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Capitolo LX

Orazio e Mecenate erano stati da soli infinite volte nel corso dei loro diciannove anni di vita. Avevano passato intere giornate a guardare per la centesima volta Lo Hobbit. Si erano fatti compagnia a vicenda quando i loro genitori erano fuori città. Avevano trascorso chissà quanti pomeriggi d'estate mezzi nudi sul divano a giocare a Call Of Duty. Erano stati solo loro due così tante volte, eppure c'era qualcosa di diverso quella sera - lo percepivano entrambi mentre salivano silenziosamente le scale del condominio. C'era di diverso che, per la prima volta, erano un noi.

"Cristo santo: è stato 'n parto!", sbottò Orazio chiudendosi la porta alle spalle, "'n quella casa se sente 'na puzza de cattolicesimo che, porca puttana!, come fa cosetto a vivecce mica 'o saccio!".

"Ah, pe' questo è stato 'n parto? Pe' tutto er contorno medievale?", chiese Mecenate lanciando con finta nonchalance le chiavi nello svuotatasche, "Ed io che credevo che fosse pe'...".

Il biondino non fece in tempo a finire la frase che il suo fidanzato lo tirò a sé e lo baciò con foga sulle labbra, facendo scorrere le dita tra i suoi capelli. Sorrise soddisfatto e accarezzò avidamente la sua schiena, soffermandosi poi con una certa voluttuosità sul sedere del ragazzone.

"Nun fa' er cojone", gli sussurrò abbassando la voce, "C''o sai perfettamente che è stata 'na sofferenza nun potette ficca' 'a lingua 'n bocca pe' sei ore. Sei cazzo de ore, porca miseria!".

"Te sempre delicatissimo, eh" sorrise maliziosamente Mecenate.

"Detto poi da quello che me sta sempre a strizza' er culo" commentò Orazio prima di tornare di nuovo da quelle labbra soffici e pallide tanto agognate.

Ripresero a baciarsi con trasporto, percorrendo l'uno il corpo dell'altro, facendo rabbrividire le loro pelli accaldate. Il biondino si fece più audace e lo afferrò per i passanti dei pantaloni, così da averlo ancora più vicino a sé. I loro respiri si fondevano in uno solo a metà strada tra i loro visi, che continuavano a danzare per potersi assaggiare meglio.

"Me sei mancato, cazzo!" esclamò il ragazzone scendendo lentamente con la bocca sul suo collo.

Mecenate non riuscì a trattenere un mugolio di piacere e, senza pensarci due volte, lo spinse addosso al muro. Ammirò compiaciuto la luce sorpresa nei suoi occhi, lo sentì sussultare mentre lo sovrastava con quei pochi centimetri che aveva in più in altezza.

Gli infilò una mano sotto la maglietta, percorrendo quell'addome che lo perseguitava nei sogni più sudati, e passò delicatamente la lingua sulle sue labbra.

"Me sei mancato pure te", disse alla fine con voce suadente cominciando ad armeggiare con la cinta dei pantaloni, "E te lo dimostrerò pure".

"Camera tua. Ora" mormorò l'altro quasi supplicandolo.

Fino al mese prima, se mai gli avessero detto che avrebbe desiderato con ogni fibra del proprio corpo il suo migliore amico, avrebbe mandato tutti a fanculo e si sarebbe fatto due risate: la prospettiva di fare sesso con Orazio sarebbe stata troppo assurda e divertente, disturbante per certi versi.

Eppure era lì, sul suo letto, con lui, a scambiarsi baci affamati e carezze smaniose sulle pelli nude, esplorandosi ad occhi chiusi.

Eppure era lì, con la sua bocca che lambiva disperatamente la propria e quelle mani forti che lo stringevano con un'indomita delicatezza, affondando le dita nella carne.

Eppure era lì, con la fronte poggiata nell'incavo del suo collo, gemendo entrambi mentre si masturbavano a vicenda, annegando l'uno nel calore e nel desiderio che l'altro continuava a trasmettergli.

"Te amo" ansimò all'improvviso Orazio prima di mordicchiargli il lobo dell'orecchio.

Mecenate sollevò subito la testa e lo guardò dritto negli occhi, le labbra socchiuse e tremanti d'eccitazione.

"Che cosa hai detto?" gli chiese quasi sospirando.

"Ho detto che te amo, cojone" ripeté l'altro sorridendo.

Aveva sentito bene, allora: quello scemo lo amava, lo amava sul serio. Era la prima volta che qualcuno glielo diceva: nessuno prima di quella sera gli aveva mai nemmeno sussurrato quelle due semplici e potenti parole.

