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Capitolo LVII

"Ciao a tutti!" esordì Virgilio sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi falsi.

Quattro teste si voltarono verso di loro e li osservarono perplessi, squadrandoli dalla testa ai piedi - tutte, tranne una.

"Cazzo!" imprecò Dante a denti stretti spegnendo in fretta e furia la sigaretta sul muro.

Il maggiore aveva sempre trovato tenero quel piccolo dettaglio: sebbene l'avesse visto nudo più di una volta e si fossero sussurrati e fatti a vicenda cose che non avrebbero mai ammesso ad alta voce, il fiorentino ancora si vergognava a farsi vedere mentre fumava le sue Malboro rosse, anche se il suo ragazzo sapeva perfettamente del suo vizio del fumo.

"Ci stavano altri tre tiri buoni, Maremma maiala!" si lamentò un ragazzino con degli zigomi spaventosamente alti e affilati, che gli conferivano un aspetto quasi alieno.

"Che rosichi che hai lasciato l'Iqos a casa?" lo prese in giro uno del gruppo buttando fuori dalla bocca delle nuvolette azzurrastre.

"Non te lo posso dire dove te la ficco l'Iqos, Gio" mormorò l'altro con sguardo assassino.

"Raga, placate gli animi: non facciamoci riconoscere anche stavolta" sospirò il quarto provando a tranquillizzarli.

Nel mentre che i fiorentini si accorgevano della loro presenza e il festeggiato cercava disperatamente qualcosa nelle tasche della felpa, i romani avevano percorso gli ultimi metri che li separavano e Virgilio, non senza un leggero imbarazzo, abbracciò da dietro il suo ragazzo.

"Buon compleanno, Babe" gli sussurrò all'orecchio sventolandogli davanti agli occhi una busta di carta rosso fuoco.

"Avevo detto niente regali!" protestò il minore lanciandogli un'occhiata che voleva essere di rimprovero, ma che riuscì stranamente dolce.

"Lo so, ma io faccio come cazzo mi pare. Sei il mio ragazzo ed è il tuo compleanno: se voglio farti un regalo, io te lo faccio e basta". Si sporse lievemente in avanti e posò la bocca sul suo orecchio. "Poi più tardi conto di farmi anche te".

"Ti prego, taci", lo supplicò l'altro arrossendo più del dovuto, "Non ho fatto altro che pensarti negli ultimi giorni e, ti giuro, la mia frustrazione sessuale ha raggiunto dei livelli che - Maremma maiala! - non credevo potessi...".

"Scusate l'interruzione, ma ho lasciato a casa l'insulina e non vorrei morire di diabete con tutta questa sdolcinatezza" li riportò alla realtà il tizio con gli zigomi sporgenti.

"Nic, lasciali stare! Non si vedono da quasi una settimana: eh falli recuperare!" lo rimproverò bonariamente Giovanni.

"Ma dimmi, tu oggi vuoi proprio morire?" gli chiese Niccolò senza traccia di sarcasmo.

"Okay, facciamo le presentazioni prima che non ci sia più qualcuno da presentare", sbuffò Dante guardandoli con aria seccata, "Allora, amore, quel bovaro scassamaroni cinico e schizzato è il caro vecchio Niccolò".

"Vecchio e schizzato ci sarai te!" esclamò offeso il diretto interessato.

"Diciamo che è un tantino permaloso, ma è fondamentalmente innocuo: lui le vendette le pianifica, mica si sporca le mani!", aggiunse il ragazzino parlando sottovoce al suo romano preferito, "Questi altri due scemi sono Francesco e Giovanni: non restare mai da solo con loro, lo dico per il tuo bene".

"Ti ricordi che ho un Orazio, vero? Sono vaccinato per gli amici idioti con tendenze vagamente criminali" gli chiese sarcastico Virgilio.

"Non so esattamente che cosa sia un Orazio, ma se è affascinante e simpatico allora sì: sono un magnifico esemplare di Orazio toscano!" rispose Giovanni passandosi una mano tra i capelli.

"Ciao a tutti, io sono l'Orazio originale" si presentò finalmente il diretto interessato facendo un inchino decisamente ridicolo.

Giovanni lo squadrò per qualche istante e poi, non senza la minima ombra di imbarazzo, commentò: "Potevate pure avvisarmi che avrei fatto una figura di merda, Maremma maiala!".

"E privarci del privilegio di sfotterti di qui all'eternità?, domandò ironico il suo amico, "Giammai!".

"Io sono Francesco: è un piacere conoscerti" si intromise timidamente nel discorso un ragazzino dall'aria malaticcia.

"Il piacere è mio: ho sentito così tanto parlare di voi" disse Virgilio sforzandosi di non sembrare troppo formale e impostato, cosa che gli accadeva ogni volta che era agitato o in presenza di estranei.

"Fidati: abbiamo sentito molto di più noi parlare di te!", borbottò Niccolò, "E Daddy qui! E Daddy lì! Maremma bucaiola: potremmo scriverci tranquillamente un libro su di te!".

