Capitolo LXIII
Era successo tutto così in fretta che Orazio non aveva avuto nemmeno il tempo di metabolizzare quanto gli era accaduto. L'unica cosa che era riuscito a comprendere davvero era che nulla sarebbe stato più come prima. La satira di Giovenale era uscita da soli tre giorni, ma chiunque sembrava aver trovato cinque minuti per leggerla e ricamarci sopra.
Nei corridoi sentiva bisbigliare alle sue spalle ogni volta che passava, che fosse con i suoi amici o con il suo ragazzo o da solo, e riusciva a cogliere tra quei sussurri qualche insulto e certi commenti così meschini da poter trovare voce solo negli esseri più perfidi e in cerca di approvazione che esistano: gli adolescenti.
'sto puttaniere der cazzo! Mo pure li ragazzini se scopa? Nun glie bastavano 'e tipe? Che se vole scopa' er monno?
Ma se poteva prevede', dai! Nun è mai stato sur serio co' una! Che nun c''o sai che 'sta gente tradisce e basta? Nun è proprio capace de sta in 'na relazione!
Ma davvero sta co' Mecenate? Va be', se è vero che è mezzo maniaco pure quello, tra froci pervertiti se pijano!
Non aveva mai avuto intenzione di fare coming out a scuola: ormai era in quinto, si trattava solo di qualche settimana ancora di lezioni, e non aveva la minima voglia di vivere quegli ultimi momenti venendo massacrato dall'omofobia. Perché lo sapeva perfettamente che cosa sarebbe successo: era accaduto con Mecenate, perché con lui sarebbe dovuta andare diversamente?
Certo, nessuno aveva mai osato dire niente a Catullo, ma nemmeno un folle avrebbe avuto le palle di dargli del frocio: si era portato a letto Clodia e aveva dei modi fin troppo violenti per rischiare di farlo arrabbiare.
E, mentre il ragazzone sentiva il mondo voltargli le spalle e prepararsi a pugnalarlo quando meno se lo sarebbe aspettato, Omero continuava a blaterare cose senza senso su Luciano e su una città abitata da delle luci. Era l'ultima ora, per la misera: non poteva essere clemente e smetterla di gracchiare come una cornacchia?
All'improvviso qualcosa lo colpì sulla spalla e cadde ai piedi della sedia, volteggiando per qualche istante per aria. Orazio si voltò pigramente e vide un bigliettino strappato da un quaderno a righe e piegato alla buona in tre.
Tutto okay? <3
Riconobbe nella curva sinuosa delle vocali e in quel modo strano di fare il cuore la mano del suo amato. Gli lanciò un'occhiata veloce: era così bello, con quel codino scrauso e disordinato e la camicia arrotolata fin sopra i gomiti, e lo guardava con una certa preoccupazione. Sospirò, scarabocchiò una risposta e gli tirò indietro il foglietto.
Boh.
"Prof, posso andare in bagno?" chiese Orazio senza alzare la mano, tanto non l'avrebbe vista in ogni caso, mezzo cieco com'era.
"Vada, signor Flacco, vada!" rispose Omero seccato per l'interruzione.
Non se lo fece ripetere due volte e fuggì da quell'aula soffocante. Avrebbe voluto correre, ma non poteva permettersi di dare ancora di più nell'occhio, quindi si sforzò di camminare a passo svelto.
Erano giorni che avvertiva tutti gli sguardi su di sé, come lame affilate lo trafiggevano da parte a parte, lo spogliavano e lo scrutavano con curiosità, con disprezzo, con odio. Magari era solo una sua impressione, ma non poteva fare a meno di sentirsi come un fenomeno da baraccone, esposto per il diletto altrui senza possibilità di scampo.
Si chiuse nel primo bagno che trovò libero e tirò fuori il cellulare, nella speranza disperata che su Instagram ci fosse qualcosa che lo distraesse per cinque minuti dai suoi pensieri. Non fece in tempo, però, ad aprire l'app che gli arrivò una foto da Properzio.
Apparso mo, è ancora fresco fresco. Autore ignoto, coglione bastardo.
Il ragazzone avrebbe riconosciuto quel muro anche solo dall'odore: era il Muro, quello su cui intere generazioni di classicisti sull'orlo di una crisi di nervi avevano scritto e disegnato oscenità, il tutto rigorosamente con bombolette spray e pennarelli indelebili.
Tra il caos di peni abnormi, battute da film porno, svastiche e vagine stilizzate, era apparsa una nuova opera d'arte: era piccola, ma la tinta scarlatta spiccava sulle altre, più scure e scolorite dal tempo. All'inizio non riuscì a leggere bene, vista la pessima qualità della foto, ma poi non ebbe alcun dubbio sul contenuto aulico della scritta e dei suoi destinatari.
M. e F., ricchioni rottinculo, brucerete per l'eternità tra le fiamme dell'Inferno!
M. e F., Mecenate e Flacco. Gli unici ad essere pubblicamente gay. Loro due.
Se qualcuno gli avesse tirato un destro nello stomaco, probabilmente gli avrebbe fatto meno male: i pugni li sapeva tirare, ma soprattutto aveva imparato ad incassarli e a restare in piedi, pronto a difendersi, pronto a combattere.