Era una sensazione nuova e che sembrava volerlo uccidere da dentro. Il suo cuore sembrava sul punto di scoppiare per gioia. Avrebbe voluto urlare al mondo quanto fosse felice, fino a lacerarsi le corde vocali. Il suo sguardo era più brillante e più luminoso del solito per un velo di lacrime di felicità che, sulle ciglia, non volevano saperne di uscire.

"Dimmello di nuovo" gli ordinò baciandogli il collo.

"Te amo" ubbidì il ragazzone, chiudendo gli occhi per godersi meglio quella bocca sulla sua pelle.

"Dimmello di nuovo". Il biondino spostò le labbra un po' più in basso e prese a muoversi sul suo pube, provocando ad entrambi dei brividi di piacere. "Dimmello di nuovo".

"Te amo". Orazio si morse la lingua per soffocare un gemito più forte degli altri. "Te amo, cazzo!". Lo sentiva scendere sempre più giù, baciandolo, mordendolo, cercando un contatto sempre più profondo, sempre più intimo. "Te amo, mortacci tua!".

Mecenate allungò un braccio e recuperò dal cassetto del comodino un profilattico dall'involucro giallo. Lo aprì velocemente con i denti - anche se sapeva che tecnicamente non avrebbe dovuto farlo - e lo srotolò sul pene del suo fidanzato.

"Ma nun era pe' Dante 'na volta 'sta roba?" commentò il ragazzone ridendo malizioso e compiaciuto.

"C'avemo avuto 'n'ottima idea, quinni nun vedo perché nun dovremmo trarne piacere pure noi" gli rispose il biondino gettando a terra l'incarto.

"Er Tutti gusti più uno è stata 'na genialata delle tue", sottolineò l'uno con un sorriso divertito, "Certe cazzate solo te le puoi spara'".

"Ma hai proposto te de compraglie' i preservativi" obiettò l'altro.

Orazio avrebbe voluto fare una battutaccia delle sue, ma non ci riuscì a causa di uno spasmo di piacere: il suo amato aveva cominciato a fargli una fellatio. Non appena ebbe recuperato per quanto possibile il controllo dei propri movimenti - impresa piuttosto ardua, visto che la bocca e la lingua di Mecenate sembravano proprio intenzionate a mandarlo in tilt - fece scorrere una mano tra i suoi capelli dorati, spostando di tanto in tanto una ciocca che gli ricadeva sul volto.

Lo amava, e non solo perché gli stava facendo il miglior lavoretto che avesse mai ricevuto. Lo amava perché era così gentile, così disponibile, così pronto ad aiutare chiunque, ma sapeva anche essere deciso, irrequieto, sfacciato.

Lo amava per come la corazza che si era dovuto forgiare per proteggersi non avesse pietrificato il suo cuore. Lo amava per come lo faceva sentire, per come lo guardava, per come la sua mano cercasse sempre la propria, in continuazione, come se non potesse fare a meno di quel silenzioso contatto. Lo amava per come riusciva a tirare fuori la sua dolcezza, per come rideva alle sue oscenità, per come non si lasciasse intimidire dai suoi modi bruschi.

Mecenate lo baciò con passione, mettendo a tacere i gemiti che egli stesso stava procurando.

"I vicini, cazzo" gli disse con una finta aria di rimprovero, tradita dalla soddisfazione che brillava nei suoi occhi.

"I vicini devono sape' che fai dei pompini che so' 'na cosa spettacolare", si giustificò l'altro prima di dargli l'ennesimo bacio affamato, "Devo proprio ripagallo 'sto favore, 'n tutti i sensi".

Il biondino sorrise e gli posò due dita sulle labbra, come per farlo tacere. Il ragazzone, dal canto suo, non vedeva davvero l'ora di saldare il suo debito e le succhiò con una certa ingordigia, lanciandogli occhiate piene di desiderio. Il suo amato rimase per un istante a bocca aperta, sorpreso da ciò che gli stava silenziosamente lasciando intendere.

"Ma sei sicuro?" gli domandò per conferma.

"Perché, nun te va?" gli chiese a sua volta l'altro alzando un sopracciglio.

"Ma vaffanculo, vah!" imprecò bonariamente Mecenate aiutandolo a voltarsi.

Orazio farfugliò sottovoce qualche esclamazione blasfema non appena avvertì le dita del suo amato muoversi lentamente dentro di lui, preparandolo a quello che sarebbe accaduto di lì a poco.

"Amo', te sei...".

"Sì, nun te preoccupa': ce sto a pensa' mo", lo precedette il biondino prendendo tutte le precauzioni del caso, "Dimme te piuttosto quanno te senti pronto".

"So' pronto, so' pronto", lo rassicurò ansimando, "Sto a mori' d''a...".

Le parole gli rimasero ferme in gola, spezzate da un rauco suono di piacere. La schiena si inarcò, percorsa da brividi sempre più intensi. Le mani si aggrapparono alla testiera del letto, ancorandosi come tenaglie alla sbarra di metallo.