"Daddy?" ripeté il romano fissando dritto negli occhi il suo ragazzo, che stava cominciando a diventare bordeaux.

"Sì, Daddy: ti ha salvato così sul cellulare", gli spiegò Giovanni divertito, "Che non lo sapevi?".

"In realtà no, ma prendo nota" aggiunse l'altro lanciando a Dante un'occhiata maliziosa.

"Mi sembra giusto informare cosetto che tu l'hai salvato come Babe, con tre cuori e un leone", disse ridacchiando Mecenate notando che il fiorentino stava per morire per l'imbarazzo, "E io sono Mecenate, comunque: grazie per la considerazione, gentilissimi come sempre".

"Amo', ma capiscili pure te: oggi facciamo gli amici-trofeo, no?", ci scherzò su Orazio gettandogli un braccio dietro le spalle, "E, comunque, prima che lo chiediate: sì, questa meravigliosa creatura è il mio fidanzato".

Il biondino si ritrovò a sorridere come uno scemo per quell'ultima frase e avrebbe tanto voluto trascinarlo da qualche parte per limonarlo avrebbe voluto, ma si limitò a dargli una silenziosa pacca d'apprezzamento sul sedere. L'altro membro del trio, dal canto suo, era troppo concentrato a considerare quanto quel rossore donasse al suo amato per pensare troppo a quanto era appena accaduto.

"Cioè, siete tre amici e siete tutte e tre gay?" chiese conferma Francesco.

"Tecnicamente Orazio è bisessuale", rispose Mecenate, "E poi ci sarebbe anche il quarto, ma non è potuto venire".

"E credetemi quando vi dico che è un grande ammiratore della figa!" aggiunse il ragazzone abbassando la voce con l'aria di la sa lunga.

E per fortuna che lo fece: non appena ebbe finito di parlare, una bambina si affacciò dal portone e li guardò con espressione crucciata.

"Che facciamo qui, bivacchiamo?", domandò Tana imbronciata, "Ah, bene: vedo che ci distruggiamo i polmoni! Bene, molto bene! Quindi volete anche smettere di respirare, oltre che di pensare!".

"Che cosa vuoi?" sospirò suo fratello alzando gli occhi al cielo.

"Io voglio una Play Station per andare in giro ad ammazzare macchine e fare altre cose fighe, ma i videogiochi violenti non sono roba da signorine! e non si può avere tutto nella vita", gli rispose incredibilmente seria, "Nonno, invece, vuole che entriate tutti, così almeno possiamo mangiare la pizza e vivere per sempre felici e contenti".

"Arriviamo, dacci un secondo" la sbolognò Dante con un gesto della mano.

Tana fece per tornare dentro, ma si fermò all'ultimo e fissò con aria inquisitoria Virgilio, che, dal canto suo, cominciò a sentirsi improvvisamente a disagio.

"Ma tu non sei quello del lago dei cigni?".

Quella domanda lasciò il romano senza parole: quella ragazzina l'aveva visto una sola volta per due minuti in videochiamata mesi prima, eppure si ricordava di lui. Che cosa avrebbe dovuto rispondere? Che era lui? Che non era lui? Ma era lui, perché avrebbe dovuto negarlo?.

"Sì, sono io" confermò alla fine laconico, deglutendo subito dopo per l'agitazione.

"Apri bene le orecchie", gli intimò con un'espressione terrificante, "Non ti azzardare a picchiarlo di nuovo, altrimenti i tuoi capelli faranno una brutta fine. Solo io posso picchiare mio fratello, anche solo per gioco. Intesi?".

"Ma io non l'ho mai picchiato" si difese timidamente il romano maledicendosi per quella voce incerta, cercando di capire a che cosa si riferisse quella piccola peste.

"E i lividi sul collo come me li spieghi? Okay che Dante è sbadato come pochi e inciamperebbe pure sull'aria, ma non venirmi a dire che è caduto o che se li è fatti da solo!" gli rispose con una certa aggressività.

"Cazzo, i succhiotti" si rimproverò mentalmente Virgilio.

Per quanto ci avessero provato sul serio, gli amici di entrambi non riuscirono a trattenere le risate e cominciarono a ridere di gusto.

"Che cosa ho detto di divertente?", domandò Tana offesa e arrabbiata, "Io sono serissima!".

"Non erano lividi, Barbie" le rivelò Niccolò ancora piegato in due per le risate.

"Non chiamarmi Barbie!", gridò la bambina ancora più indispettita, "E se non erano lividi, che cos'erano?".

"Te lo spiegherò quando sarai più grande", tagliò il discorso suo fratello per levarsi da quell'impiccio, "Adesso è meglio se entriamo, altrimenti nonno ci lincia".

"Qualcosa mi dice che stasera ci divertiremo un sacco, Maremma maiala!" esclamò sottovoce Giovanni a Francesco chiudendosi la porta del portone alle spalle.

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