là prima de mezzanotte e mezza o...".

Il maggiore non fece in tempo a concludere la frase che il suo amato si gettò sulle sue labbra, avvinghiandosi a lui come se fossero stati soli.

"Tu, caro mio, sei proprio il ragazzo perfetto, Maremma bucaiola!", esclamò il minore staccandosi da lui, "Recupero lo zaino e torno".

"Spiacciate però, okay Babe?" mormorò l'altro con una certa impazienza.

Dante gli diede un ultimo bacio e corse a prendere la sua roba, nascosta al sicuro in camera dei genitori dei gemelli.  Il suo innamorato lo vide farsi strada tra la calca, sgusciando come un'anguilla per raggiungere la meta, e non poté fare a meno di sorridere.

"Certo che quer cosetto stravede proprio pe' te" commentò una voce da usignolo accanto a lui.

"Te l'avevo detto io che so' carini e coccolosi, cucciolo'!" le fece presente Properzio tenendola stretta a sé.

"Ciao Ci', come va?" chiese Virgilio con falsa cortesia non appena li ebbe riconosciuti.

Cinzia non gli era mai stata molto simpatica. Forse perché era un po' superficialotta, forse perché si ostinava a fingere di essere come Corinna, ma comunque non gli era mai andata particolarmente a genio.

E di certo non aiutava il fatto che Properzio spariva nel nulla ogni volta che ritornavano insieme, come se non esistesse nient'altro che lei nell'universo.

"Tralascianno er fatto che c'ho la nausea tutte le cazzo de mattine e la gente me guarda come se fossi 'n 'appestata, nun c'è male", rispose la ragazza con un'espressione gentile, "Comunque, so' contenta che te sei fidanzato co' qualcuno e che quer qualcuno sia Alighieri, almeno è 'n bravo bardascio. Ce l'ha fatta alla fine a capi' che la Portinari è un'ipocrita fighetta der cazzo".

"Ma nun eravate amiche?" domandò Properzio confuso anticipando il suo amico.

"Le amiche nun te danno d''a puttana e nun te pugnalano alle spalle quanno esce fori che sei 'ncinta" rispose amaramente Cinzia prima di bere un sorso della sua limonata.


Orazio non faceva altro che tenere d'occhio la porta della camera di Catullo: Augusto era uscito da cinque minuti con la faccia di chi voleva solamente piangere, ma di Mecenate nemmeno l'ombra.

Ogni secondo in più d'attesa pareva un'eternità e le lancette dell'orologio sembravano sostare per ore prima di riprendere il loro normale corso.

Cinque, sei, sette minuti: il ragazzone non ce la fece più e andò a controllare di persona che cosa diamine stesse accadendo lì dentro.

Sgomitò fino a raggiungere il corridoio ed evitò per poco di venire investito da due tizi del quarto anno, che si stavano picchiando per chissà quale motivo. Avanzò a passo svelto verso la stanza del suo amico e fece per bussare, quando uno strano suono lo pietrificò con una mano sospesa per aria: sembrava una specie di urlo, ma era soffocato, come se qualcuno lo stesse trattenendo a fatica.

Orazio si spaventò sul serio per la prima volta in vita sua, ma non per sé, bensì per Mecenate: che cazzo stava succedendo? Che cosa lo faceva soffrire in quel modo? Spalancò la porta senza alcuna delicatezza e si precipitò nella camera, guardandosi smaniosamente attorno per capire dove fosse finito il suo fidanzato e assicurarsi che stesse bene.

Il biondino era seduto sul pavimento, con la schiena appoggiata alla parete. Le mani stringevano con una violenza disumana un cuscino e lo premevano contro la bocca per attutire le grida. Gli occhi erano rossi, gonfi di pianto e pieni di una disperazione atroce.

"Che cazzo è successo?" chiese Orazio preoccupato correndo da lui.

Si inginocchiò al suo fianco e lo abbracciò stretto a sé, accarezzandogli i capelli con fare rassicurante. Riuscì a strappargli il cuscino e lo gettò lontano da loro, ma fu una pessima idea: Mecenate si morse una mano nel tentativo di nascondere l'ennesimo urlo.

Il ragazzone si allarmò ancora di più e si sentì morire dentro per tutto quel dolore. Gli afferrò entrambe le mani e le fermò lontane dai denti, cosicché non potesse farsi di nuovo del male da solo.

Cercò di stringerlo di più per calmarlo, ma era impossibile: tremava come una foglia e sussultava in continuazione, come se il suo petto non riuscisse a reggere tutto quel pianto.

"Amo'! Amo'!" provò a chiamarlo senza risultati.

Orazio avvertiva il panico prendere velocemente il controllo: che cazzo doveva fare? Che cazzo era successo? Doveva chiamare aiuto? Ma come poteva lasciarlo da solo?

"Mecenate!", urlò disperato, prendendogli il volto tra le mani e costringendolo a guardarlo negli occhi, "Amo', va tutto be'! Parlame! Te prego, parlame!".

Il biondino fece per dire qualcosa, ma la sua voce fu spezzata da un rinnovato pianto. Affondò la testa nell'incavo del collo del suo ragazzo e si rannicchiò addosso a lui come un bambino.

Il ragazzone lo circondò con le braccia e gli passò delicatamente le dita tra le ciocche dorate, sforzandosi di non piangere anche lui.

Era terrorizzato: non lo aveva mai visto in quello stato, non aveva mai visto nessuno in quello stato. Sapeva che il suo amato non stava bene e che gli teneva nascosto quel lato di sé, ma non avrebbe mai immaginato che stesse così male.

"Va tutto be'. Andrà tutto be'. Qualsiasi cosa te abbia detto o fatto quer cojone, andrà tutto be'" gli sussurrò ancora e ancora senza crederci sul serio.

I respiri di Mecenate si fecero sempre più regolari, per quanto smorzati dai singhiozzi e dalle lacrime, e smise finalmente di tremare.

"Me voglio ubriaca'" riuscì a dire a fatica.

"Beh, l'alcol qua nun manca", provò a scherzarci su Orazio per farlo sorridere, "Sei sicuro de nun volerne prima parla' o...".

"Nun ne voglio parla', nun ce voglio pensa'" rispose l'altro cominciando a ricomporsi.

"Va be'", sospirò il ragazzone facendo una fatica immensa per sorridere, "Allora se buttemo sull'alcol. Ma quanno te la senti io sto ecco. Okay?".

Il biondino fece cenno di sì con la testa, ma Orazio era sicuro che con lui non avrebbe mai parlato di quello che era successo davvero in quella stanza. Ma di una cosa era sicuro: avrebbe corcato di botte quel pallone gonfiato di Ottaviano Augusto.

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