Mecenate lo teneva fermo per i fianchi mentre aumentava il ritmo, lasciandogli una scia umida di baci sulle spalle muscolose. I loro respiri erano sempre più affannati, i loro movimenti sempre più frenetici, scanditi da flebili versi di piacere, che non facevano altro che eccitarli ancora di più.

Il ragazzone torse il collo all'indietro e osservò l'espressione estatica e concentrata di colui che gli stava facendo vedere le stelle. Il volto imperlato di sudore risplendeva sotto alla luce giallastra del lampadario. I capelli continuavano a cadergli sul volto, coprendogli gli occhi, ma li scansava con una scossa del capo.

"Baciame", riuscì a dirgli, "Te prego, baciame".

Il biondino non se lo fece ripetere due volte e si gettò sulle sue labbra per dargli un bacio vorace. Non aveva mai desiderato qualcuno così tanto come in quel momento, non aveva mai amato così tanto una persona come amava quello scemo del suo fidanzato. Sentiva di amarlo dalle viscere, come se fosse intrinseco nella sua natura nutrire nei suoi confronti tutto quell'amore.

Perché, sì, era una testa calda, era brusco, sapeva essere indelicato e sboccato come pochi, ma l'aveva sempre fatto sentire al sicuro, a casa. E probabilmente le cose non sarebbero state facili, ma nel preciso istante in cui le loro lingue si accarezzavano, i loro animi si fondevano e i loro corpi raggiungevano l'orgasmo, in quell'infinitesima frazione di secondo Mecenate realizzò che nessuno in tutta la sua vita era riuscito minimamente a farlo sentire libero e amato come aveva fatto quel ragazzone.

Perché Orazio lo amava. E lui amava follemente quella testa di cazzo.

Esausti e madidi di sudore, si stesero l'uno accanto all'altro sul letto, stringendosi un po' per starci in due. I loro petti si alzavano e si abbassavano velocemente, i loro respiri erano ancora affannati e i loro muscoli tremavano ancora per l'eccitazione e la fatica.

Mecenate allungo la mano alla ricerca di quella del suo ragazzo e, intrecciate le proprie dita con le sue, la portò alla bocca per baciarla con dolcezza. Orazio, seppur stremato, fece un ultimo piccolo sforzo e si mise supino, così da poter contemplare meglio il suo amato.

Nelle ultime settimane aveva scoperto quanto fossero profondi e limpidi i suoi occhi e quanto fosse incredibilmente invitante la piega delle sue labbra e quanto fossero belli quei capelli dorati alla luce del sole. Eppure, per quanto sapesse di stare con la creatura più meravigliosa in assoluto, pur vedendolo per la milionesima, rimase senza fiato come se fosse stata la prima.

Il biondino notò il suo sguardo d'amore e non poté non sorriderne con una certa soddisfazione. Gli schioccò un bacio decisamente molto più casto dei precedenti e cominciò a pettinargli con dolcezza la chioma spettinata, accarezzandogli di tanto in tanto le guance.

"Che stai a pensa'?" gli chiese di punto in bianco quasi sussurrando.

"Sto a pensa' che so' felice", gli rispose il ragazzone con un'innocenza e un candore per lui insolito, "Sto a pensa' che nun so' mai stato così gasato 'n vita mia. Te 'nvece? Stai troppo silenzioso pe' i miei gusti".

"Te amo, testa de cazzo" avrebbe voluto dirgli, mentre lo teneva stretto a sé, pelle contro pelle, cuore contro cuore.

Avrebbe voluto, ma non lo fece. Le parole rimasero ferme in gola, rinchiuse nella chiostra dei denti. Avrebbe tanto voluto, ma non lo fece: non ci riusciva, per quanto volesse, non ci riusciva proprio. E si sentì incredibilmente in difetto e in colpa per questo: si faceva pena da solo.

"Sto a pensa' che nun saprei vive' senza de te, nun saprei proprio come fa'" gli confessò accarezzandogli il braccio con il dorso delle dita.

Orazio sorrise e, dopo averlo baciato di nuovo, posò il capo sul suo petto, lasciandosi cullare dalla dolce melodia dei suoi respiri e dei battiti del suo cuore. 

"Allora nun fa' er cojone e resta, perché io nun me ne vado manco se vieni cor tir" mormorò chiudendo gli occhi.

Mecenate riprese a lasciar scorrere le dita tra i suoi capelli e fissò lo sguardo sul soffitto, tornando ad annegare negli abissi dei suoi pensieri.

"Io so' 'n cojone", disse fra sé e sé scivolando tra le braccia di Morfeo, "Io so' 'n cojone, Ora', e prima o poi farò pena pure a te".

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