Eppure quel tiro mancino lo lasciò senza parole, senza fiato. Si appoggiò con la schiena alla parete del bagno, visto che le sue gambe sembravano non riuscire più a reggerlo in piedi.
Ricchioni rottinculo, brucerete per l'eternità tra le fiamme dell'Inferno!
Sapeva che erano solo le parole vuote e mute di un demente qualunque, ma non poté non restare ferito da quell'odio. Sarebbe davvero andato all'Inferno? Nemmeno ci aveva riflettuto sul serio su quel punto, ma d'altronde il suo rapporto con il trascendente era sostanzialmente inesistente. Ma un ricchione rottinculo lo era sul serio.
Non che ci fosse nulla di male ad esserlo, questo lo sapeva. Così come era perfettamente consapevole che tutta quella negatività era immotivata, seppur crudele. Qualche fanatico, un deficiente talmente insoddisfatto della propria esistenza per criticare quella altrui: chi altro avrebbe potuto scrivere una cosa del genere? Ma proprio non ci riusciva a rimanere indifferente davanti a quella foto del cazzo.
Si sentì morire dentro, come se qualcuno gli stesse facendo a pezzi l'anima. Era furioso, era incazzato nero e avrebbe davvero voluto spaccare qualcosa, ma non aveva neppure la forza di piangere. Avrebbe voluto gridare, spaccare la porta e quel cesso che puzzava di piscio, ma la voce gli rimase ferma in gola e le mani erano pietrificate con il cellulare in mano.
"Amo', 'ndo stai?".
Quelle tre parole strapparono fuori Orazio dal vortice di furia e frustrazione in cui stava colando a picco. Improvvisamente in mezzo alle tenebre dell'odio e della paranoia era apparsa una tenue luce dorata, che lo chiamava a sé con una dolcezza irresistibile.
"Amo'?".
Il ragazzone si passò una mano sul volto, come a voler cancellare ogni traccia del suo turbamento, e uscì a testa bassa dal bagno sforzandosi di sembrare tranquillo.
Mecenate non gli diede nemmeno il tempo di guardarlo negli occhi e lo baciò sulle labbra, prendendogli il volto tra le mani e accarezzandolo con i pollici. Quel tocco, quell'odore, quel sapore così familiare, la sua semplice presenza bastò a fargli dimenticare ogni cosa che non fosse il biondino e l'amore che provava per lui.
"Er lato positivo de 'sto outing der cazzo è che nun ce dovemo più nasconde'" considerò ottimisticamente tra sé e sé.
"Te so' venuto a salva'", gli sussurrò il suo amato smettendo per un attimo di baciarlo, "Ce mancava er drago sputafuoco e er cavallo bianco e facevo proprio er principe azzurro".
Gli passò una mano tra i capelli arruffati, cercando di sistemarglieli dietro alle orecchie.
"Ce stavamo a preoccupa' che nun tornavi, quinni me so' offerto volontario come tributo. Che hai visto er nuovo capolavoro der Muro?" aggiunse poi.
"Penso che a quest'ora l'avranno visto tutti".
Orazio sospirò, ammirando l'espressione di imperturbata dolcezza che illuminava il suo Mecenate.
"Te come cazzo fai a sta' così calmo", gli domandò, "Ceh, Giovenale t'ha sputtanato e mo Stocazzo c'ha augurato de brucia' all'Inferno pe' sempre e te stai così sciallo! Ma nun te rode er culo?".
"Certo che me rode, porca puttana!", rispose l'altro, "Me rode da mori'! Però ormai me so' abituato a 'sta merda, quinni nun me ce danno più de tanto".
Il ragazzone fu travolto da un'ondata di malinconia. Il suo biondino aveva parlato con una tranquillità che solo la rassegnazione può creare. Erano anni che si sentiva così, come se il mondo fosse contro di lui? Certo, lui e Virgilio c'erano sempre stati e si erano offerti più di una volta di crocifiggere sulla Salaria qualche omofobo del cazzo, ma non era la stessa cosa che condividere quel dolore con qualcuno che lo sperimentasse sulla propria pelle.
"Che c'hai mo?", gli domandò Mecenate, "Com'è 'sta faccia?".
"Te amo" gli disse Orazio, per poi dargli un bacio a fior di labbra.
"Ah, quinni questa è 'a faccia da dolciume!" commentò l'altro prima di baciarlo con trasporto, mordicchiandogli leggermente il labbro inferiore.
"Solo te me lo fai usci', mortacci tua!" borbottò.
"Superpoteri da invertito. Che poi, chi cazzo dice invertito, a parte Giovenale e mi' madre?", ci scherzò su, "Però mo ce tocca torna', altrimenti Omero ce manna Virgilio. E quello ce cazzia peggio de su' nonna, quer cojone! Te stai meglio?".
"Sì, nun te preoccupa'", mentì il ragazzone, "'namo che quello già ce rompe li cojoni che glie manca Dantuccio suo: nun me voglio sorbi' pure 'na predica perché pomiciamo nei cessi!".
"Attività molto romantica tra l'altro, co' 'a puzza de piscio e de fumo".
"Io basta che te bacio e so' felice".
Il biondino sorrise soddisfatto e, dopo avergli rifilato un ultimo bacio a stampo, ritornarono in classe mano nella mano, decisamente molto poco entusiasti all'idea di altri venti minuti su quel tossico di Luciano.
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